Si mostrò vivo per quaranta giorni
Nel Prologo degli Atti (At 1,1-14), l’autore della seconda parte dell’opera doppia Lc-At (comunemente identificato con Luca) elabora un racconto che raccorda intimamente il finale del Vangelo con l’inizio dell’opera che narra la corsa della parola da Gerusalemme a Roma.
Il Vangelo di Luca inizia nel tempio di Gerusalemme (Lc 1,5-22) e termina nello stesso luogo (Lc 24,53). Con una sottile articolazione a embricatura, Luca inizia il libro degli Atti con un rimando alla prima parte della sua opera conclusa con l’assunzione di Gesù (Lc 24,51) e vi aggiunge il ricordo del suo comando di non allontanarsi da Gerusalemme fino al compimento della promessa del battesimo nello Spirito (At 1,4).
Concluso a Gerusalemme il Vangelo (Lc 24,52), da Gerusalemme (At 1,4) inizia il cammino della Parola che si concluderà a Roma, capitale dell’impero romano che raggiunge i confini della terra allora conosciuta.
Luca articola il suo Prologo ricordando la promessa dello Spirito e l’invio missionario intimato da Gesù ai suoi, fino ai confini della terra (At 1,1-8). In una seconda parte, racconta in un primo quadro l’ascensione di Gesù (At 1,9-11), raccordandolo al secondo quadro che descrive la prima comunità a Gerusalemme (1,12-14).
Per il tempo simbolico di quaranta giorni, periodo giudicato più che sufficiente dai rabbini del tempo per formare un discepolo, Gesù risorto accompagna la sua Chiesa, facendosi vedere dagli Undici e “mostrandosi ad essi vivo/hois kai parestēsen heauton zōnta” con molte prove. Colui che era considerato maledetto da Dio per la sua morte infame di croce aveva vinto la morte, dimostrando la sua giustizia e la verità della sua persona e del suo messaggio.
La promessa del Padre: il battesimo nello Spirito
Come ai tempi del diluvio universale (Gen 7,4), la durata della manna nel deserto (Es 16,35), la permanenza di Mosè sul monte Sinai (Es 24,18; 34,28), il cammino di Israele nel deserto della liberazione (Es Nm 14,3; Dt 2,7; Gs 5,6), il tempo impiegato dagli esploratori della terra promessa (Nm 13,25), la durata del regno di Davide (2Sam 5,4), il cammino di Elia nella fuga verso l’Horeb (1Re 19,8), il tempo concesso da Giona ai niniviti per convertirsi (Gn 3,4), la durata della permanenza di Gesù nel deserto all’inizio della sua vita pubblica (Mc 1,3), i “quaranta” giorni o anni plasmano la comunione della creatura e del popolo col proprio liberatore, legislatore e Voce a cui obbediscono le voci dei profeti.
Gesù plasma ulteriormente gli Undici – dopo il catecumenato prepasquale – con ulteriori insegnamenti circa la regalità di YHWH/Il Padre che crea il suo Regno nel cuore degli uomini e delle società.
Con un’inclusione letteraria perfetta, il libro degli Atti si concluderà a Roma, con la scena di Paolo che predica il regno di Dio con franchezza e senza impedimento (cf. At 28,31).
Gesù “prende insieme il sale/synalizomenos” con i suoi. Un pranzo che sigilla alleanza, comunione di vita che preserva dalla marcescenza e aiuta ad accendere il fuoco della “legna” che dovrà incendiare il mondo intero.
Da Gerusalemme non ci si deve “partire/allontanare/separarsi/chōrizesthai”, perché non sta per iniziare un’avventura di carattere “umano”, ma divino (cf. la raccomandazione di Gamaliele ai sinedriti in At 5,38-39).
A Gerusalemme, luogo della morte e risurrezione pasquale di Gesù, il Figlio di Dio, si deve attendere la pienezza del mistero pasquale: l’effusione dello Spirito Santo. Egli (cf. il pronome dimostrativo maschile personalizzante in Gv 15,26!) è la “promessa/epaggelia” del Padre, enunciata dal Figlio, fedele plenipotenziario e ambasciatore scrupoloso.
