Il dono dello Spirito ricevuto nella Pentecoste viene celebrato oggi in una delle più grandi trasformazioni vitali da lui operate: il pane e il vino – elementi molto importanti per la vita e la gioia del cuore dell’uomo (cf. Sal 104,15) – vengono trasformati nel corpo e nel sangue di Cristo nell’ambito della celebrazione eucaristica. In essa l’assemblea dei discepoli di Gesù è costituita suo corpo ecclesiale, sacramento della sua presenza riconciliatrice nel mondo. L’assemblea è trasformata in ciò che assume. La persona (= corpo) e la vita donata (= sangue) di Gesù trasformano ciascun credente e la Chiesa tutta nel Corpo di Cristo risorto che cammina ancora sulle strade del mondo, con la spinta interna del dono generoso di sé che la rende pane spezzato e vino donato per la vita buona di ogni uomo.
Alleanza
Dopo l’uscita dall’Egitto (Es 1,1–15,21), il libro dell’Esodo narra la sfida nel deserto (Es 15,22–18,27) e lo stazionamento di Israele alla montagna del Sinai (Es 19,1–40,38). In Es 19,1–24,11 vengono raccontati gli eventi del dono della Legge e la stipulazione dell’alleanza. All’annuncio dell’alleanza (19,1-9) segue la teofania della natura (19,10-20), la teofania del Decalogo (19,21–20,17) e la teofania del Codice dell’alleanza (20,18–23,33). La stipulazione dell’alleanza (24,1-11) conclude questo importante blocco narrativo del libro dell’Esodo. Ci è di aiuto nel nostro commento il bel commentario di M. Priotto.
In Es 19,1-9 l’alleanza tra YHWH era stata annunciata; in 24,1-11 viene conclusa e stipulata solennemente con l’aspersione di parole e di sangue.
Parole e sacrifici
Nel primo dei due giorni della narrazione (24,3-4a), Mosè “racconta/wayesapper” (la stessa radice da cui deriva “sēper = libro”) tutte le parole dettegli da YHWH (cioè le parole del Decalogo, Es 20,1-21) e tutte le norme da lui ricevute (cioè il Codice dell’alleanza di Es 22,22–23,33).
Mosè è fedelissimo nell’eseguire gli ordini di YHWH: in questo breve racconto viene ripetuto ben cinque volte l’aggettivo “kōl= tutto”. La parola di Dio è un assoluto, una realtà integrale non manipolabile. Il popolo esprime con una risposta unanime la propria volontà obbedienziale concreta, unitaria e incondizionata, rispetto a tutte le “parole/debārîm” di YHWH, senza eccezioni: “faremo/na‘ăśeh”.
In questa “liturgia della Parola” Mosè “mette per iscritto/wayyiktōb” tutte le parole di YHWH. Mosè è il fondatore del ministero dello scriba che mette per iscritto, legge e insegna la parola di Dio. Il seguito del libro mostrerà Mosè che interpreta e insegna con fedeltà ciò che YHWH gli ha detto.
Nel secondo giorno (24,4b-8) della sua permanenza alla base del monte insieme al popolo, Mosè compie (o fa compiere) tre azioni di importanza sempre crescente: erige un altare (24,4b), fa compiere un duplice sacrificio (24,5) e compie personalmente il rito del sangue (24,6-8).
Le dodici stele – originariamente pietre grezze erette a testimonianza di un evento importante e spesso criticate come simbolo di culto idolatrico – costituiscono l’altare “costruito/bānāh” e rappresentano l’intero popolo costituito dalle dodici tribù. L’altare diventa il luogo in cui YHWH incontra il suo popolo.
Mosè dà quindi ordine ad alcuni “giovani/ne‘ārîm” di compiere due tipi di sacrifici. Non esistendo ancora il sacerdozio levitico – si veda la legge dell’altare di Es 20,24-26, che non prevede la qualifica sacerdotale per gli addetti –, i giovani – considerati dalla tradizione rabbinica ripresa dal grande commentatore medievale Rashi come “primogeniti” che, in quanto consacrati (cf. Es 13,2; 22,38), fungono da sacerdoti – offrono sacrifici di olocausto (la vittima è bruciata interamente) e sacrifici di comunione (una parte della vittima viene consumata dall’offerente e dai suoi familiari nella gioia comunionale con YHWH). I giovenchi offerti sono animali particolarmente pregiati secondo le prescrizioni di Lv 1,3-17.
