Per cinquanta giorni la Chiesa vive la gioia del mistero pasquale di Gesù Cristo figlio di Dio e della vita nuova portata dal Risorto. Tanto grande è il mistero, così numerose le sue sfaccettature, che le occorrono molti giorni per assimilare almeno un po’ tale ricchezza e poter ringraziare, adorare e vivere il mistero.
Lo Spirito del Figlio la accompagna nei giorni più che sufficienti per formare un buon discepolo, come pensava la tradizione giudaica. C’è bisogno di fare esperienza, raccontarci le inquietudini, godere della presenza.
Occhi impediti
Il sole che sta scendendo nel “mare” colorando di rosso il cielo illumina col suo calore il volto i due pellegrini in cammino verso Emmaus/El Qubeibeh. La sera del 9 aprile del 9 d.C. è tiepida. Si sta bene, ma il cuore è molto deluso.
I due discepoli forse fanno parte della cerchia larga dei seguaci di Gesù, suoi simpatizzanti che lo sostengono, lo seguono da lontano, rimanendo nella loro vita quotidiana. Se ne scendono da Gerusalemme delusi e tristi. Anche loro, come gli Undici e gli altri, non hanno creduto alle “chiacchiere/lēros” (v. 11) delle donne e di ciò che hanno visto la mattina presto. Sanno del sopralluogo solitario di Piero (v. 12) e di altri dei loro (v. 24). Ma nessuno crede a nessuno. Lo sconforto, l’incredulità, la paura e la confusione regnano sovrane.
La comunità pian piano si sfalda e loro due decidono che è ora ormai di tornare definitivamente a casa. Conversano, si scambiano opinioni in modo tranquillo, si fanno l’“omelia” a vicenda (omilein), ma a tratti discutono animatamente (syzētein) e si gettano in faccia l’un l’altro le loro parole e le loro idee (antiballō, v. 17). Si cerca il senso dei fatti, una via di uscita psicologica, spirituale e politica dalla delusione, che è forte. Ma quando «gli occhi del cuore» (Ef 1,18) sono trattenuti/impediti in continuità da qualche nemico interno, non ci si può accorgere della realtà, anche se trasfigurata.
Intercettano un viandante che si avvicina velocemente a loro e che si mette al loro passo. È meglio essere in tre contro eventuali briganti, ma quando la paura e la morte sono interne, il numero dei compagni non fa che moltiplicarle invece che calare.
Gesù risorto condivide con loro il cammino (syneporeueto), ma le cose non sono come prima. Sono uguali ma diverse. Lui è lo stesso, ma non più quello a cui erano abituati. È lui in persona, ma ormai immerso nel mondo del Padre, in un mondo trasfigurato.
Eppure Gesù si adatta al passo, alle nostre condizioni. Apparire giardiniere o viandante non lo umilia, ma gli permette di prolungare, diversamente, la sua presenza nella tenda piantata fra gli uomini (Gv 1,14).
Gesù sollecita le informazioni, come uno straniero qualunque (gr, paroikos, in ebr. nell’AT spesso traduce “gēr/straniero residente”) che forse ha passato qualche giorno alla grande festa di Pasqua dei giudei. I discepoli si bloccano di colpo, inebetiti e increduli. Poi si sciolgono e buttano fuori tutta la loro amarezza e la loro disillusione. Rispondono con abbondanza di particolari precisi alle domande del forestiero sugli ultimi eventi accaduti e su un personaggio centrale nel loro universo mentale: Gesù di Nazaret, profeta potente in opere e in parole sia nei confronti di Dio che di tutto il popolo, “consegnato/tradito/paredōkan” dalle autorità religiose e, dopo una condanna a morte, da loro crocifisso.
I romani non sono nominati. Nei discepoli, specialmente in quelli della cerchia più ampia, c’era la speranza di una liberazione anche politica di Israele da parte di Gesù, ma tutto è finito; sono già passati tre giorni e niente è cambiato. Alcune donne e altri discepoli sono andati al sepolcro, ma non hanno visto il cadavere, anzi dicono di aver veduto degli angeli che affermano che lui è vivo, ma nessuno in comunità crede a loro e così hanno deciso che era ora di tornare alle loro famiglie.
I fatti sono conosciuti esattamente nelle loro linee generali, ma manca la comprensione del senso dell’insieme, l’inquadratura dei fatti in un contesto ermeneutico che getti luce di comprensione del senso dei fatti, al di sotto della crosta della cronaca e delle risposte da “catechismo”.
Occhi spalancati
Gesù si permette, forse dopo qualche chilometro di cammino che ha permesso una maggior confidenza, di far notare la loro mancanza di intelligenza mentale (asynetoi < a + nous) e la loro lentezza/pesantezza (bradeis) di intelligenza cordiale, coscienziosa e decisionale (insediata nel cuore/kardia), che dovrebbe cercare un quadro ermeneutico più vasto agli eventi. Un quadro religioso, di fede, basato sulle Scritture sante.
Ai discepoli Gesù “apre la comprensione del senso/diermēneusen” della persona al centro degli eventi da loro appena riassunti accuratamente nel loro “racconto di superficie”.
E dove pescare la comprensione di senso, un quadro interpretativo generale? Per un ebreo credente e per un discepolo di Gesù non ci sono dubbi sul fatto che sono le Scritture a fornire quella luce che sola può illuminare i percorsi sotterranei, non “superficiali”, le sole che possono offrire un senso generale, spesso inatteso e “faticoso” da accogliere, degli eventi di “superficie”. «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro… Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (Lc 16,29-30) aveva risposto il padre Abramo al povero ricco epulone che lo invocava mentre moriva di sete nella sua tomba infernale.
