Il Secondo Isaia e Giovanni Battista dominano la scena di questa seconda domenica di Avvento e aiutano i credenti e ogni uomo di buona volontà ad aprirsi alla venuta del Signore nella vita degli uomini, ricordando la sua prima venuta e tenendo ben presente quella definitiva, l’ultima. Una venuta/avvento/ad-ventum di grazia e di consolazione, non di punizione e di castigo.
Nei cc. 40–48 il Secondo Isaia – al quale si attribuiscono Is 40–55 – parla soprattutto di Ciro il Grande, colui che permise a Israele di tornare a casa dall’esilio di Babilonia (538 a.C.) e dialogherà soprattutto con Israele//Giacobbe. Nei cc. 49–55 il profeta si rivolgerà a un secondo interlocutore, Gerusalemme. Probabilmente egli si trova ancora fra gli esiliati e non vede come un gran successo la sua missione di radunare e far tornare a casa il popolo di Israele (cf. 49,1-6, cerniera fra i due blocchi).
Un dialogo in cielo
In cielo (forse alla presenza del profeta?) si istaura un dialogo, dove una voce (vv. 1-2) parla a degli sconosciuti interlocutori (tra questi senz’altro il Secondo Isaia), invitandoli a consolare il popolo.
Nei vv. 3-5 un’altra voce, non situata nel deserto come è collocata dalla traduzione greca della LXX e dal NT (cf. Mc 1,3), invita a preparare la strada a YHWH; nei vv. 6-9 una voce (celeste?) interpella un interlocutore, probabilmente il profeta, che è chiamato imperiosamente a rivolgersi a Gerusalemme messaggera, perché annunzi alle città sorelle satelliti la venuta liberante di YHWH.
Consolate
Il grido giunge appassionato e urgente dal cielo: «Consolate, consolate il mio popolo». Parlate al cuore della sua capitale, il loro cuore, l’orgoglio dei loro occhi, l’ombelico del mondo. Parlate al loro cuore facendo riaccendere in essa il fuoco dell’innamoramento. Seducetela (cf. Os 3,16) con annunci amorosi.
Il Signore YHWH non ha pietà di lei, ma ha una parola di consolazione forte e solidale. Egli abbassa il suo cuore a quello esiliato della sua sposa/alleata. Prende nelle sue mani e nel suo cuore il cuore spezzato, inaridito, rassegnato dell’esiliata. Lo porta a sé e lo riscalda con poche parole, e con molti baci e carezze.
Soffiatele nel cuore il grido d’amore: «È finito il suo servizio militare, il suo servizio liturgico svolto nell’esilio» (a trent’anni i leviti entravano “in servizio”, come i militari, Nm 4,3). “È stato gradito/soddisfatto/accettato come valido/nirṣāh” (da YHWH) il sacrifico della sua “colpa/punizione/‘āwônāh”.
Ditele che per i suoi peccati ha ricevuto “il doppio”. Non doppio castigo, come dirà in altra prospettiva Ger 16,18: «Ripagherò due volte la loro iniquità». Il grande commentatore ebreo Rashi scrive: «“L’accoglienza del calice delle consolazioni da parte del Signore è come prendere due contro uno per tutti i debiti”. Quando Dio consola, dà il doppio di quanto ha chiesto prima, castigando» (cit. da A. Mello). Doppia consolazione, non doppio castigo (così va interpretato anche Is 61,7). Due calici di consolazione, contro uno solo di amarezza.
Preparate la strada
Si torna a casa! Dio visita il suo popolo esiliato da se stesso. Scarnificato nella profondità della sua fede, riceve il balsamo dell’annuncio del ritorno. Non è l’annuncio di ricchezza, di sconti spropositati. Non si annuncia alcun black Friday/black week. Non si proclama alcuna idolatria che prosciuga il cuore e perverte l’anima e la mente. Non si compra niente per spalmare balsamo su ferite, desolazioni, sconforti e incertezze di prospettive. Si sollecita il movimento della costruzione, non la passività dell’acquisto, tranfert di falsa compensazione.