A questo sacrificio non seguirà alcun pasto, consumato invece dal gruppo di Mosè, Nadab, Abiu e i settanta anziani che saliranno sul monte. È quindi un sacrificio unico nel suo genere, dovuto all’unicità della circostanza che lo motiva, cioè la conclusione dell’alleanza.
Alleanza: parole e sangue aspersi
- Mosè prende metà del sangue e ne asperge l’altare. Nella Bibbia il sangue rappresenta la vita stessa (Lv 17,11), ed è perciò indisponibile all’uomo, appartenendo solamente a Dio (cf. Gen 9,4-6; Dt 12,16.23).
«Il rito dell’aspersione del sangue sull’altare significa l’offerta della vita delle vittime a Dio e implicitamente il riconoscimento che la vita appartiene solo a lui: l’altare infatti rappresenta Dio o, meglio, è il segno della presenza di Dio (cf. Gn33,20; 35,7; Es 17,15-16). È questo il significato dell’altare secondo la legge di 20,24, dove esso appare propriamente come il luogo in cui YHWH fa ricordare il suo nome e offre la sua venuta e la sua benedizione […]. Non stupisce che l’altare costituisca nel nostro testo non solo il luogo in cui Israele incontra YHWH, ma anche il segno di ciò che Israele stesso diventa con la stipulazione dell’alleanza; grazie ad essa, Israele diventa altare di YHWH» (M. Priotto).
- Mosè prende il “libro dell’alleanza” e lo legge agli orecchi del popolo, che risponde con un assenso positivo e concreto. Le parole di YHWH scritte da Mosè (24,4) vengono ora definite come “il libro dell’alleanza/sēper habberît”. Leggere e ascoltare le parole del libro equivale a leggere e ad ascoltare le parole di YHWH. Mosè le legge “nelle orecchie” del popolo, cioè con una lettura liturgica, diversa dal resoconto fattone in precedenza. La triplice ripetizione del verbo “prese/wayyiqqaḥ” (vv. 6.7.8) mette in parallelo l’aspersione del sangue sull’altare, l’“aspersione” delle parole e l’aspersione del sangue sul popolo.
Il popolo risponde positivamente aggiungendo al “faremo/na‘ăśeh” già promesso in modo generale in 24,3, un impegno più preciso, specificato con l’aggiunta “e ascolteremo/wenišma‘”. Dopo aver chiesto, per paura, a Mosè di fare da intermediario presso YHWH, promettendo «e noi ascolteremo» (20,19), ora il popolo si impegna in prima persona ad accogliere quella mediazione permanente che è il libro dell’alleanza, il libro delle parole scritte. Con questo si riconosce la corrispondenza tra legge orale e legge scritta e lo statuto teologico del libro.
- Mosè prende, infine, metà del sangue e ne asperge il popolo, proclamandolo “sangue dell’alleanza”.
Mosè non compie un rito magico, perché lo spiega con la parola: è «sulla base di tutte queste parole» che viene stretta l’alleanza. «Il sangue è il segno dell’efficacia della Parola, perciò ne assume la stessa qualificazione: il libro dell’alleanza, proclamato da Mosè e accolto dal popolo nel quadro della celebrazione liturgica, trasforma il sangue in sangue dell’alleanza. Di conseguenza, si tratta di un’alleanza stretta sulla base di una Parola offerta e ricevuta, ma espressa dal segno del sangue» (M. Priotto).
Si realizza quindi quanto preannunciato in Es 19,5-8: con la stipulazione dell’alleanza Israele diventa veramente un popolo sacerdotale e una nazione santa. «Più che di una consacrazione sacerdotale a imitazione di quella descritta in Es 29, si dovrebbe parlare più propriamente del dono di una vicinanza particolare a Dio, proprio come avviene per i sacerdoti durante il loro servizio liturgico; in questo senso, il parallelo con l’altare è significativo: come l’altare, così anche Israele diventa con l’alleanza il luogo in cui Dio si è fatto presente all’uomo, il segno cioè della sua vicinanza e della sua presenza» (M. Priotto, corsivo mio).
Mangiare la Pasqua
La terza Pasqua di Gesù, l’ultima e definitiva, è ormai alle porte. Con i suoi discepoli vuole mangiare il suo ultimo banchetto pasquale a Gerusalemme. Forse attraverso Giacomo, il fratello del Signore (accompagnato dalla sua gente, secondo il compianto archeologo benedettino B. Pixner), Gesù aveva preso in affitto una sala da amici e ora, con una parola autorevole, ne chiede di poterne usufruire.
