Ci sono situazioni in cui due coniugi si chiedono, con ragione, se valga ancora la pena insistere nel tentativo di aggiustare un rapporto nato male e che si sta rivelando irrimediabilmente guasto. Non ci si ama più, ci sono incompatibilità di carattere, ci si fa dispetti, si parla solo per offendersi e anche i figli vengono coinvolti nel fallimento dei genitori. Quale senso ha continuare insieme? Può Dio esigere che si protragga una convivenza che è un supplizio? Non è meglio che ognuno se ne vada per la propria strada e si ricostruisca una vita?
A queste domande la logica degli uomini risponde senza esitazioni: meglio il divorzio.
Se tante coppie si separano dopo pochi anni di matrimonio, non è preferibile la convivenza? Se le cose non vanno ci si lascia senza troppi problemi.
In nessun altro campo, come in quello dell’etica sessuale, l’uomo è tentato di darsi una sua morale e così il sale della proposta evangelica è spesso reso insipido da tanti ma, se, però, dipende.
È necessario “diventare come bambini” per entrare nel regno dei cieli, per poter comprendere la difficile, impegnativa proposta di Cristo. Solo chi si sente piccolo, chi crede nell’amore del Padre e si fida di lui, si trova nella disposizione giusta per accogliere i pensieri di Dio. Non tutti possono capirli, “ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19,11), non i sapienti e gli intelligenti, ma i piccoli (Mt 11,25).
Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Solo la via stretta che Gesù propone conduce alla vita”
Prima Lettura (Gn 2,18-24)
18 Il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. 19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20 Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. 22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. 23 Allora l’uomo disse:
“Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”.
24 Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.
Al termine della creazione “Dio contemplò quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1,31). Tutto era meraviglioso, eppure il Signore notò che, nel giardino dove germogliavano dal suolo “ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare” (Gn 2,9), l’uomo non era felice. Ne intuì la ragione e decise di colmare la lacuna: “Non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (v. 18).
Adamo godeva dell’intimità con Dio che, alla brezza della sera, scendeva a passeggiare con lui; aveva un lavoro, una terra da coltivare, amare e rispettare; era protetto e aveva cibo. Tutto questo però non lo appagava, perché era solo. Aveva bisogno di qualcuno con cui dialogare, a cui donare e da cui ricevere amore.
La solitudine è una sconfitta. Come porvi rimedio?
Il Signore creò gli animali, li plasmò con l’argilla del suolo, come aveva fatto con l’uomo e diede loro una vita simile a quella dell’uomo, poi li consegnò all’uomo che, grato, li accolse come suoi aiutanti e compagni (vv.19-20).
Servendosi del linguaggio mitico, l’autore sacro riconosce e benedice il vincolo profondo che unisce il mondo animale a quello dell’uomo. Questi per nascita proviene dalla terra ed è parente degli animali, con i quali instaura un rapporto di convivenza e di collaborazione; gli animali hanno il compito di custodire, proteggere e anche salvare l’uomo.
Adamo ora non è più solo. Coltiva la terra, è proprietario di armenti, eppure non è ancora soddisfatto. All’uomo non bastano le creature e il successo professionale, non gli basta nemmeno Dio; per riempire la sua solitudine ha bisogno di un suo simile.
“Non ho nessuno; non appartengo a nessuno” è questo forse il più accorato dei lamenti.
Il Signore, che vuole la gioia dell’uomo, si rimette all’opera e crea la donna.
L’obiettivo del racconto biblico non è insegnare da dove proviene la donna, ma rispondere a interrogativi esistenziali: chi è la donna? Per quale ragione esiste la bipolarità sessuale? Perché l’uomo sente così forte l’attrattiva sessuale? La donna è inferiore e serva dell’uomo?
Nel campo della sessualità, dove l’istinto facilmente obnubila l’intelletto e induce a scelte che, anche se dettate dal buon senso, si rivelano disumanizzanti, è fondamentale scoprire il disegno di Dio.
* Il primo messaggio che egli ci trasmette, attraverso questo racconto, è la demitizzazione della sessualità. La sessualità non ha nulla di sacrale e numinoso, come invece ritenevano gli antichi, è un istinto naturale, una passione “le cui vampe sono vampe di fuoco” (Ct 8,6) ed è voluta da Dio per spingere l’uomo a uscire da se stesso e ad andare verso l’altro. L’uomo esiste (dal latino: ex‑sistere = stare fuori) solo quando asseconda questo impulso divino e, dimentico di se stesso, si offre in dono all’altro.
* La sessualità è buona. I dualismi e il manicheismo che, fin dai primi secoli, si sono infiltrati nella chiesa sono contrari alla visione biblica della creazione (Col 2,20-22). Il piacere sessuale è benedetto da Dio.
