Otto giorni di grazia e di gioia hanno segnato l’ottava di Pasqua, come fosse un continuo unico giorno pasquale. A conclusione dei giorni gloriosi, coloro che avevano ricevuto il battesimo deponevano le bianche vesti (di qui il millenario titolo dato a questa domenica – In albis/In bianche (vesti) – per riassumere quelli di tutti i giorni. Ultimamente si è voluto sottolineare la componente di misericordia presente nelle letture bibliche e nel mistero pasquale, adottando il titolo di “domenica della misericordia”.
Venne Gesù
Per i discepoli di Gesù, la sera della gioia pasquale è piena di eccitazione e di meraviglia stupita per gli incontri che il Risorto ha concesso alle donne, fedeli apostole degli apostoli.
È il giorno aurorale di una settimana nuova, il giorno primo, l’anticipo del giorno UNO (cf. Zc 14,7 yôm ’eḥād) che alla fine dei tempi unificherà e concentrerà i giorni dell’uomo nel cuore della Trinità.
La gioia si mescola allo sconcerto, al filo della forte perplessità e incredulità legate all’annuncio fatto da Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo e dalle altre donne che erano state con loro al sepolcro. Gli Undici e tutti gli altri lo giudicarono un «vaneggiamento» (Lc 24,11), lēros/chiacchera/bagatella/ sciocchezza/delirio (cf. Lc 24,8-11). Ma lo sconcerto e l’incredulità è conseguenza e causa della loro paura di dover fare da lì a poco la stessa fine del loro Maestro.
Le porte della camera alta/Cenacolo sono sprangate per paura delle forze ostili a Gesù (“i giudei”). Gioia, sconcerto e paura che solo Gesù può sciogliere con la grazia della sua “venuta”. Egli venne e stette in piedi in mezzo a loro, libero dal tempo, dallo spazio, dai muri che proteggono ma che anche escludono.
La pace/šālôm è il primo dono di Pasqua offerto da Gesù. La sua persona è šālôm, tutti i beni messianici possibili raccolti nella sua persona. Egli calma i cuori, rasserena con la sua presenza, fuga le paure, dissipa i dubbi e l’incredulità, medica la paura profonda di poter perdere la vita.
Come secondo dono pasquale Gesù mostra i segni della sua passione: le mani e il fianco trapassati dai chiodi e dal colpo di lancia. Vi si intravede dentro chiaramente l’amore, che ne è la sorgente profonda. «M’introduca il re nelle sue stanze: gioiremo e ci rallegreremo di te, ricorderemo il tuo amore più del vino. A ragione di te ci si innamora!» (Ct 1,4). La gioia è grande nel vedere il Signore, il Vincitore della morte, lo Sposo tolto per un momento, l’Amato portato via dalle «guardie che fanno la ronda in città» (Ct 3,3a).
Il Risorto dona nuovamente la “pace” pasquale che rasserena i cuori, perché l’ultimo nemico è stato vinto, nessun serpente infuocato potrà uccidere col suo morso velenoso nel deserto dei nostri giorni sotto il sole. “Io sono” è stato innalzato e, guardando a lui, restiamo in vita, contempliamo il Padre, il Dio-con-noi che non lascia mai solo il Figlio (cf. Nm 21,8; Sap 16,7; Gv 3,14-15; 8,28). Siamo tutti attirati a lui (Gv 12,32.34), trascinati nella sua rete pasquale non per morire, ma per avere la vita (cf. Gv 21,6.11).
Gesù, “venuto” all’incontro, offre il suo terzo dono pasquale: la missione, prolungamento della sua ricevuta dal Padre. La missione è un dono pasquale, parte essenziale della dote della sposa. Si parte per essere se stessi (“Vattene/Va’ verso te stesso”, Es 12,1), si esce perché la vita è movimento e testimonianza, si va perché la gioia dell’incontro non può essere trattenuta, si va per non morire di egoismo. «Trascinami con te, corriamo!», invoca l’Amata (Ct 1,4a). L’Amato è per tutti popoli, il Padre lo ha donato perché il mondo intero fosse salvato (cf. Gv 3,16-17) godendo del volto del Padre e della vita d’amore trinitaria.
Arriva il quarto dono pasquale. L’“insufflamento” edenico, il “respiro di vita/nišmat ḥayyîm” che aveva fatto diventare l’umanità plasmata dalla terra un “essere vivente/nepeš ḥayyāh” (cf. Gen 2,7) in attesa della differenziazione sessuale, ora giunge alla sua verità piena nel soffio dello Spirito Santo che il Figlio di Dio risorto dà ai suoi discepoli, ai suoi “fratelli” (cf. Gv 20,22; Mt 28,10).
Solo lo Spirito Santo del Risorto potrà far “lavorare” il quinto dono: la capacità di perdonarsi a vicenda i propri peccati e perdonare ai fratelli nel segno efficace della riconciliazione.
Mio Signore e mio Dio!
La sera della nuova creazione pasquale, il nostro “Tommaso/Didymos/gemello” era assente dalla comunità. Otto giorni dopo, però, è presente e può godere dell’annuncio degli altri dieci apostoli e dei discepoli presenti: “Abbiamo visto /Heōrakamen il Signore”. È una “visione”/horaō” di fede, una visione contemplativa, un “sapere/oida” collegato a un “vedere” donato, non “ottenuto per conoscenza acquisita/ginoskō”.
