Per lunghi anni gli ebrei hanno fatto nel Sinai l’esperienza della sete e dei miraggi, hanno scavato pozzi e sognato una terra dove l’acqua scendesse dal cielo sotto forma di piogge e rugiade, dove sgorgassero sorgenti e scorressero valli.
Nomadi in un deserto desolato, hanno associato le lande assolate e aride alla morte e l’acqua alla vita, alla bellezza, alle benedizioni di Dio; hanno pensato al Signore come a “colui che comanda alle acque del mare e le spande sulla terra” (Am 5,8).
Nella Bibbia l’immagine dell’acqua ricorre nei contesti più svariati. L’innamorato contempla l’amata: “Fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive, ruscelli sgorganti dal Libano” (Ct 4,15); Dio assicura ai deportati un futuro prospero e felice con promesse legate all’acqua: “Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d’acqua” (Is 35,6-7; 41,18). Allontanarsi dal Signore significa fare scelte di morte, equivale a rimanere senz’acqua: “Hanno abbandonato me sorgente di acqua viva per scavarsi cisterne screpolate che non tengono l’acqua” (Ger 2,13).
Le parole accorate del profeta che invita il suo popolo alla conversione – “O voi tutti assetati venite all’acqua” (Is 55,1) – preludono a quelle pronunciate da Gesù nella spianata del tempio: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me” (Gv 7,38).
È lui la sorgente di acqua pura che sazia ogni sete.
Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Dissetaci con la tua acqua Signore, non permettere che ci accostiamo ad altri pozzi”
Prima Lettura (Es 17,3-7)
3 In quel luogo dunque il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: “Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?”. 4 Allora Mosè invocò l’aiuto del Signore, dicendo: “Che farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!”. 5 Il Signore disse a Mosè: “Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani di Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e và! 6 Ecco, io starò davanti a te sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà”. Mosè così fece sotto gli occhi degli anziani d’Israele. 7 Si chiamò quel luogo Massa e Meriba, a causa della protesta degli israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”.
Dopo l’uscita dall’Egitto e il passaggio del Mar Rosso il popolo d’Israele, guidato da Mosè, si è messo in cammino nel deserto per raggiungere la terra promessa. All’inizio il viaggio è stato affrontato con slancio ed entusiasmo. Sicuri della protezione del loro Dio, gli israeliti hanno manifestato la loro riconoscenza, innalzando un canto al Signore che “ha mirabilmente trionfato, cavallo e cavaliere ha gettato in mare” (Es 15,1).
Presto però sono cominciate le difficoltà: il caldo soffocante, la stanchezza, i serpenti, la fame e, soprattutto, la sete. Trovare acqua nel deserto non è facile, è proprio per mancanza d’acqua che si forma il deserto. Lì non ci sono che pietre e sabbia, qualche acacia, cespugli sparsi, pochi steli d’erba: “Questo luogo è orribile – grideranno gli israeliti a Mosè – non è un luogo dove si possa seminare, non ci sono fichi, non vigne, non melograni e non c’è acqua da bere” (Nm 20,5).
Il popolo pensa di essere stato condotto là per morire e comincia a dubitare della fedeltà di Dio alle sue promesse; giunge a sospettare che la liberazione dall’Egitto sia stata un tranello, pensa che Dio non lo voglia condurre alla libertà e alla vita, ma alla morte. Discute con lui e conclude: è necessario metterlo alla prova, lottare, tentarlo, costringerlo in qualche modo a manifestare quello che ha in mente.
Le ultime parole della lettura sono la sintesi della loro provocazione: “Ma il Signore è in mezzo a noi, sì o no?” (v. 7). Il luogo dove questo episodio è accaduto ha preso il nome di Massa-Meriba, due parole che, in ebraico, significano: tentazione-discussione.
A questa sfida Dio risponde a modo suo: non reagisce con castighi e minacce, mostra di capire le fragilità, le difficoltà, i dubbi e le perplessità del suo popolo. Sa che ci sono momenti in cui è davvero difficile continuare a credere e fidarsi di lui. Udite le proteste del popolo, invita Mosè a impugnare il bastone con cui ha percosso il Nilo e gli ordina di far scaturire acqua dalla roccia.
Perché ha voluto che questo dono apparisse come un miracolo? Avrebbe potuto risolvere la difficoltà nel modo più semplice e normale: suggerendo la direzione verso l’oasi più vicina o indicando il luogo dove scavare un pozzo, così anche il popolo avrebbe dato la sua collaborazione alla soluzione del problema. Ha scelto di compiere un segno prodigioso per mostrare agli israeliti che l’acqua non era il risultato dei loro sforzi, del loro impegno, della loro abilità: era un dono soltanto suo e completamente gratuito.
