1. In questi giorni percorreremo la storia di alcuni dei personaggi che popolano i cosiddetti Vangeli dell’infanzia, che si trovano nei capitoli 1 e 2 dei vangeli di Matteo e di Luca; com’è noto, nei vangeli di Marco e di Giovanni non c’è nulla che riguardi la vita di Gesù prima della sua apparizione in pubblico. Del resto, la prima predicazione cristiana metteva a fuoco quello che ora chiamiamo il ministero pubblico di Gesù, un programma ben espresso negli Atti degli apostoli che, quando si tratta di rimpiazzare il posto lasciato vuoto da Giuda, così si esprimono: «Bisogna che tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione» (At 1,21-22). Come si vede, di quella che sarà poi chiamata la “vita nascosta” di Gesù non c’è traccia.
Nella predicazione cristiana, il primo annuncio si riassumeva nel proclamare la risurrezione, nel dichiarare che Gesù, ucciso in modo infamante, era stato da Dio risuscitato, con il che si dimostrava che tutto ciò che aveva detto e fatto era stato firmato e approvato da Dio, e che Gesù era dunque Messia e Signore.
L’enorme dilatazione che, nella tradizione cristiana, ha preso la festa del Natale e tutto quanto la circonda ha fatto sì che la nascita di Gesù, con il contorno di quanto l’ha preceduta e seguita, abbia assunto una straordinaria rilevanza. Ma cosa rimane, poi, nella nostra memoria? La grotta di Betlemme, gli angeli che cantano il Gloria, i pastori e i re magi, gli zampognari con le loro musiche e poco altro, quella scena insomma che il presepio, nato per opera di Francesco d’Assisi, ha fissato nella nostra immaginazione.
Il suo forte legame con le memorie dell’infanzia, che ha fatto del Natale la “festa dei bambini”, rischia di farci percepire il tutto come delle belle favole, o per rigettarle in blocco una volta diventati adulti, o comunque, spesso, senza cogliere i significati profondi dei racconti evangelici, che non sono né pura fantasia né pura cronaca, ma eventi che hanno un fondo storico e un significato teologico, cioè un senso che va al di là della pura narrazione.
Proveremo a riprendere in mano quei racconti, alla luce di quanto si è detto nella prima riflessione. Esamineremo prima l’esperienza di Zaccaria, Maria e Giuseppe, per trovare in quello che possono aver provato nelle loro “annunciazioni” qualcosa che parli anche a noi, per imparare come dobbiamo aspettare la nascita di Gesù; vedremo poi di conoscere tre categorie di persone, i pastori, i magi, i vecchi, che ricevono l’annuncio della nascita e come vi reagiscono.
Tutti questi personaggi vivono un loro deserto, nel senso descritto ieri, ma riescono a farlo fiorire grazie alla loro fede.
2. Luca nel suo vangelo mette in parallelo la nascita di Giovanni e quella di Gesù, e dunque l’annuncio a Zaccaria e quello a Maria; l’annuncio a Giuseppe si trova invece nel vangelo di Matteo.
Le narrazioni seguono uno schema che prevede: la descrizione del personaggio, l’annuncio con la promessa di un figlio inatteso, lo smarrimento che prende chi riceve tale annuncio considerando la propria condizione, una spiegazione di ciò che avverrà e, infine, una conclusione che è diversa secondo i vari personaggi.
Zaccaria è un sacerdote che svolge, secondo il suo turno, un servizio nel tempio di Gerusalemme: quello di rinnovare, mattino e sera, la brace e i profumi sull’altare dell’incenso che si trovava davanti al Santo dei Santi (cf. Es 30,6-8). Un impegno che diremmo burocratico, da sacrista, una vita piatta e ordinaria, non certo uno stato d’animo che prepari all’estasi o a particolari rivelazioni. Oltretutto, alla luce di quanto si è detto ieri, la sua non sembra una situazione particolarmente adatta a ricevere la Parola, che pare volare alla larga da templi e palazzi: Zaccaria non è nel deserto! Almeno così pare.
Ma forse vive un suo deserto:è vecchio e senza figli, e senza la speranza di averne. In effetti, il deserto era nel suo cuore, la sua vita era condannata alla sterilità!
E cosa avviene? C’è un dettaglio importante: Zaccaria era «entrato nel tempio del Signore», e fuori «tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso» (v. 9-10). La cosa non può sfuggire a chi è familiare con il vangelo di Luca: tutti i momenti di rivelazione nel terzo vangelo avvengono in un contesto di preghiera, perché Dio lo si cerca e lo si trova «nel santuario», quello del cuore (cf. Sal 63,3). Deserto e santuario sono più che spazi fisici!