Nel deserto dell’esilio e del ritorno preparate la strada di YHWH. Preparate la via a YHWH, ma anche preparate la via di YHWH. Raddrizzate la pista per lui, preparate la sua pista. Nella steppa, togliete via ogni ostacolo dall’“autostrada dei re”. Ancor oggi essa attraversa da regina da sud a nord la Giordania, facendo ripercorre da Aqaba ad Amman, fino a Damasco e oltre, le carovaniere di conquista, di esili di schiavi, di commercio delle più svariate e preziose delle merci.
Preparate la “strada/derek” e la “pista/mesillāh”, perché il deserto sia praticabile e non impervio. Non ci sono gallerie nel deserto ondulato del Medio Oriente. I camion procedono ancor oggi lentissimi sulle salite delle autostrade che superano lentamente le colline rocciose.
La pista di YHWH, la strada per YHWH sarà invece diritta, appianata, pareggiata. La colonna degli esiliati che rientrano si aprirà il passo nel deserto, appianando tutto ciò che può far difficoltà al cammino dei più deboli. Ma sarà anche YHWH che appronterà nel deserto della vita del suo popolo la strada per essere accolto, per tornare a casa insieme al suo popolo. Umiltà, lavorio spirituale, sgrossamento delle asperità dell’egoismo e del narcisismo, certamente.
L’avvento del Veniente offre senza dubbio una preziosa opportunità di lavorio spirituale, ma soprattutto ascolto di consolazione, accettazione della ricompensa di vita che il Veniente vuol portare al suo popolo esiliato, sconcertato, impaurito.
La Gloria è nuda
Il popolo fa del suo meglio per eliminare i sassi più grossi che impediscono la marcia. Ma non è il suo affaticarsi a far comparire la Gloria. La Gloria torna a casa perché così ha deciso la sua grazia. Babilonia è stata per un po’ di tempo il santuario provvisorio di YHWH: «… nelle terre dove sono andati sarò per loro per poco tempo un santuario» (Ez 11,16). “Miqdāš me‘aṭ/ santuario un po’?”, una specie di santuario minore, lontano da Gerusalemme.
Nudi/svelati erano partiti gli schiavi esiliati a Babilonia. Ora “si snuderà/si svelerà/si rivelerà” la Gloria di YHWH.
La Gloria torna a casa. Dalla via orientale essa giunge con un rumore simile a quello di grandi acque (cf. Ez 43,2. «La gloria del Signore entrò nel tempio per la porta che guarda a oriente» (Ez 43,4). Si chiude il cerchio aperto con la sua partenza “ingloriosa” per l’esilio, posandosi prima sulla soglia orientale del tempio (cf. Ez 10,18) e poi «sul monte che è a oriente della città» (Ez 11,23), il monte degli Ulivi.
Tutti gli uomini vedranno la Gloria “nuda/svelata” di YHWH. La sua gloria si rivela nel popolo che torna a casa, liberato. In quel momento YHWH è veramente glorioso, santo. «… Eccomi contro di te, Sidone [un’altra “potenza”], e mostrerò la mia gloria in mezzo a te. Si saprà che io sono il Signore quando di essa farò giustizia e manifesterò in essa la mia santità» (Ez 28,22). «Santificherò il mio nome grande, profanato fra le nazioni, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le nazioni sapranno che io sono il Signore – oracolo del Signore Dio –, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi. Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo» (Ez 36,23-24).
Gerusalemme evangelizzatrice
«La gente è come l’erba», certamente, e «secca l’erba» (Is 40,7-8). È cosa risaputa, ricorda il profeta. Ma «la parola del nostro Dio “si realizza/yāqûm” sempre» (Is 40,8). È la constatazione realista ma piena di fede del Secondo Isaia che risponde all’interpellazioni di «una voce» (v. 6) che lo invita a “gridare”. E il profeta, incerto sul contenuto, sulla modalità dell’annuncio e sulla reazione dell’interpellato grida: «Sali sul monte, Zion messaggera/mebaśśeret Ẓiyyôn…».
