Il fascio di luce della Pasqua colpisce il mistero che, come un prisma, fa uscire gli spicchi di luce che ne esaltano la bellezza e l’intensità dei particolari che lo compongono.
Nel tempo simbolico dei “quaranta “giorni – un tempo pensato più che sufficiente nel mondo giudaico a formare un discepolo – Gesù risorto ha accompagnato la sua comunità ad assimilare il destino glorioso della sua persona e della sua vicenda. La passione è stata assunta totalmente, la notte sconfitta definitivamente. Resta solo il “ritorno” al Padre con l’umanità redenta e segnata ancora dalle ferite della violenza umana.
Gesù giunge alla conclusione gloriosa della sua vicenda, emerge vittorioso dal battesimo tanto desiderato, dal fuoco fatto ardere sulla terra. Non vince solo la sua causa, ma è “perfezionata” sacerdotalmente anche la sua umanità. La sua persona, assimilata la volontà d’amore del Padre, lo ha trasformato e reso perfetto nella sua umanità, sacerdote in eterno per la potenza di una vita indistruttibile (cf. Eb 7,16). È venuto dal Padre e ora al Padre ritorna, dopo aver amato i suoi fino alla fine, fino all’estremo dei giorni e all’esaurimento delle fibre della donazione (cf. Gv 13,1ss).
Gesù risorge, “ascende” al cielo, siede alla destra del Padre, da dove invierà lo Spirito. Il mistero pasquale si dipana nella sua ricchezza, che vuole includere e abbracciare tutti i discepoli e il mondo intero.
Mi è stato donato ogni potere
Il Vangelo di Matteo si conclude “sul monte” sul quale Gesù risorto aveva “comandato” ai suoi discepoli di raggiungerlo. “Il monte” sul quale YHWH aveva rivelato, tra fenomeni atmosferici tremendi e spaventosi, la sua volontà sancita nel patto del Sinai, si è trasfigurato nel “monte” del Gòlgota come luogo dell’offerta del Figlio, l’Amato, l’Unico. La Legge si era trasfigurata in una persona, i decreti in impulsi di vita filiale divina. C’erano sì le tenebre, ma celavano e insieme rivelavano la Legge rinnovata, il Patto ricostituito ad una profondità e ad una qualità oramai insuperabile.
Non Legge, ma sangue e acqua. Non Legge, ma soffio di Spirito che esce da una coscienza filiale di donazione generosa, cosciente, voluta.
L’appuntamento è in Galilea. Si deve ritornare al tempo dell’amore della giovinezza (cf. Ger 2,2), quando i discepoli seguivano con totale affetto il loro Amato. Occorre rielaborare e riassimilare tutto il proprio percorso di discepoli alla luce degli eventi pasquali.
Il terzo monte tocca ormai il cuore del Padre. Ora dubitano tutti; tutti sono esitanti e incerti sul corso dei fatti e sulle azioni accadute e sugli eventi che seguiranno di lì in poi. Ma Gesù prende ancora generosamente l’iniziativa e si avvicina a loro. «Mi è stato dato – dal Padre – ogni potere (exousia) in cielo e in terra» annuncia loro.
È la base di fiducia assoluta da cui partire, su cui fissare i battiti del cuore e il movimento dell’anima. Tutto era stato sottomesso all’uomo, fatto poco meno di Dio, affermava il salmista estasiato (cf. Sal 8,6-7). Ora il figlio dell’uomo, il Figlio di Dio, conferma la sua autorità su ogni potenza che si arrogasse il potere di agguantare il cuore dell’uomo per strapparlo dalla sua immensa dignità di figlio di Dio.
Gesù aveva mostrato in tutto il suo ministero il suo potere di insegnamento e di guarigione. La sua autorità e il suo potere gli erano stati contestati e denigrati, addirittura fino ad attribuire ad essi un’origine demoniaca (cf. Mc 3,22-30). Ma il potere di Gesù è per la vita, la ricostituzione dell’uomo nella sua integrità, la riaffermazione dell’unica verità che svela all’uomo la sua dignità completa e il suo fine che scavalca i confini del tempo e dello spazio. «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”» (2Cr 36,23). “Salga” (yāal)! Con un imperativo di ascesa – decretato con solennità da un re pagano – si conclude il canone ebraico dei libri biblici.
Dalla prigionia dell’Egitto il popolo era salito nella terra della promessa. Ora il re benevolente, che rispetta i costumi religiosi dei popoli, permette agli ebrei esiliati di ritornare in patria e ricostruire il loro tempio.
La linea di fedeltà di YHWH passa anche attraverso un re pagano, reso “servo”, “messia”, “eletto” (cf. Is 42,1; 45,1). In tal modo, i cristiani possono vedervi un invito a “salire” al Nuovo Testamento, a Gesù, portando con sé tutta la ricchezza dell’Antico.