I commenti rabbinici hanno arricchito questo racconto con tratti leggendari. Uno di questi ci interessa in modo particolare: da quel giorno– dicevano i rabbini – la roccia non era più rimasta fissa, aveva accompagnato il popolo lungo tutto il peregrinare nel deserto, saliva sui monti e scendeva nelle valli in un perenne zampillare d’acqua. È rilevante questo dettaglio perché Paolo ha identificato la roccia con Cristo (1 Cor 10,3-4): è lui che non cessa di dissetare il popolo di Dio in cammino.
L’esperienza di Israele che esce dall’Egitto si ripete nella vita di ogni cristiano. Ogni conversione è un abbandono della “terra della schiavitù” e segna l’inizio di un esodo. I primi momenti della nuova vita possono trascorrere abbastanza sereni, soprattutto se si è sorretti dalla buona volontà e dall’entusiasmo e si è incoraggiati e aiutati dai fratelli di fede. Poi cominciano, inevitabili, i rimpianti e le nostalgie e, a volte, l’esperienza deludente della vita della comunità cristiana.
Compaiono i dubbi, le esitazioni, i tentennamenti e la tentazione di rimettere in causa la scelta fatta. Si sente il bisogno di qualche segno, si pretendono da Dio prove concrete della sua fedeltà.
Non c’è da meravigliarsi che giungano questi momenti difficili: sono il segno che si è arrivati, come Israele… a Massa-Meriba. Anche con noi il Signore si mostrerà paziente. Alla nostra debole fede offrirà un segno: l’acqua prodigiosa che sgorga da Cristo, il suo Spirito, la sua parola e il suo pane.
Seconda Lettura (Rm 5,1-2.5-8)
1 Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; 2 per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio.
5 La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
6 Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. 7 Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. 8 Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
In mezzo alle difficoltà ed alle incertezze della vita, possiamo anche pensare che Dio ci abbia abbandonato e che la nostra speranza non abbia un solido fondamento.
Su che cosa la possiamo basare? Sulle nostre buone opere?
Se così fosse, se le benedizioni di Dio dipendessero dai nostri meriti, non potremmo mai essere certi della salvezza, vivremmo costantemente ansiosi e preoccupati perché siamo consapevoli della nostra debolezza e fragilità. Sappiamo che facilmente deviamo dal retto cammino.
Paolo oggi ci assicura: la speranza non è fondata sulle nostre opere buone, ma sull’amore di Dio, amore che non è debole, incostante e insicuro come il nostro. Noi siamo capaci di amare solo i buoni, gli amici, quelli che ci fanno del bene; per questi potremmo, in qualche caso eccezionale, essere anche disposti a sacrificare la vita. Dio è diverso. Egli ama gli uomini anche se sono suoi nemici e ne ha dato la prova: mentre essi rifiutavano il suo amore, lo disprezzavano, si tenevano lontani da lui, egli ha inviato loro suo Figlio (v. 7-8). Per questo – assicura l’Apostolo – “la nostra speranza non resterà mai delusa”, non perché noi siamo buoni, ma perché egli è buono (vv. l-2).
Vangelo (Gv 4,5-42)
5 Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. 7 Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. 8 I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. 9 Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. 10 Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. 11 Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? 12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. 13 Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. 15 “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. 16 Le disse: “Và a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. 17 Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene “non ho marito”; 18 infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. 19 Gli replicò la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta. 20 I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. 21 Gesù le dice: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai giudei. 23 Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. 25 Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. 26 Le disse Gesù: “Sono io, che ti parlo”.
27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: “Che desideri?”, o: “Perché parli con lei?”. 28 La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: 29 “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”. 30 Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
31 Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. 32 Ma egli rispose: “Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. 33 E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?”. 34 Gesù disse loro: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35 Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36 E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. 37 Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. 38 Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro”.
39 Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. 40 E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. 41 Molti di più credettero per la sua parola 42 e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.
Giovanni non riferisce mai i fatti della vita di Gesù nella loro pura materialità, li rilegge sempre e li utilizza per comporre pagine dense di teologia: non è mai agevole stabilire cosa sia realmente accaduto. Il caso della samaritana è esemplare: il simbolismo che accompagna tutto il racconto appare tanto evidente, che qualcuno ha addirittura posto in dubbio la storicità dell’evento e ha pensato che si tratti di una composizione letteraria dell’evangelista. Noi riteniamo che ci sia stato un incontro di Gesù con una donna di Samaria, ma il fatto è stato poi redatto con il linguaggio, le immagini, i riferimenti biblici con cui si è voluto veicolare un messaggio teologico.