Nella sua missione prepasquale Gesù aveva preannunziato/promesso l’incombente battesimo nello Spirito Santo, dopo un primo battesimo con acqua amministrato da Giovanni Battista.
Gli apostoli non possono iniziare la missione di conversione dei cuori, senza prima essere stati immersi nella vita dello Spirito del Figlio di Dio, l’incendiario del mondo col fuoco del suo Spirito.
Di me sarete testimoni
Gesù parla del regno di Dio, gli Undici gli chiedono i tempi di realizzazione del regno per Israele. L’incomprensione politico-militare “terrestre” da parte dei discepoli continua. Il Padre ha posto “nella/en” sua autorità i tempi cronologici (chronous) e quelli giusti/escatologici/definitivi/gravidi di decisività (chairous) per la realizzazione del suo Regno, che non è di questo mondo e di cui il regno davidico era solo una pallida prefigurazione umana.
Con una distinzione qualitativa ben accentuata (“ma/alla”), nella sua risposta Gesù annuncia una venuta e una partenza: «Riceverete una potenza/forza sopravveniente del Santo Spirito sopra di voi e sarete di me testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino alla fine del mondo» (At 1,8 lett.).
La partenza missionaria testimoniale non potrà avvenire prima del sopraggiungere intenso e “preciso” (epelthontos… eph’hymas) di una potenza (= “della potenza”: il greco semitizzante nasconde e rivela un costrutto ebraico soggiacente che richiede l’assenza dell’articolo determinativo) che consiste nello Spirito Santo (genitivo epesegetico: la seconda parola spiega la precedente). Esso attrezzerà con una potenza divina, sovrumana, spirituale i discepoli quali testimoni all’altezza dell’oggetto della loro testimonianza.
Essa non verterà più tanto su “queste cose/toutōn” (Lc 24,48), ma si concentrerà interamente sulla persona di Gesù: sarete testimoni di me. At-testerete nei tribunali e sulle piazze, nei negozi e nelle sinagoghe, sulle navi e lungo il cammino, sul tavolo della tortura e nell’intimo delle case ciò che avete sentito, visto, sperimentato personalmente di ciò che sono io, di ciò che sento io, di ciò che vivo io.
La vita stessa dei discepoli entrerà a far parte del vangelo che testimonieranno. Questa è la concezione della “testimonianza” secondo Luca.
La ripartizione territoriale dell’invio missionario che Gesù risorto fa nei confronti dei discepoli non ha solo una valenza geografica e non è l’unico indice secondo cui strutturare il libro degli Atti. Essa rappresenta i campi principali della propagazione della Parola: la città madre Gerusalemme, il campo spurio ed eretico della Samaria, il mondo vasto delle genti che giunge fino alla “fine del mondo”.
All’incontrario del movimento centripeto previsto per la conoscenza della Torah di YHWH nell’Antico Testamento (cf. Is 2,1-5), ora la spinta centrifuga parte da Gerusalemme per raggiungere le genti là dove vivono. La Chiesa di Gesù, radicata nel popolo di Israele, deve essere sempre “in uscita”.
L’Assunto
Come gli è abituale, Luca visualizza in una scena esemplare, episodica e drammatica una verità teologica di fede. Egli dà fondo a tutta la ricchezza terminologica verbale della lingua greca per esprimere il mistero del ricongiungimento di Gesù risorto con il Padre, principio e termine della sua missione e della sua identità profonda. Mentre gli occhi dei discepoli lo “vedono/blepontōn”, Gesù “fu elevato/eperthē<ep-airō” da una forza esterna divina.
Luca si serve del linguaggio impiegato nell’AT per evocare l’elevazione dei grandi profeti o quello usato dalla storia romana per notificare la scomparsa celeste degli imperatori in vista della loro divinizzazione.