Ciro pensa di avere il potere su ogni regno. Onnipresente megalomania, presente anche nei dittatori più illuminati. Colpisce, però, la coincidenza di conclusione dell’AT ebraico e del Vangelo di Matteo, il più attento alle tradizioni ebraiche raccolti nelle sacre Scritture che sarebbero confluite nel secolo successivo a formare l’“Antico Testamento”.
A Gesù risorto sono stati dati/donati dal Padre veramente ogni autorità e potere. L’uomo è avvolto da un potere non superficialmente benevolente, ma da un’autorità di vita amante dell’uomo. Siamo fratelli del Risorto, siamo nelle sue mani. Nessuno potrà strapparci dalle sua mani (cf. Gv 10,28) e dal suo cuore.
Andate, fate discepoli, io sono sempre con voi
Sulla base e con la forza del “potere/autorità” universale di Gesù risorto, egli impone ai suoi l’uscita per la missione altrettanto universale. Dopo gli “esercizi scolastici” della missione pre-pasquale nell’ambito dei confini di Israele (cf. Mt 10,1-16), per raccoglierne le pecore perdute, ora è tempo della missione universale, verso tutte le genti, tutte le nazioni, tutte le lingue.
Con la forza del Risorto il discepoli devono innanzitutto non annunziare una dottrina o sacramentalizzare a tappeto. Essi devono rendere le persone discepole di Gesù, attirarle al dolce Signore, farle innamorare della sua persona a causa dell’immenso amore che lui ha dimostrato con la sua vita, la sua parola, la vita “posta/deposta” per tutti (cf. Gv 10,11.15.17-18; cf. 13,4.12).
Il sangue e l’acqua usciti dal costato (cf. Gv 19,34; cf. 7,37-39), dalla coscienza filiale messianica dell’Unigenito Figlio deve arrivare a dissetare ogni anima bruciata dall’ardore del nemico, già qui in terra, come brucia la gola del ricco epulone che non mai visto uomo alcuno giacere miserando alla sua porta (cf. Lc 16,19-31).
Creare comunità di discepoli amanti di Gesù, uniti nell’amore e nel perdono reciproco (cf. Mt 18) rinnoverà la faccia della terra, sconvolgendone i criteri di giudizio e di comportamento. I discepoli faranno vedere possibile una vita alternativa, controcorrente, veramente amante degli uomini e rispettosa della varietà sinfonica delle lingue e delle culture.
Il battesimo sigillerà nella fede l’entrata delle genti “in” (eis) tutta la Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo.
È un vero e proprio “passaggio di proprietà”, che rende l’uomo figlio di Dio, partecipe di una vita di donazione interpersonale che sfocerà nella vita “eterna” iniziata sulla terra e fatta lievitare dalla vita nuova e bella dei vangeli.
Gesù risorto rimarrà in eterno l’Emmanuele, il “Dio-con-noi” che connotava in profondità la sua persona, che già portava esternamente un nome di salvezza: “Gesù”, colui che salva il popolo dai suoi peccati. Come potenti piloni di un ponte lunghissimo ma solido, in Vangelo e la vita cristina è sostenuta da questa certezza, che segna l’inizio (Mt 1,23) e la fine del Vangelo di Matteo (Mt 28,20).
Un pilone supplementare sostiene elegantemente il centro del ponte su cui viaggia la comunità della Chiesa (e del mondo intero): è la promessa della presenza di Gesù in mezzo a una comunità che prega sinfonicamente nel suo nome, chiedendo qualsiasi cosa (evidentemente secondo il suo cuore e la sua volontà!) dopo essersi riconciliata in precedenza con il perdono fraterno (cf. Mt 18,19-20: «In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (ekei eimi en mesōi autōn)».
Nel Vangelo di Matteo non troviamo alcuna scena di “partenza”, di “ascensione” di Gesù “al cielo”. Secondo l’evangelista del Vangelo della Chiesa, Gesù è presente direttamente come Risorto in mezzo alla sua comunità, per guidarla sulle vie della fedeltà e della fecondità evangeliche. Il Risorto promette la sua presenza efficace in mezzo alla sua comunità fino alla “consumazione perfetta” (synteleia) di (questo) “eone/aiōn”.
Questo mondo, straordinario ma precario e penultimo, giungerà alla sua perfezione pasquale sotto la dolce sovranità di Gesù risorto, aiutato dalla vita coerente di coloro che egli non si vergogna di chiamare «i miei fratelli», i fratelli del Risorto (cf. Mt 28,10; cf. Eb 2,11-12).