* La sessualità è stata voluta per indurre all’incontro, al dialogo con l’altro, per questo l’autoerotismo ne costituisce una deviazione. Una sana pedagogia però tiene conto dell’evoluzione progressiva della personalità ed è attenta a non creare, specie nei bambini e negli adolescenti, paure, ansie e fobie.
* La bipolarità sessuale è parte costitutiva della persona umana; l’asessuato non esiste e la diversità dei sessi va mantenuta e valorizzata.
* La donna è simile all’uomo e gli è data come aiuto.
Simile e aiuto sono i due termini più significativi di tutto il brano: rivelano chi è la donna per Dio. Per coglierne il vero senso è necessario rifarsi al testo ebraico.
Ke‑negdò, tradotto con simile, in realtà significa come contro di lui.
La donna è stata posta da Dio di fronte all’uomo, non per essere dominata, ma per instaurare con lui un rapporto di dialogo fecondo, un confronto impegnativo e persino duro, che comporta inevitabili tensioni, perché l’obiettivo è la progressiva umanizzazione di ambedue. Donna e uomo divengono, in questa prospettiva, aiuto l’uno per l’altro.
Alla donna è assegnato il compito di essere aiuto per l’uomo. Questa mansione è stata a volte ritenuta, erroneamente, una conferma da parte di Dio dell’inferiorità della donna. I biblisti hanno invece rilevato un dato significativo: il termine ebraico ‘ezer, aiuto, è impiegato nella Bibbia praticamente solo per Dio. “Mio Dio, tu sei mio aiuto” – esclama fiducioso il salmista (Sl 70,6). Solo Dio è ritenuto capace di soccorrere l’uomo che si trova in situazioni in cui è in gioco la sua stessa vita.
Riferito alla donna, questo titolo non solo non designa quindi inferiorità, ma definisce un suo compito sublime: è chiamata a rendere presente Dio-aiuto a fianco dell’uomo, deve dare continuità all’opera del Signore, offrendo all’uomo l’aiuto necessario alla sua piena realizzazione. Senza di lei, l’uomo rimarrebbe incompiuto.
L’immagine di Dio‑vasaio, che ricorre frequentemente nella Bibbia, ci aiuta a comprendere la missione della donna.
Il salmista rivolge al Signore questa commovente invocazione: “Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma; tutti noi siamo opera delle tue mani” (Is 64,7). L’uomo è argilla da modellare e Dio ha deciso di non lavorare da solo, ha voluto qualcuno che lo aiutasse a portare a compimento la più straordinaria delle sue opere: l’uomo. Per questo ha creato la donna e glielo ha affidato come vaso di creta da forgiare, plasmare e decorare. Da lei si aspetta, al termine della vita, la restituzione di un capolavoro.
* Si riteneva che lo scopo primario dell’incontro sessuale fosse la procreazione. Il racconto biblico di oggi ci parla piuttosto di un’assenza (la costola sottratta) e di un’incompiutezza che devono essere colmate, di una ferita che deve essere curata, di un bisogno di uscire dalla solitudine che chiede di essere appagato.
Tuttavia, è indispensabile prendere coscienza del fatto che solo l’uso corretto della sessualità raggiunge questo obiettivo. Quando nel rapporto uomo‑donna si infiltra l’egoismo, ricompare la solitudine, anche se si è sposati e si vive sotto lo stesso tetto.
Quando fra i coniugi si instaurano i rapporti uomo‑cosa e uno considera l’altro un oggetto di godimento; quando ognuno vive per proprio conto, coltivando le proprie amicizie, i propri interessi, i propri svaghi; quando non ci si parla per confrontarsi sul progetto comune che si intende realizzare; quando le decisioni non sono prese insieme; quando nell’incontro uno sfigura, cancella, annienta l’altro, allora marito e moglie ripiombano nella solitudine e tornano ad essere tristi e infelici.
* L’amore fra uomo e donna, contratto “nel Signore” (1 Cor 7,39), è indissolubile (v. 24). Non si tratta di una legge, perché il ricorso a precetti è sempre la denuncia di una sconfitta dell’amore, ma della scoperta dell’intima e profonda realtà dell’amore che, per sua natura, non può morire. È “una fiamma divina che le grandi acque non possono spegnere”, è una partecipazione all’amore del Signore, amore capace di resistere a qualunque prova, incrollabile come solida roccia che “i fiumi non possono travolgere” (Ct 8,6-7).
Ed è monogamico. La poligamia, che la Bibbia attribuisce a un figlio di Caino (Gn 4,19ss.), è conseguenza del peccato e dello stravolgimento del disegno di Dio sulla sessualità.