Gesù deve aver fatto una splendida lezione di esegesi, di spiegazione interpretativa biblica della sua persona, a partire dal piano di Dio generale e dalle figure dell’Antico Testamento che anticipavano la sua vicenda di servizio, di annuncio, di rifiuto, di morte ingloriosa. Non conosceremo mai i particolari di quella splendida lezione, mentre i sandali battevano velocemente sui sassi, ansiosi di arrivare presto a casa, prima che il sole calasse definitivamente.
Ma Pietro e gli altri apostoli riceveranno anche loro dallo Spirito di Gesù una “cura da cavallo” biblica nei cinquanta giorni pasquali. Lo Spirito «mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16,14) aveva preannunciato Gesù alla fine del suo secondo lungo discorso la sera dell’Ultima Cena. E a Pentecoste nessuno riuscirà a fermare l’abbondanza e la convinzione calorosa della catechesi di Pietro e degli altri apostoli (cf. la prima lettura).
Ed è in quella predicazione che potremo riassaporare la memoria grata di Gesù nel ripercorrere gli eventi e i personaggi che lo hanno anticipato: Mosè rifiutato, il giusto sbeffeggiato e torturato a morte, la promessa perenne fatta a Davide, il servo sofferente di YHWH ricordata da Isaia, la promessa contenuta nei salmi che il Figlio di Dio si sarebbe assiso alla destra del Padre, re e messia, sacerdote in eterno…
Lo riconobbero
Il villaggio è ormai raggiunto. Accorato e gentilmente violento (parebiasanto < bias) è l’invito rivolto dai discepoli al misterioso viandante che ha incendiato sempre di più il loro cuore (hē kardia hēmon kaiomomenē ēn hēmin, v. 32) lungo il cammino. «Compi l’azione di rimanere con noi» – gli dicono – perché si sta facendo sera e il (sole del) giorno è già «declinato» (cf. v. 29).
E Gesù risorto entrò per compiere l’azione di “rimanere” con loro. Rimane con loro come il Padre rimane in lui (cf. Gv 14,10), e rimane con loro perché portino molto frutto (cf. Gv 15,5). Ed essi sono veri discepoli solo se rimangono nella sua parola (cf. Gv 8,31) e possono rimanere in lui anche se mangiano la sua carne e bevono il suo sangue… (Gv 6,36).
Gesù rimane con i suoi discepoli, non li abbandona mai: «Rimani con noi», «entrò per rimanere con loro», «e mentre era sdraiato a mensa con loro…» (vv. 29-30). Da ospite di riguardo per la sua profonda conoscenza biblica esposta con una brillantezza che incendia i cuori, Gesù diventa padrone di casa e, come tale, benedice, spezza il pane e lo “donava con intenzionalità direzionale continua proprio a loro (epedidou)”. Azione abituale, la facevano sempre anche i due discepoli a casa loro. Ma, fatta in quel modo, non l’avevano mai vista.
Si vedeva che quel viandante/paroikos ci metteva tutto se stesso in quel pane, che lo fissava con troppa intensità, che lo spezzava con gli occhi lucidi e un po’ persi come in Dio, che donava a ciascuno di loro con individuale intensità d’amore il suo pezzo di pane.
Il cuore era già incendiato dalle parole/dalla Parola. L’intelligenza cordiale, coscienziosa e decisionale era già stata allertata al massimo livello. Ma il modo nel quale quell’importante viandante fa quel gesto scopre tutte le carte. Gli occhi “vengono aperti completamente, spalancati/diēnoichthēsan” da una forza interiore che non viene da loro. Viene da lontano, viene dallo Spirito del Cuore di Gesù risorto consegnato sulla croce tre giorni prima (cf. Gv 19,30). Una luce interiore che fa “riconoscere in profondità/epegnōsan” l’identità vera del misterioso viandante così istruito nelle Scritture.
Alzarsi/risorgere (anastantes), tornare di corsa a Gerusalemme dalla comunità abbandonata in confusione e sconcerto, ascoltare l’annuncio della risurrezione di Gesù e del suo incontro con Pietro e riferire tutto quel che era capitato a loro fu un tutt’uno. Soprattutto come quel Viandante «si era fatto vedere/ōphthē» a loro nello spezzare il pane (v. 35). Parola di Dio, eucaristia, comunità testimoniante. Sono le tre colonne su cui il mondo sta.
Non era possibile
Non era possibile che la morte tenesse in suo potere l’autore della vita (cf. At 3,15). Non poteva vedere la corruzione colui che, nella sua vita, si era sempre affidato al suo Signore. Lo afferma il Sal 16 e Pietro lo ricorda con grande entusiasmo nella parte del suo discorso fatto a Pentecoste. Cinquanta giorni di preghiera e di studio biblico sotto la guida dello Spirito gli hanno fatto riprendere tutto quello che Gesù aveva detto nella sua vita, specie negli ultimi tempi.
Sono le stesse illuminazioni che i due discepoli di Emmaus ricevono dal misterioso Viandante così istruito nelle Scritture. Sono quelle illuminazioni, lette in comunità e corroborate dallo spezzare insieme il pane, che potranno sempre far comprendere il misterioso piano di salvezza del Padre. Non è possibile vivere altrimenti, senza poter “comprendere”, “riconoscere”, “risorgere”, “testimoniare”.
La Chiesa esulta e si stringe attorno ai suoi tesori: le Scritture, l’eucaristia, la comunità testimoniante. A chi cerca la vita “altra”, a chi insegue un riscatto, la luce che dia senso ai propri giorni, la Chiesa apre con gioia il tesoro che gli è stato affidato: “Mangiate, amici, bevete./ Inebriatevi d’amore” (Ct 5,1b).