Tommaso – il Gemello di tutti noi – è incredulo come tutti gli altri dieci apostoli e i discepoli la sera della Pasqua. La sua colpa è stata quella di non aver creduto alle parole degli apostoli, quella di credere senza aver veduto… Il dolce rimprovero di Gesù (“non diventare/essere/ginou incredulo ma credente/pistos”, v. 27) coglie nel segno del desiderio di Tommaso – né migliore né peggiore dei suoi colleghi – di poter fare la stessa esperienza degli altri.
Sebbene non narrata nei particolari, quella di otto giorni prima dev’essere stata anche una sera di teneri abbracci, toccamenti, adorazioni, baci, constatazioni de visu dei segni della passione gloriosa eternizzata nel corpo del Figlio di Dio risorto. Tommaso desidera avere la stessa esperienza fatta dagli altri discepoli, toccare i segni dell’amore, i segni della passione, intravedere quel cuore cha ha tanto amato gli uomini da dare la vita per loro.
La sua assenza della comunità, nel giorno pasquale – per motivi che non conosciamo –, è provvidenziale per noi suoi “gemelli”. Tommaso ci prende con sé nella nostra fatica a credere e ci porta a una grande professione di fede, la più bella riportata nel Nuovo Testamento. Invitato a toccare con mano i segni gloriosi della passione ormai impressi per l’eternità nella vita trinitaria, Tommaso non lo fa, e facendo seguito all’invito forte fattogli prima dal Risorto – “diventa credente/ginou pistos” – se ne esce con la sua professione di fede “obbediente”: «Mio Signore e mio Dio!».
Tu sei il mio Signore, il padrone della mia vita, dei miei pensieri, del mio cuore, sei il vincitore delle mie paure e delle mie incredulità, sei più forte dei miei fantasmi e della malvagità della gente, sei più forte della mia paura di soffrire e di morire. Tu sei il mio Dio, il Santo, il Tutt’altro dalla mia povera umanità, che pure è la gioia dei tuoi occhi e carne della tua carne. Tu sei il mio Tutto, l’Orizzonte totale dei miei sguardi, la pienezza di quell’Amore “divino” verso cui fatico a camminare per assimilarlo. Tu rendi piena la mia vita, la rendi eterna, perché Tu sei sempre con me, il tuo bastone e il tuo vincastro sono il mio quotidiano conforto e protezione.
Attraverso il tuo fianco/pleuran (v. 20) trapassato vedo il Cuore del mondo, ciò che rende uno l’insieme dei tuoi fratelli, rispettando con onore la loro diversità e complementarità. Intravedo il Padre che tu dicevi non ti lasciava mai solo (cf. Gv 8,16.29). Sento il profumo intenso dello Spirito che ti tiene unito con lui in un eterno bacio d’amore e di consenso. Credo che tu sei il Signore e il Dio che ama gli uomini, che vuole la loro gioia piena (cf. Gv 16,24; 17,13). «Dolcezza è il suo palato; egli è tutto delizie! Questo è l’amato mio, questo l’amico mio, o figlie di Gerusalemme» (Ct 5,16). «Io sono del mio amato e il mio amato è mio…» (Ct 6,3).
Assente e presente, incredulo e credente, gemello nostro, Tommaso strappa per noi da Gesù risorto una beatitudine che ci conforta e ci muove a testimonianza: «Perché mi hai veduto, Tommaso hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,30).
Alla fine del I secolo, quando il Vangelo di Giovanni ricevette la stesura definitiva, già due generazioni di discepoli che non avevano visto il Risorto avevano creduto in lui. Lo riafferma Pietro, in una lettera più o meno contemporanea: «Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa…» (1Pt 1,8).
Erano perseveranti
Non sarà tutto oro quello che luccica, però lo scenario che l’evangelista Luca ci presenta nel primo dei tre sommari maggiori che punteggiano la seconda parte della sua opera, gli Atti degli apostoli (At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-6), ci colpisce per la densità dei suoi quattro elementi che restano normativi per la Chiesa di tutti i tempi.
Lo Spirito/spirito consegnato dal Cristo morente al nucleo originario della Chiesa nascente sotto la croce (cf. Gv 19,30) è diventato nella Pentecoste «quasi un vento impetuoso» (At 2,2) che si abbatte sulla casa dove erano riuniti in preghiera gli Undici, «insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (At 1,14).
Lo Spirito pasquale e pentecostale genera il coraggio del primo annuncio, il coraggio dell’uscire allo scoperto e di testimoniare gli eventi riguardanti Gesù morto e risorto. Lo Spirito genera nella Chiesa perseveranza nell’ascolto della predicazione apostolica che si perpetua in ininterrottamente integra nei secoli, nel celebrare nel segno sacramentale dello spezzamento del pane la comunione di cuori, di vita e di beni generata dal Risorto.
Lo Spirito della Pasqua e della Pentecoste genera preghiera, solidarietà, condivisione, gioia e semplicità di cuore nell’accoglienza ai pasti nelle case private. La vita genera vita, la testimonianza di vita genera la crescita quantitativa e qualitativa dei membri della comunità dei discepoli.
La Chiesa può vivere solo dello Spirito donato da Gesù a Pasqua e in varie pentecosti, piccole e grandi, disseminate negli Atti degli apostoli e nella vita della Chiesa di oggi.
Un animo cristiano non può chiudersi alla solidarietà e alla comunione, costruendo muri invece di ponti. Questo comporta certo la fatica a tanti livelli, ma evita un’eclatante incongruenza che ferisce al cuore il vangelo e la testimonianza della comunità cristiana.
Erano perseveranti! Donaci o Padre, lo Spirito della perseveranza unanime e solidale, lo Spirito del Cuore pasquale del tuo Figlio Gesù!