Fu assunto… e se ne andava
La prospettiva dell’autore degli Atti degli apostoli (che con la maggioranza degli studiosi chiamiamo Luca) nel comporre la seconda aperte dell’Opera Lucana (Lc-At) è molto diversa da quella del Vangelo di Matteo. Tutte le cristofanie pasquali avvengono a Gerusalemme, e dal tempio in cui tutto era iniziato (Lc 1,9), al tempio i discepoli ritornano in permanenza, lodando Dio con grande gioia (cf. Lc 24,53).
Su comando di Gesù risorto, da Gerusalemme partirà poi la corsa della Parola, per raggiungere Roma, la capitale dell’impero che raggiunge i confini della terra allora conosciuta (cf. At 1,8).
Gesù risorto accompagna per un tempo simbolico (“quaranta giorni”) la sua comunità che inizia timorosa il proprio cammino, ma poi giunge il momento nel quale la sua presenza fisica, legata allo spazio e al tempo, ha termine col ritorno al seno del Padre.
Già a metà della sua vita pubblica Gesù aveva fatto «la faccia dura» e si era messo in cammino deciso verso Gerusalemme, al tempo in cui «stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto/della sua assunzione» (en tōi sumplērousthai tas hēmeras tēs analēmpsis autou) (Lc 9,51).
Dopo la Pasqua, Gesù si mostra vivo ai suoi, mangia con loro e comanda ad essi di rimanere a Gerusalemme in attesa del compimento della promessa fatta del Padre, quella cioè di ricevere il battesimo in Spirito Santo (cf. At 1,6). Non sono tempi per coltivare sogni di regni terreni: tutto è sotto la signoria del Padre. Importante è ricevere quella “forza” (dynamis) dello Spirito Santo che li renderà discepoli-testimoni non solo «di queste cose» (Lc 24,48), ma soprattutto della persona di Gesù: «di me sarete testimoni a Gerusalemme, e in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8).
Secondo uno schema spazio-temporale adatto alla nostra mentalità e immaginazione umana, dove il male sta sotto e il bene, il cielo, Dio, sta sopra, viene per Gesù il momento in cui non è più avvertito presente fisicamente dalla sua comunità. Egli, dopo una vita da uomo di Dio “compiuta alla perfezione” venne assunto (anelēmphthē), “fu elevato in alto (epērthē), fu sottratto alla vista /fu preso in carico (hypelaben) da una nuvola (= il mondo di Dio)” e “se ne andava (poreuomenou autou)”, “assunto in cielo” (analēmptheis).
Così fu per altri uomini di Dio che non “gustarono la morte” ma furono rapiti e portati subito in Dio. Così avvenne per Enoc: «Enoc camminò con Dio, poi scomparve perché Dio l’aveva preso (ebr.: prese/lāqaḥ; gr. metethēken/traspose)” (Gen 5,24); così fu per Elia: «Mentre continuavano a camminare conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due [= Elia ed Eliseo]. Elia salì nel turbine verso il cielo (ebr. wayyal/ salì; gr. anelēmphthē/fu assunto)» (2Re 2,11).
«Avete udito ciò che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate» (Gv 14,28-29). Questo aveva detto Gesù nei suoi discorsi di addio nel Cenacolo.
I discepoli devono rallegrarsi del fatto che Gesù arriva al perfetto compimento della volontà del Padre anche nella sua umanità ferita a morte, portata da Gesù al Padre come trofeo glorioso del suo cammino di salvezza fra gli uomini.
Il cielo può essere certo “in alto”. Ma può essere anche nella “profondità” delle cose. Gesù raggiunge la pienezza della sua vita, la profondità massima della sua missione, il vertice del suo dono, e riporta al Padre il bottino di una carne trafitta che splenderà per sempre “in cielo” davanti a Dio e agli angeli. «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri…» (lett. “fece prigioniera la prigionia”) (Ef 4,8a).
Non si separa certo dal mondo Colui che invia il suo Spirito di Figlio a dare forza alla missione terrena della sua Chiesa. Il Capo del Corpo precede glorioso il cammino della Chiesa pellegrina verso il suo destino di gloria, la speranza che l’attende «in cielo» (cf. Col 1,5), il suo Capo, il suo Signore, il suo Sposo. Gesù risorto ora è libero dai limiti dello spazio e del tempo.
Il suo movimento ascensionale è il tentativo di rappresentare descrittivamente l’entrata definitiva di Gesù nel mondo del Padre, invisibile agli occhi, ma presente al mondo e alla Chiesa con potenza nella forza dello Spirito del Figlio.
Gesù ascende nelle “profondità” delle cose divine, inseparabili d’ora in poi dalle vicende degli uomini e delle donne che camminano fra le gioie e i dolori, popolo trasfigurato, battezzato nello Spirito, lievito di un mondo nuovo. «Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore» (s. Agostino, II lettura Ufficio Solennità dell’Ascensione).