Potremmo dire che Zaccaria è pronto a ricevere una Parola, ha le disposizioni per ascoltarla e accoglierla, perché è in preghiera, è “nello spazio di Dio”.
3. E la parola arriva, sulle ali di un angelo.
La prima reazione di Zaccaria è la paura, come accade sempre nella Bibbia, perché l’angelo si chiama così in quanto portatore di annunci da parte di Dio, e non si sa mai di che tipo possano essere tali annunci. In fondo, stiamo tutti più comodi in una routine in cui siamo riusciti ad accomodarci.
Ma l’angelo rassicura: Non temere! Di fronte allo smarrimento, l’angelo esorta ad avere fiducia. Il suo annuncio, però, è insieme consolante e sconvolgente: non solo è in arrivo un figlio, ma quale figlio! Forse a Zaccaria sarebbe anche bastato poter finalmente avere assicurata una discendenza. Invece, il figlio che nascerà «porterà gioia a molti», non solo ai suoi genitori, sarà «santo fin dal seno di sua madre», «camminerà con la potenza di Elia», il cui ritorno avrebbe preannunciato l’arrivo del Messia, e dunque la sua missione sarà di «ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto».
Zaccaria è stravolto, non riesce a credere che proprio a lui tocchi un destino del genere, e mette avanti la sua difficoltà: è vecchio, e la moglie è sterile! L’angelo dei grandi annunci, che dice di chiamarsi Gabriele, non ritira la sua parola, ma a Zaccaria dice: «Ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».
Che senso ha questa condanna al silenzio che sembra spegnere nel cuore di Zaccaria la gioia per l’incredibile annuncio che gli è stato fatto? La sua colpa è di non aver creduto.
Ragionando umanamente, era ben difficile credere alla grandiosità della promessa fatta. Dovremmo forse ricordare che, nel mondo come lo conosciamo, si fa più fatica a credere davvero alle cose buone, alle sorprese di cui è capace Dio. Ricordiamo che le prime parole di Gesù saranno: «Il tempo è compiuto, il regno dei cieli è vicino, cambiate mentalità e credete alla bella notizia (= vangelo)» (Mc 1,15). E questo si chiama conversione!
Si tratta certo di lasciare le vie del male, ma si tratta soprattutto di credere alle vie del bene, di credere che Dio e la sua grazia è nel mondo, e in ciascuno di noi, anche quando le cose che accadono e la gente con cui viviamo non ci fa sperare niente di buono. È incredibile, ma pare che per noi sia più facile credere al male che al bene!
4. Per ricuperare tale fiducia, o fede, che è lo stesso, bisogna entrare nel deserto del nostro cuore e fare silenzio.
Nove mesi saranno necessari a Zaccaria per superare lo smarrimento e cercare di capire che cosa Dio vuole da lui con la nascita di quel figlio, che si chiamerà Giovanni, e che porta nel nome stesso la realtà di un dono, perché significa “Dio fa grazia”.
Ma è un dono che comporta un impegno: toccherà a lui educare e preparare quel figlio alla sua grandiosa missione! Nei nostri smarrimenti, se non vogliamo cedere allo sconforto e rassegnarci a una vita scarsa e sfiduciata, è necessario il silenzio, la riflessione, la ricarica quotidiana fatta alla scuola della parola di Dio, e confortata dall’esempio concreto dei “buoni”, di ieri e di oggi.
Non è la dispersione in cose futili e di poco valore che ci ridarà coraggio e determinazione. Se non teniamo lo sguardo fisso sulla Parola, il nostro cammino si troverà a vagare qua e là senza un traguardo. Il bello invece è che, ascoltando la Voce e seguendo la Via, diventiamo noi stessi voce e via gli uni per gli altri!
Il bambino nascerà, sarà chiamato Giovanni come indicato da Gabriele (Lc 1,60.63) e, a quel punto, Zaccaria ritroverà la parola, e quale parola! Il suo canto, il Benedictus è un’esplosione di gratitudine per il grande dono che ha fatto Dio a un uomo vecchio e a una donna sterile. Da quello che pareva un beneficio concesso alla sua persona, Zaccaria trae una visione di fede che abbraccia tutto il mondo.
In quella nascita egli vede in azione un Dio che è venuto a “visitare il suo popolo” (e dunque il senso di abbandono nel deserto è superato), che è un “salvatore potente”, che “ci salva da nostri nemici”, che “si ricorda di quanto ha promesso”, che “ci libera dalla paura perché lo serviamo in santità e giustizia”, un Dio che è “tenerezza e misericordia”, che “risplende su noi che siamo nell’ombra della morte”, perché possiamo «dirigere i nostri passi sulla via della pace»! Valeva la pena stare nove mesi in silenzio per capire tutto questo.
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