Nel nostro commento terremo presenti i due livelli – quello storico e quello teologico – concentrando la nostra attenzione sul secondo.
Anticamente il pozzo era il luogo dove si ritrovavano le persone. Al pozzo si incontravano i pastori che venivano ad abbeverare le loro greggi, si fermavano i commercianti con le loro mercanzie in attesa dei clienti, venivano le donne ad attingere acqua (e magari anche a fare quattro chiacchiere…), si recavano gli innamorati a cercarsi una compagna.
La Bibbia racconta molti di questi incontri al pozzo (suggerisco di leggere i seguenti: Gn 24,10-25; 26,15-25; 29,1-14; Es 2,15-21); quello narrato nel vangelo di oggi ha come protagonisti Gesù e una donna di Samaria. Il pozzo di cui si parla esiste ancora, si trova lungo la strada che dalla Giudea conduce in Galilea, ha più di tremila anni, è molto profondo (m. 32) e dà ancora acqua buona e fresca, come al tempo di Gesù. Era il luogo dove tutti i viandanti facevano sosta, si ristoravano, ritempravano le forze.
Anche Gesù, stanco per il viaggio, si siede su questo pozzo. È mezzogiorno, quando arriva una donna ad attingere acqua e Gesù le chiede da bere.
La meraviglia della donna è comprensibile: dall’accento si è subito resa conto di avere a che fare con un galileo inviso alla sua gente. Come osa chiedere da bere a lei, una samaritana? Perché viola la norma severa che proibisce di parlare da soli con donne sconosciute? I rabbini insegnavano che, anche per un’informazione, le parole dovevano essere ridotte al minimo. Celebre l’episodio accaduto a rabbi Josè il Galileo che, ad un crocevia, chiese a una donna: “Quale strada porta a Luz?”. Riconosciutolo, la donna rispose: “Hai parlato troppo con una donna, dovevi dire: “Luz?”.
Essendo questa la mentalità, si spiega anche la meraviglia dei discepoli che, al ritorno dal villaggio dove si sono recati per acquistare cibo, trovano Gesù che parla con una samaritana.
L’atteggiamento libero del Maestro offre uno spunto di riflessione, anche se marginale rispetto al tema del brano. Gesù esige dai discepoli la purezza di cuore e di intenzioni; è addirittura severo su questo punto: “Chi guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,28), ma si comporta in modo libero e rifiuta ogni forma di discriminazione.
Dopo questa introduzione, veniamo alla parte centrale del brano, cioè al dialogo fra Gesù e la samaritana (vv. 7-26).
È importante capire chi è questa donna.
Il modo come l’evangelista la presenta lascia chiaramente trasparire la sua volontà di trasformarla in simbolo.
Proviamo a identificarla: non ha nome, non si dice da dove venga, l’unico elemento che la definisce è “samaritana”, che equivale a eretica, infedele a Dio. Chi può essere?
Viene al pozzo e nella Bibbia il pozzo – lo abbiamo rilevato – è spesso il luogo dell’incontro fra innamorati che poi finiscono per sposarsi. Curioso è il fatto che, per lasciare soli Gesù e la donna, l’evangelista, in modo abbastanza goffo e poco verosimile, allontani tutti i discepoli con la scusa della “provvista di cibo” (v. 8).
Chi rappresentano allora i due “innamorati” al pozzo?
Nell’AT si parla spesso del popolo d’Israele come della sposa alla quale il Signore si è legato con affetto indefettibile (si tenga presente che Israele, in ebraico, è femminile). Queste nozze non hanno avuto esito felice. L’innamoramento era iniziato nel deserto, dove Dio e Israele avevano vissuto esperienze indimenticabili. A questi momenti il Signore ripensava con nostalgia: “Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto” (Ger 2,2). Poi erano cominciate le infedeltà della sposa, i suoi tradimenti, le sue infatuazioni per gli amanti, il rimpianto per gli dèi dell’Egitto, l’adorazione dei Baal dei cananei, i flirts con le divinità degli assiri, dei babilonesi, dei persiani ed infine anche dei romani, provocando la gelosia del suo sposo.
Quale sarà la reazione del Signore? Il ripudio, il divorzio, il castigo?