Sion deve farsi evangelizzatrice della buona notizia alle città sorelle, satelliti, che la circondano nel territorio di Giuda. Gerusalemme deve annunciare ad alta voce, senza paura, che YHWH, il Dio del popolo e delle città “verrà/viene (sempre)/sta venendo/yābô’”.
Il suo braccio è quello potente di un pastore che ha liberato Israele dalla schiavitù in Egitto (cf. At 13,17). Ha in mano il suo “salario/śeqer” (come i numerosi beni e greggi che Giacobbe si è guadagnato come compenso del suo lavoro, Gen 32–33). Lo precede la sua “paga/guadagno/pe‘ullāh”, come il bottino che un capitano vittorioso si porta a casa, e che nessun “forte” gli potrà strappare: «Si può forse strappare la preda al forte? Oppure può un prigioniero sfuggire al tiranno? Eppure, dice il Signore: “Anche il prigioniero sarà strappato al forte, la preda sfuggirà al tiranno. Io avverserò i tuoi avversari, io salverò i tuoi figli”» (Is 49,24-25). Il suo braccio è potentemente dolce: “raduna/qibbēṣ” il gregge (cf. Ez 34,12.13), sostiene al seno gli agnelli, porta al riposo fresco e irriguo le pecore madri che allattano ancora.
Questo è il bottino di YHWH, questo il suo guadagno: la vita fragile dell’esule che ritorna a casa, le migranti – che cercano casa e partoriscono sui barconi –, i minori non accompagnati (a volte molto piccoli) che sbarcano smarriti in terre sconosciute.
La Gloria è nuda, ma svela la sua onnipotente debolezza. Il Veniente giunge carico dei suoi beni, i figli e i fratelli che s’è guadagnato col riscatto.
Mai Dio è così santo come quando torna a casa così. Preparategli sgombra la sua strada. Il Liberatore ha fretta. Non si può morire per strada o in mare…
Voce che grida
Iniziamo a seguire Gesù per diventare suoi discepoli. Ci guida l’evangelista Marco, il Vangelo del catecumeno, il vangelo che probabilmente si leggeva di un solo fiato la notte di Pasqua (B. Standaert).
È il Vangelo di un Gesù sempre in cammino. Un Gesù su cui chiederci: «Chi è costui?» (Mc 1–8), per poi deciderci a seguirlo nel cammino del dono generoso di se stesso fino alla croce: «Veramente costui era Figlio di Dio» (Mc 15,39).
Leggiamo l’“inizio/il fondamento/l’elemento fondamentale/ciò che comanda /archē” nel Vangelo. È la buona notizia che ha la sua origine in Gesù Messia, Figlio di Dio. Lui è l’inizio e il fondamento del vangelo e, nello stesso tempo, lui è l’unico contenuto della lieta notizia.
Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazaret, Unto per la sua missione regale, messianica e liberatrice quale Figlio di Dio. Lui opera ciò che fa il Padre, e la sua opera sarà principalmente la lotta contro il male che schiavizza l’uomo e l’instaurazione della “sovranità di Dio” sui cuori di coloro che sono ben contenti di far parte del suo Regno.
Dalla profondità della storia attestata nelle sacre Scritture di Israele emerge evocativa la Parola che promette e che interpreta la vita e le persone. Le colloca nel piano di Dio. Una citazione “conflata” di differenti versetti biblici fonde le parole dell’unico Dio, dal disegno unitario che abbraccia esodo e profezia. Il destinatario dell’annuncio è Gesù Cristo, il Figlio di Dio.
L’angelo precursore promesso a Mosè nell’Esodo (Es 23,20) si concretizza ora nella persona di Giovanni il battezzatore, che precorre il volto/la persona di Gesù. Sarà lui a prepararne la strada “davanti a te”, Gesù Cristo, Figlio di Dio, quale nuovo Elia (Ml 3,22-24). Sarà una voce che grida nel deserto del mondo, come Giovanni il Battezzatore farà nelle profondità della fossa del Giordano, pozzo di peccati e vallo di liberazione.