Il particolare dell’uomo che viene incontro ai due discepoli con una brocca d’acqua – mentre il compito del suo approvvigionamento era riservato normalmente alla donna di casa) – può rimandare seriamente al fatto che Gesù voglia consumare la Pasqua da amici esseni, che risiedevano in un quartiere abitato in maggioranza da loro, situato nella parte sud-occidentale della città.
Con vari studiosi (A. Jaubert, B. Pixner e altri) possiamo supporre che Gesù abbia consumato una cena pasquale, o una solenne cena di addio da lui intesa come cena pasquale (forse prevedendo che non avrebbe fatto in tempo a celebrarla secondo il calendario ufficiale del tempio), in casa di amici esseni, il martedì sera.
Secondo il calendario solare in uso presso questo gruppo religioso del tempo di Gesù – diverso da quello lunisolare seguito dai sacerdoti nel tempio, con il quale gli esseni erano in forte contrasto – ogni festa importante cadeva in modo fisso il mercoledì.
È inoltre molto probabile che anche gli esseni di Gerusalemme consumassero la cena pasquale senza l’agnello, che avrebbe dovuto essere macellato ritualmente al tempio, cosa da essi assolutamente esclusa (cf. Pixner).
Il mio sangue dell’alleanza
Nella solenne cena pasquale Gesù identifica il pane spezzato e il vino dato da bere ai Dodici, sui quali ha pronunciato la benedizione, con il suo corpo (donato) e il suo sangue di alleanza versato per molti (= tutti). Gesù anticipa nel rito della cena pasquale la dedizione totale con la quale offrirà sulla croce tutto se stesso, corpo e volontà/coscienza/vita alla violenza degli uomini, ebrei e romani.
Il suo corpo e il suo sangue saranno di nutrimento agli uomini e la sua vita donata (= sangue) costituirà il segno efficace dell’alleanza nuova che lega ormai tutti gli uomini a Dio Padre. L’unica alleanza, ex parte Dei, attraversa l’intero corpo biblico con rinnovate stipulazioni ex parte hominum. Queste attualizzeranno l’unica ed eterna alleanza fra Dio e gli uomini, approfondendola sempre di più nelle sue clausole e nei suoi effetti.
L’alleanza nuova stipulata nel sangue di Gesù, il figlio di Dio, introduce nel mondo l’inizio del compimento definitivo dell’unione che lega Dio all’umanità. L’offerta cruenta che Gesù compirà di se stesso sulla croce i giorni successivi – accettata l’ipotesi della cena celebrata il martedì sera – realizzerà quella unione e comunione eterna e perfetta tra Dio e l’umanità da sempre progettata e compiuta a livello iniziale da YHWH col popolo di Israele.
La vita di Gesù era stata donata da sempre alla volontà del Padre (cf. Eb 10,5-10) e questa offerta verrà sigillata definitivamente con la sua preghiera pronunciata nel podere del Getsèmani (Mc 14,36). Il suo sangue/vita donata era già stato sparso sulla volontà d’amore del Padre. Nel momento della crocifissione il suo sangue sarà asperso anche sul popolo rappresentato da sua madre Maria, dalla sorella di lei, da Maria di Cleopa, da Maria di Magdala e dal Discepolo Amato presenti in piedi sotto la croce (cf. Gv 19,25-37).
Il sangue versato, cioè la vita donata in circostanze tragiche, diventa sangue di alleanza, sangue di perdono, di riconciliazione e di vita. È il sangue del Figlio di Dio che ormai lega nel suo amore in modo indissolubile cielo e terra grazie alla vita filiale che esso genera negli uomini per partecipazione alla sua vita di Figlio.
Alleanza nuova, rinnovata, approfondita fino al cambiamento del cuore e alla generazione di una vita filiale. L’unica ed eterna alleanza ha così raggiunto con questo l’inizio della sua realizzazione completa e definitiva.
La Parola ultima e definitiva di Dio è stata detta; la Parola proveniente dal Padre è stata aspersa sul cuore degli uomini.
Il sangue di Gesù è stato effuso; la Vita donata dal Figlio di Dio in circostanze tragiche è stata aspersa sull’altare della croce e nel cuore degli uomini.
Il silenzio adorante delle donne e del Discepolo Amato è diventato un silenzio assordante: «Noi faremo e ascolteremo».
La mensa è imbandita con la parola di Dio, con il corpo e il sangue del Figlio di Dio.
«Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa,
raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi d’amore» (Ct 5,1)