Esulano dal progetto divino l’avventura extraconiugale, che è un tradimento dell’amore e impoverisce i protagonisti, la semplice convivenza e i rapporti pre‑matrimoniali, perché in essi manca il coinvolgimento pieno e definitivo, chiaramente presupposto nel testo sacro: “Un uomo… si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (v. 24).
* La sessualità non è un gioco, non è un divertimento. Costruire amore è un impegno arduo, per cui vanno evitati l’impazienza, la fretta, il darsi disordinato che provocano sempre drammi interiori, confusioni, situazioni insostenibili, anche se chi vi è coinvolto si sforza di ostentare un’apparente felicità.
Seconda Lettura (Eb 2,9-11)
9 Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
10 Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza.
11 Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.
Oggi inizia la Lettera agli ebrei che ci accompagnerà fino al termine dell’anno liturgico. I primi due capitoli sono dedicati alla presentazione di alcuni aspetti della persona di Gesù.
Dopo aver affermato, nel primo capitolo, la superiorità di Cristo rispetto a tutte le creature, angeli compresi, l’autore risponde a un interrogativo: Gesù, così elevato rispetto a noi, non sarà troppo lontano dalla nostra condizione, dalle nostre esperienze?
A questa obiezione l’autore risponde nel secondo capitolo, dal quale è tratto il brano di oggi.
“Era conveniente” (v. 10) – spiega – che il Padre scegliesse, per il suo Figlio, il cammino della sofferenza e della croce. Lo destinava, infatti, a essere il capo che introduce gli uomini nella gloria di Dio. Solo una guida che è passata attraverso tutte le esperienze umane, compresi la solitudine, il tradimento, l’abbandono e la morte, ispira fiducia.
L’ultima affermazione del brano è commovente: Gesù non si vergogna di chiamare fratelli gli uomini che è venuto a salvare (v. 11). Egli si sente solidale con loro, capisce le loro miserie e debolezze, perché, come si dirà più avanti nella lettera, egli ha imparato da quanto ha sofferto come sia duro seguire il cammino tracciato dal Padre (Eb 5,7-9).
Vangelo (Mc 10,2-16)
2 Avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. 3 Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. 4 Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”. 5 Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6 Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; 7 per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. 8 Sicché non sono più due, ma una sola carne. 9 L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”.
10 Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: 11 “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; 12 se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.
13 Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. 14 Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. 15 In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”. 16 E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.
Stupisce che dei farisei rivolgano a Gesù la domanda: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Come tutti gli israeliti, senza eccezione, i membri di questa setta non avevano dubbi sulla liceità del divorzio, in quanto l’Antico Testamento contemplava la possibilità di un secondo matrimonio. La discussione verteva, se mai, sui motivi che la potevano giustificare.
Il tema dell’indissolubilità è introdotto da Marco nella parte centrale del suo vangelo, assieme ad altre questioni morali come il dialogo con chi non crede, la carità verso i fratelli, lo scandalo, i rapporti con i più deboli, la proprietà, le ricchezze. È collocato in questo contesto, perché la richiesta dell’assoluta e incondizionata fedeltà coniugale lascia sgomenti e sconcertati e non può essere capita se non la si inquadra nella logica dell’amore di Cristo e del dono della vita.
Rispondendo alla domanda che gli è stata rivolta, Gesù chiarisce, anzitutto, il vero significato della legge di Mosè, legge che egli non intende abolire, ma spiegare e portare a compimento.
Il libro del Deuteronomio sembra permettere il divorzio: “Se un uomo prende una donna e la sposa e questa non trova più favore ai suoi occhi perché egli ha trovato in lei qualcosa di sconveniente, le scriva un libello di ripudio, glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa” (Dt 24,1). Alcuni rabbini, i più severi, insegnavano che il marito poteva rimandare la propria moglie solo nel caso che gli fosse stata infedele; ma altri, più tolleranti e possibilisti, sostenevano che era sufficiente che la donna avesse cucinato male la cena oppure che il marito ne avesse trovata un’altra più avvenente.
Prima di pronunciarsi sul tema, Gesù chiarisce il significato del testo biblico. Non è stato Mosè – spiega – a introdurre il divorzio. Questa istituzione esisteva molto prima di lui ed è stata da sempre accettata da tutti come legittima; egli ha solo cercato di disciplinarla, ponendo un argine agli abusi. Non ha preteso dagli israeliti, ancora troppo duri di cuore, un comportamento morale superiore a quello degli altri popoli; si è limitato a dettare una norma che proteggesse la donna. Ha stabilito che il marito le consegnasse il documento di ripudio in modo che essa si potesse risposare.