Sotto gli occhi dei discepoli, resi testimoni qualificati (a diversità di ciò che avvenne con Enoch in Gen 5,23 e con Elia in 2Re 2,11), Gesù “fu preso da sotto in su/fu elevato/anelēmpthē<ana-lambanō” (At 1,2), “fu elevato/eperthē<ep-airō” (1,9), “una nube lo prese su da sotto/lo prese in carico/hypelaben<hypo-lambanō”, di modo che Gesù è “l’Assunto/ho analēmptheis” (1,11) verso il cielo e “colui che se ne va/autonporeuomenon” (1,11) verso il cielo, cioè Dio/il Padre.
Luca visibilizza in una scena “spaziale” una verità teologica indiscutibile per la Chiesa, della quale gli Undici sono stati testimoni per esperienza propria. Dopo un tempo opportuno più che sufficiente per una ulteriore formazione postpasquale, Gesù cessa di essere presente in modo visibile alla sua Chiesa, per “raggiungere” in pienezza il termine/lo scopo della sua missione terrena quale Inviato dal Padre, Figlio dell’Altissimo, Colui che siede per sempre sul trono di Davide ormai spiritualizzato per regnare per sempre – e non solo su Israele –, il Santo (cf. Lc 1,32-35).
Il Vangelo dell’Infanzia di Luca, vangelo in miniatura, aveva indicato in anticipo l’altissima degnità del nascituro, anticipandola già nell’Annunciazione angelica a Maria, la madre, la “Tutta trasformata dalla grazia”.
Gesù raggiunge – trasformato e arricchito della sua vicenda terrena conclusasi con gli sfregi dolorosi della crocifissione – la pienezza della sua missione, il termine ultimo del compimento della sua stessa identità di Figlio di Dio incarnato fra gli uomini. Gesù raggiunge il Padre, la pienezza della vita divina striata ormai anch’essa del dolore degli uomini. «Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,33) proclamerà Pietro il giorno di Pentecoste.
“Innalzato/esaltato/hypsotheis<hypsoō” “alla destra/dalla destra/tēidexiai” del Padre, siede alla destra del Padre in pari dignità di potere regale di dominio e di possesso della pienezza dello Spirito Santo.
Gesù risorto “prende/riceve/accoglie/labōn” dal Padre lo Spirito promesso ai discepoli, perché egli lo possa riversare sulla terra non quale Spirito Santo generico, ma quale Spirito del Figlio Risorto, uno Spirito di figliolanza, che rende figli nel Figlio.
La sessione alla destra del Padre è il penultimo atto “teologico” del mistero pasquale. Nella pienezza del potere sovrano compartecipatogli dal Padre, Gesù risorto e asceso al cielo, seduto alla destra del Padre, può “effondere/spargere/execheen” sulla terra lo Spirito Santo che ha “preso/accolto” nella comunione col Padre. Si compie in tal modo la realtà di base perché possa compiersi la promessa del battesimo nello Spirito Santo, lo Spirito del Figlio risorto.
Verrà allo stesso modo
I due uomini in bianche vesti – esseri angelici che partecipano del mondo divino (“bianco”) e che aiutano in modo personalizzato il cammino degli uomini – scuotono con un elegante rimprovero i discepoli che «se ne stavano in continuità a fissare con sguardo attento e fisso in un punto solo verso il cielo/atenizontes ēsan eis ton ouranon». Non bisogna restare a fissare il mondo di Dio, perché Gesù risorto e innalzato/elevato/portato su dal Padre e “che se ne va per virtù propria/poreuomenou autou” (verso il cielo/il mondo di Dio), “verrà/eleusetai<erchomai = venire (non “tornare” o “ritornare”…)” nello stesso modo in cui i discepoli l’hanno visto “andarsene/poreuomenon”.
Cristo glorioso e seduto alla destra del Padre verrà certamente, e non solo alla fine dei tempi. Verrà con la pienezza dello Spirito donato dal Padre (Gv 14,17), Spirito inviato dal Padre nel nome di Gesù Signore (Gv 14,26), lo Spirito che Gesù Signore invierà da presso il Padre (Gv 15,26), lo Spirito che procede da presso il Padre (Gv 15,26), lo Spirito che sopraggiunge sui discepoli a Pentecoste (At 1,8) e che “si posa (a sedere)/ekathisen” su ciascuno di loro (At 2,4).