Non se ne parla nemmeno: “Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? – dice il tuo Dio – Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore” (Is 54,6-7). Il Signore sceglierà un’altra soluzione. A costo di umiliarsi davanti alla sposa infedele, riprenderà a corteggiarla, perché l’unico suo obiettivo è riconquistarla: “Ecco, la attirerò a me, le parlerò al cuore… Canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto” (Os 2,16-17).
A questo punto l’identificazione della samaritana è scontata: è la sposa Israele, con alle spalle tutta la sua storia di amori e di adulteri; ha avuto tanti “mariti” e quello che ha ora non è il suo sposo. Al pozzo Gesù la incontra e vuole ricondurla al suo primo, unico vero amore, il Signore.
Alla luce di questo simbolismo sponsale, acquistano significato anche i dettagli apparentemente marginali del racconto. Anzitutto la strana annotazione: Gesù doveva passare per la Samaria; dal punto di vista geografico non era affatto obbligato a passare: si trovava al Giordano (Gv 3,22) e sarebbe stato molto più semplice per lui risalire lungo il fiume. Il “doveva” non può che riferirsi al bisogno irresistibile dello sposo – Dio – che non riesce a fare a meno di incontrare l’amata.
Era stanco per il viaggio. È l’unica volta che nel vangelo si accenna alla stanchezza di Gesù e non è certo per ragguargliarci sulla sua resistenza fisica. Il dettaglio è stato introdotto per richiamare il lungo viaggio, la distanza infinita che il Signore ha dovuto percorrere per ritrovare la sposa che lo aveva abbandonato: dalle altezze del cielo è venuto sulla terra; mosso da una passione incontenibile, infinita, è sceso fin nell’abisso più profondo alla ricerca dell’amata. Nessuna distanza, nessuna difficoltà, nessuna fatica lo ha scoraggiato. Il pensiero va spontaneamente all’inno della Lettera ai filippesi: “Egli che era di natura divina… svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo… divenendo simile agli uomini, umiliò se stesso… fino alla morte di croce” (Fil 2,6-8).
Siamo così introdotti nel tema centrale del dialogo fra Gesù e la samaritana.
I discepoli sono andati alla ricerca del cibo materiale; la donna è venuta ad attingere acqua al pozzo. A tutti Gesù offre invece un cibo e un’acqua che essi non conoscono (vv. l0.32).
La sete della samaritana è il simbolo dei bisogni più intimi che tormentano il cuore della sposa-Israele: il bisogno di pace, di amore, di serenità, di speranza, di felicità, di sincerità, di coerenza, di Dio. Sono questi i bisogni che ogni uomo sperimenta.
L’acqua del pozzo indica i tentativi e le astuzie che l’uomo mette in atto per placare questa sete che nessuna “cosa” materiale riesce a soddisfare.
L’acqua viva che Gesù promette è di altro tipo, è lo spirito di Dio, è quell’amore che riempie i cuori. Chi si lascia guidare da questo Spirito ottiene la pace e non ha bisogno d’altro.
La donna di Samaria, all’inizio del dialogo, pensava all’acqua materiale, non sospettava neppure che potesse esisterne un’altra. Un po’ alla volta, però, ha cominciato a percepire e ad accogliere la proposta di Gesù. La sua progressiva scoperta è sottolineata con cura dall’evangelista. All’inizio, per lei, Gesù è un semplice viandante giudeo (v. 9); poi diviene un signore (v. 11); poi un profeta (v. 19); in seguito è il messia (vv. 25-26); infine, con tutto il popolo, lo proclama Salvatore del mondo (v. 42).
Attraverso il cammino spirituale della donna di Samaria, Giovanni vuole far intuire ai cristiani delle sue comunità il percorso proposto a ogni discepolo. Prima di incontrare Cristo l’uomo è preoccupato unicamente degli aspetti materiali della vita. Sono realtà importanti, anche indispensabili, ma non bastano, non possono costituire l’obiettivo unico e ultimo della vita. Solo chi incontra Cristo, chi scopre che egli è il “salvatore del mondo” e accoglie il dono della sua acqua, sente che ogni fame e ogni sete possono essere saziate.
L’ultima parte del vangelo (vv. 28-41) presenta la conclusione del cammino spirituale della samaritana e di ogni discepolo. Cosa fa questa donna dopo aver incontrato Cristo? Abbandona la brocca (non le serve più perché ormai ha trovato un’altra acqua!) e corre ad annunciare ad altri la sua scoperta e la sua felicità.
È l’invito a divenire missionari, apostoli, catechisti, a raccontare a tutti la gioia e la pace che prova chi incontra il Signore e beve la sua acqua.