Nelle mani di Dio
Di fronte all’enigma della morte siamo tutti messi di fronte alla verità della nostra vita, della nostre azioni, dell’amore donato o sprecato. Siamo posti sul «crinale della fede» (papa Francesco). Il nostro sguardo si volta a destra e vede la vita passata, a sinistra e si spinge nel futuro dell’amore di Dio e di Gesù. Il buio fa pressione, l’angoscia dell’ignoto si insinua, anche se vogliamo bene a Gesù.
Il cuore è ferito quando pensiamo a qualche nostro amico e familiare che ci hanno lasciato, qualche volta addirittura un giovane o un bimbo di pochi giorni. E non lo capiamo, non lo accettiamo. Non è giusto! Chi non crede trova conferma che il Dio dei cristiani è incomprensibile, crudele e insensibile. Se esiste, non può permettere certe cose.
E il cuore del credente piange, ma si consola, pensando alle lacrime che Gesù versò per il suo amico Lazzaro. «Cominciò a lacrimare/edakrysen Gesù» (Gv 11,35, lett.). Non piange con disperazione, grida e gesti eclatanti/klaiō. Lacrime gli rigano il volto, l’animo è turbato/etaraxen heauton (v. 33;) e fremente in sussulti/enebrimēsato tōi pneumati (v. 33; cf. v. 38). «La speranza cristiana attinge da questo atteggiamento che Gesù assume contro la morte umana: se essa è presente nella creazione, essa è però uno sfregio che deturpa il disegno di amore di Dio, e il Salvatore vuole guarircene» (papa Francesco).
Fedeli nell’amore, rimarranno con lui
Sembra quasi che Gesù si sia “appoggiato” anche sull’ultimo libro dell’Antico Testamento, il libro della Sapienza, composto probabilmente ad Alessandria, in greco, verso il 30 a.C.
I giudei della diaspora greco-romana vanno sostenuti nella loro fede di fronte agli aspetti più idolatri e miscredenti della cultura ellenistica e i padri della fede vanno fatti conoscere con orgoglio come i primi sapienti del mondo, da cui hanno attinto anche i greci.
In Sap 3 gli scettici e i malvagi anestetizzano la loro angoscia e risolvono l’enigma del patto fatto con la morte – loro pastore – bypassandolo, prendendo in giro la sorte di un giusto, morto magari prematuramente e forse dopo varie sofferenze, ma credente e ancorato alla roccia della fedeltà del suo Dio, YHWH. Sono stolti e malvagi: «… gli empi invocano su di sé la morte con le opere e con le parole; ritenendola amica, si struggono per lei e con essa stringono un patto, perché sono degni di appartenerle» (Sap 1,16).
Già il profeta Isaia (e i suoi discepoli) avevano riportato il loro pensiero di illusi e di mentitori che sanno di mentire. Un ragionamento autolesionista, macabro e masochista – niente di nuovo sotto il sole –: «Voi dite: “Abbiamo concluso un’alleanza con la morte, e con gli inferi abbiamo fatto lega. Il flagello del distruttore, quando passerà, non ci raggiungerà, perché ci siamo fatti della menzogna un rifugio e nella falsità ci siamo nascosti”» (Is 28,15).
La comunità dei credenti si stringe attorno al giusto che è arrivato al termine del suo cammino terreno. Prega e riflette sulla sua vita e sulle vie di Dio. Nel suo amore YHWH ha “abbracciato” e portato insieme al defunto le sofferenze del crogiolo della vita. Nel loro “rigido” monoteismo, essi fanno risalire direttamente a YHWH la causa delle prove che la vita presenta a tutti, prima o poi. Anche al “giusto/ṣaddîq/dikaios”, al fedele esecutore della volontà di Dio espressa nella Torah/l’Istruzione. Il crogiuolo purifica, ma tormenta e scarnifica. Perché dover passare di lì?
Anche Gesù è rimasto in silenzio e in preghiera di fronte al mistero. Neanche lui spiega. Assume. Innocente, per noi ingiusti. Con amore, al posto di noi dis-amorati e infedeli, fragili nell’amore liquido che ci avvolge. E lui “sbuca di là”, unico nella storia, e dal fondale nero apre la ferita che salva, squarcia il velo che separa l’uomo dalla vista del suo Dio: «Il velo del tempio si squarciò in due/eskisthē, da cima a fondo… e molti corpi dei santi, che erano morti, risuscitarono» (cf. Mt 27,51). Uno “scisma” di vita.
I giusti «sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà più» (Sap 3,1). Non solo l’anima, ma tutta la mia persona, la mia personalità, il mio spirito “incorporato”, il mio “corpo pneumatizzato/intriso e trasfigurato dallo Spirito/sōma pneumatikon” (1Cor 15,44; cf. v. 46) sarà «nelle mani di Dio».
Platone è stato un grande, ma la Bibbia, con la sua comprensione integrale, olistica, della persona umana ha dato un contributo enorme all’accoglienza e alla valutazione positiva della corporeità dell’uomo. «Nessun tormento li/autōn toccherà» (Sap 3,1); «ma essi/hoi sono nella pace», «perché Dio li/autous ha provati e li/autous ha trovati degni/axious di sé»… Dio non prende con sé anime, accoglie persone.