È lo Spirito effuso da Cristo Signore assiso alla destra del Padre dopo averlo “preso/accolto/labōn” da lui (At 2,33), lo Spirito di cui furono riempiti tutti coloro che erano radunati in preghiera dopo la liberazione di Pietro e Giovanni (At 4,31), lo Spirito Santo che testimonia insieme agli apostoli interrogati nel sinedrio (At 5,32), lo Spirito che riempie Stefano e “i Sette” (At 6,3.5; 7,55), che i samaritani ricevono tramite l’imposizione delle mani da parte di Pietro e Giovanni (At 8,15.17.18) ecc. È lo Spirito di Gesù che impedisce a Paolo e a Timòteo di passare in Bitinia (At 16,7).
La Chiesa si consolida, cammina nel timore del Signore e cresce di numero in Giudea, Galilea e Samaria con il conforto dello Spirito Santo (At 9,31).
Gesù risorto viene nella sua Chiesa con il suo Santo Spirito e l’accompagna fin d’ora nel suo cammino di “testimonianza/martyria” – talvolta “martirale” – fino a raggiungere il confine del mondo (cf. At 1,8), i confini di ogni cuore.
Annunciate il Vangelo a ogni creatura
Nella “finale lunga” del Vangelo di Marco (Mc 16,9-20), un autore diverso dall’evangelista compone una testo conclusivo – canonico ma non marciano –, perché sente il bisogno di riassumere per la Chiesa destinataria dello scritto le notizie dell’attività di Gesù risorto dopo la brusca “finale aperta” di Mc 16,8.
Nella parte conclusiva (vv. 15-20) della “finale lunga” viene descritto come Gesù risorto invii gli Undici in tutto il mondo perché annuncino ad ogni creatura la buona notizia del vangelo. La totalità dello spazio (ton kosmon apanta) e dei destinatari (pasēi tēi ktisei) rivela la volontà salvifica universale che regna nel cuore di Gesù risorto. Per la salvezza sono decisivi la fede e il battesimo, per la condanna è discriminante la sola incredulità. Sempre lasciando mano libera alla volontà salvifica di Dio nei confronti di tutti coloro che non lo respingono deliberatamente e scientemente (cf. 1Tm 2,4).
Vari segni di protezione personale (che attestano la verità della loro causa e veridicità della loro persona, cf. Paolo punto da una vipera a Malta in At 28,3-6), di amplificazione delle possibilità linguistiche di annuncio, di effetti terapeutici nei confronti dei malati, accompagneranno gli evangelizzatori.
All’invio evangelizzatore e promotore della dignità delle persone e della salvaguardia del creato, segue la breve notizia dell’ascensione di Gesù e della sua sessione sovrana alla destra del Padre. Gesù “fu assunto verso il cielo/anelēmphthē eis ton ouranon” “e sedette alla destra di Dio/kai ekathisen ek dexiōn tou theou”. Con pronta obbedienza al Risorto, la Chiesa si mette “in uscita/usciti/exelthontes” e, come un araldo, sbandiera la buona notizia per ogni dove.
Il Signore – cioè Gesù risorto – “collabora/synergountos” con gli evangelizzatori e “rafforza e rende stabile la Parola/bebaiountos ton logon” con i segni che accompagnavano gli araldi del vangelo.
Parola stabile e segni confortanti l’opera di evangelizzazione e di promozione umana attestano la presenza di Gesù risorto nell’azione della Chiesa. La sua opera sarà feconda però solo perché non è autoreferenziale, ma in totale dipendenza e obbedienza al suo Signore, presenza diffusiva di vita buona per “ogni creatura, in tutto il mondo”, con attenzione particolare ai malati e a coloro che sono fragili spiritualmente e psichicamente.
Colui che è asceso al cielo non si è allontanato da noi, ma ci ha dato la sicura speranza che dove è il capo, là sarà anche il suo Corpo, alla conclusione dell’annuncio universale della bella notizia che Dio ama tutti gli uomini.
«Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo.
Con lui salga pure il nostro cuore» (Agostino).