Per una punteggiatura diversa da Is 40,3TM, ma conforme alla LXX (seguita a sua volta dalla Vulgata), Giovanni il Battezzatore è nel Nuovo Testamento la voce che grida nel deserto.
Nel deserto il rumore è quasi nullo, i decibel sono quelli del rumore di fondo, non più di cinque. Il deserto è silenzioso, ma non vuoto. La vita vi corre minimale, fragile e talvolta pericolosa.
I “serpenti brucianti/hanneḥāšîm haśśerāpîm” morsicano i talloni della gente che mormora contro Mosè e il suo Dio, YHWH (Nm 21,4-9). Oggi morsicano chi vive come se lui non ci fosse, imputandogli l’infelicità e i malanni della vita. Nel «deserto grande e spaventoso» gli scorpioni attaccano con chele enormi (Dt 8,15), le fauci delle vetrine aperte per la gente che accorre impazzita per gli sconti luccicanti.
Viene il più forte
Giovanni/Yoḥanan, il Battezzatore che porta la grazia/ḥēn di Dio, chiama ad un’immersione che cambi la mentalità, un “battesimo di conversione/baptisma metanoias”. Immergetevi nell’acqua del Giordano, sul confine della libertà. Dio ama i confini della libertà. Un confine che spinge a una scelta, a un distacco, a un abbraccio. Le “scelte sbagliate, i bersagli falliti/i peccati/hamartiai” che ci autoumiliano nella nostra dignità potranno trovare il redentore, colui che si abbassa più di noi per poterci afferrare quando cadiamo in basso.
Tutti cercano Dio, a loro modo. Tutti desiderano libertà e felicità. I peccatori incalliti nel male, per provare anche questa novità. Gli incalliti nel bene dei loro schemi religiosi e morali, per provare la possibile ebbrezza di un cuore nuovo. La Gerusalemme evangelizzatrice (cf. Is 40,9) fa accorrere al Giordano tutti i suoi figli e i figli delle città sorelle del territorio di Giuda. La profezia del Secondo Isaia inizia a compiersi.
Giovanni il Battezzatore vive, si veste e si nutre come il profeta Elia vissuto 850 anni prima di lui (2Re 1,8), ma il suo mantello di pelo non copre un bugiardo ingannatore e imbonitore di folle (cf. Zc 13,4). Il suo annuncio di banditore è chiaro. Dopo di lui, vicinissimo, sta venendo Il-Più-Forte di lui. Lui è lo Sposo di Israele, e il battezzatore non può arrogarsi il titolo di colui al quale appartiene la sposa. Lui è l’amico dello sposo, colui che gioisce alla sua voce e prepara nei dettaglia lo sposalizio dell’Amico.
“Non ho la capacità giuridica/ouk eimi hikanos” – afferma Giovanni il battezzatore – di slegare e togliere i sandali allo sposo che avrebbe diritto/dovere di prendere in sposa la cognata rimasta vedova, ma che invece è un vigliacco che abdica ai suoi compiti (cf. Dt 25,5-10; Rut), lasciandosi slacciare i sandali (e forse anche prendendosi in faccia gli sputi della cognata vedova, Dt 25).
Non pare che Giovanni faccia una semplice confessione di umiltà. Di fatto egli riconosce invece lo sposo titolare, e non vuol compiere un gesto matrimoniale inopportuno e fuori posto. Lo sposo legittimo non rinuncerà al suo compito. Egli però non immergerà nell’acqua del Giordano, acqua liminare di umiltà e di liberazione nel riconoscimento dei propri sbagli. Lo sposo immergerà nell’acqua vivente dello Spirito Santo, lo Spirito del Figlio di Dio che rende figli e fratelli coloro che sono generati dalla sposa.
Viene Il-Più-Forte. L’onnipotentemente debole nell’amore.
Sgombrate la sua strada, accogliete lo Sposo.
È un padre moderno. Porterà al suo seno i figli che più hanno bisogno di lui, scarrozzando felice e fiero i suoi bamberottoli.