La “pace” nella quali i morti in Dio vivono (più che “riposano”…) è il regno, la sovranità di YHWH pienamente realizzata perché interamente accolta da loro. «Il Signore/kyrios (= YHWH della Bibbia Ebraica, ma Gesù risorto per il NT) regnerà per sempre su di loro» (v. 8). «… come regnò il peccato [meglio: “il Peccato”] nella morte – ricorda san Paolo nella Lettera ai Romani –, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Rm 5,21). Infatti – egli ricorda sempre nella stessa lettera –, «il regno di Dio non è cibo e bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,7). In vita i credenti sono stati «saldi nella speranza della gloria di Dio» (Rm 5,2) e quella speranza era una persona, Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Paolo stesso è «apostolo di Gesù Cristo per comando di Dio nostro salvatore e di Gesù Cristo nostra speranza» (1Tm 1,1). Quelli che non credono in lui «non hanno speranza», sono «tristi» (cf. 1Ts 4,13).
Dalla città di Colossi, Paolo ha avuto notizie della fede di quella comunità «e della carità – aggiunge – che avete verso tutti i santi, a causa della speranza che vi attende nei cieli» (Col 1,5).
La speranza per chi crede non è solo un atteggiamento di tensione della fede verso Cristo, basato sulla certezza della sua morte e risurrezione per gli uomini, ma la sua stessa persona.
Per rivelarsi, Dio si serve dell’autore del libro della Sapienza con tutta la sua cultura e capacità letterarie, in questo caso della cultura greca segnata dal pensiero di Platone, che parla di immortalità dell’anima. Ma, per il credente in Cristo, ora questa immortalità è stata chiarito essere in realtà risurrezione di tutta la persona trasfigurata dallo Spirito Santo (cf. 1Cor 15).
Nel giorno della loro “visita/prova/episkopē” i credenti in Gesù saranno “visitati” per la salvezza (Sap 3,7). «Grazie alla tenerezza di misericordia del nostro Dio – canta Maria nel suo Magnificat intriso della fede dei poveri di YHWH dell’Antico Testamento –, ci visiterà un sole che sorge dall’alto». «Per voi che avete timore del mio nome – annuncia YHWH attraverso il profeta Malachia, l’ultimo testimone dell’AT secondo il canone cristiano – sorgerà con raggi benefici il sole della giustizia (lett. “il sole della giustizia e la guarigione nelle sue ali/raggi”) e voi uscirete come vitelli saltellanti dalla stalla» (Ml 3,20).
Le misteriose «scintille nella stoppia correranno qua e là» (cf. Sap 3,7) con la stessa gioia incontenibile dei vitelli trattenuti troppo a lungo costretti nella stalla, luogo chiuso e con poca aria a disposizione, con ben misera vista davanti a sé.
Un’esplosione di vita segnerà l’incontro del giusto con YHWH in cui ha creduto, che Gesù ha svelato, pochi decenni dopo il libro della Sapienza, essere il Padre che accoglie i suoi figli con le mani aperte, mani di pace, mani di luce che guariscno dalle strettoie delle angosce, mani che spingono al largo nella vita dell’amore senza fine.
La terra del regno
Il brano magnifico delle Beatitudini è già stato proclamato (e quindi già commentato) nella solennità di Ognissanti. È un proclama di via di santità resa possibile da Gesù, l’Emmanuele, il Figlio di Dio, a coloro che credono con fiducia totale in lui.
I discepoli dell’Emmanuele, i miti, erediteranno “la terra” dove scorre il vero latte e miele. Lo Sposo dirà loro: «Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi d’amore» (Ct 5,1).
Gesù risorto, lo Sposo, gioisce nel raccogliere con le sue labbra innamorate il miele e il latte da lui stesso donato alla Sposa con la sua Parola, la sua carne, la sua Vita. L’aggettivo possessivo “mio” viene ripetuto per ben nove volte in un solo versetto… È un bacio d’amore quello che accoglierà i miti, i “facitori di pace”, coloro che hanno amato la volontà di Dio, hanno vissuto la misericordia e hanno vinto il narcisismo con una pro-esistenza di forte mitezza e completa fiducia di “poveri” nella sola potenza di Dio. La “paga/ricompensa/misthos” (Mt 5,12) che attende coloro che vivono le Beatitudini non sarà di natura diversa dalla vita di fede e di amore vissuta sulla terra. Ne sarà la fioritura sgargiante, la pienezza dei frutti.
Le Beatitudini sono compito e dono al tempo stesso. Il cielo in una stanza, «un pezzo di cielo sopra la testa» (papa Francesco). La morte spaventa tutti col suo volto enigmatico, con il suo strappo che produce negli affetti più cari. Ma chi conosce l’abbraccio di Colui che lo attende alla fine, vive sereno e responsabile la vita sponsale iniziata con Gesù sulla terra.
«… Gesù ci prenderà per mano e ci dirà: “Vieni, vieni con me, alzati”. Lì finirà la speranza e sarà la realtà, la realtà della vita. Pensate bene: Gesù stesso verrà da ognuno di noi e ci prenderà per mano, con la sua tenerezza, la sua mitezza, il suo amore. E ognuno ripeta nel suo cuore la parola di Gesù: “Alzati, vieni. Alzati, vieni. Alzati, risorgi!”» (papa Francesco).
La fine è solo l’inizio. Un amore più libero e intenso.
Fiamma libera.
Scintille nella stoppia.