Questa disposizione era quanto mai opportuna perché molti scacciavano di casa la loro moglie, ne prendevano un’altra e, se la prima si univa a un altro, la accusavano di adulterio, colpa che comportava la pena di morte. Il precetto di Mosè aveva lo scopo di difendere la donna da questo abuso: il documento di ripudio la dichiarava libera.
Sono giunti a noi alcuni di questi atti di ripudio, sottoscritti da due testimoni; eccone uno: “Puoi andare, puoi farti prendere in moglie da chiunque, a tuo piacimento”.
Gesù riconosce il valore della norma stabilita nel Deuteronomio e la ritiene vincolante. Se qualcuno vuole divorziare – asserisce – che almeno rispetti i diritti della donna!
La tolleranza manifestata da Mosè, però, non è l’espressione ideale del progetto originario di Dio.
Dopo aver precisato il senso della disposizione dell’Antico Testamento, Gesù invita ad andare al di là della norma e a considerare la sessualità alla luce, non dei ragionamenti insensati e dei comportamenti deteriori introdotti dagli uomini, ma del progetto di Dio, rivelato fin dai primi capitoli della Genesi: “All’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (vv. 6-9).
Quest’ultima ingiunzione, accostata da Gesù alla citazione della Genesi, non poteva che lasciare sbalorditi i suoi interlocutori che ritenevano il divorzio, in certe situazioni, non solo un diritto, ma un dovere.
I rabbini insegnavano che il primo precetto dato da Dio è quello della procreazione: “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn 1,28) e ritenevano così fondamentale questo dovere che, se da un matrimonio non nascevano bambini, il marito doveva rimandare la propria moglie per avere figli da un’altra donna.
Gesù prende una posizione di rottura nei confronti di questa concezione tradizionale del suo popolo e afferma, nel modo più risoluto, che nessun divorzio rientra nel progetto di Dio. Il ripudio è stato introdotto dagli uomini ed è un attentato distruttore dell’opera del Signore che ha unito l’uomo e la donna in una sola carne.
Con Gesù è giunto nel mondo il regno di Dio, si sono compiute le profezie, agli uomini sono stati donati “un cuore nuovo e uno spirito nuovo”; da loro è stato tolto “il cuore di pietra e messo un cuore di carne” (Ez 36,26; Ger 31,31-34). È giunto il momento di dire basta ai compromessi, alle meschinità, ai sotterfugi e di puntare all’ideale indicato “in principio” dal Creatore.
Solo il matrimonio monogamico e indissolubile rispetta il progetto di Dio e raggiunge lo scopo per cui gli uomini sono stati fatti “maschio e femmina”. Tutte le altre forme di convivenza, anche se molto antiche e culturalmente spiegabili, non rispettano la dignità dell’uomo e della donna.
Di fronte alla posizione dura e intransigente del Maestro, non solo i farisei, ma anche i discepoli rimangono perplessi, quasi sgomenti e, rientrati a casa, lo interrogano di nuovo sull’argomento. Ma Gesù riafferma: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio contro di lei” e aggiunge: “Se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (vv. 11-12). Affermazione questa che stabilisce – fenomeno inaudito fino a quel momento – la perfetta parità di diritti e doveri dell’uomo e della donna.
Come interpretarla?
Cristo non ha imposto una nuova legge, più rigorosa di quella di Mosè, ha solo richiamato il progetto originario di Dio che non contempla il ripudio.
La meta è altissima, ma i passi degli uomini sono spesso incerti. Siccome solo Dio conosce le fragilità di ognuno, nessuno può ergersi a giudice dei propri fratelli, nessuno ha il diritto di valutarne le colpe e pronunciare condanne. Alle situazioni concrete ci si deve sempre accostare con prudenza e ogni fratello va capito, accompagnato, aiutato in modo che possa dare il meglio di sé.
Mostrarsi comprensivi e pazienti non significa ammorbidire le esigenze evangeliche o adeguarsi alla morale corrente, ma mostrare saggezza pastorale.
Nell’ultima parte del vangelo di oggi (vv. 13-16), Gesù riprende l’immagine dei bambini e invita i discepoli ad accogliere il regno di Dio come loro. Chi si sente adulto, chi confida nella propria sapienza, chi si è sclerotizzato nelle proprie convinzioni e non accetta che vengano rimesse in discussione dalla parola di Cristo, non entrerà mai nel regno di Dio.
Per comprendere l’indissolubilità del matrimonio è necessario tornare bambini e fidarsi del pensieri del Padre.
Bellissimo commento alla liturgia della parola di domenica prossima. Grazie.