Il nodo sciolto
Nel cammino verso l’alta montagna dell’incontro di tutte le genti con il Signore sul monte Sion della nuova Gerusalemme, un segno di sicura speranza è tratteggiato in bande rosse e bianche sulle piante, sui sassi, sui cartelli ben predisposti, specialmente ai bivi e alle curve improvvise.
I primi passi della Chiesa nel cammino verso il Veniente sono illuminati e incoraggiati da una grande amica dei viandanti. La Madre del Veniente illumina il cammino con la dolce e forte indicazione del percorso. È la guida alpina che, esperta del tracciato, segna la via, tiene stretti alla sua corda i suoi “clienti”, incoraggia sui tempi di percorrenza e rasserena nei passaggi più pericolosi.
La guida è del gruppo, lo precede nel cammino, ma ha gli occhi lunghi a controllare la cordata, perché non si sfilacci troppo, o qualcuno addirittura osi slegarsi per affrettare il passo o prendere una scorciatoia sconosciuta e pericolosa. La guida ha già percorso già tante volte l’itinerario, ha un’ottima conoscenza del terreno, detta il passo verso la cima che lei ha già raggiunto proprio per poter aiutare altri ad arrivare in tutta sicurezza.
Eva, madre dei viventi
Non è misoginia quella che guida l’autore del libro della Genesi. C’è in Eva un provvidenziale anticipo simbolico, un “tipo” che precorre l’“antitipo”. Se una donna è stata protagonista, ma non la causa decisiva, del nodo della disobbedienza, un’altra donna sarà la protagonista dello scioglimento del nodo con lo slancio dell’obbedienza.
Non bisogna fissarsi sulla figura di Eva con pregiudizi misogeni del tutto assurdi ai nostri giorni. In vari testi della tradizione ebraica si domanda ad Adamo: “Che cosa hai fatto?”. La figura di Adamo sarà sfruttata dalla tradizione cristiana come tipo “utile” e “provvidenziale” di Cristo (cf. Rm 5,12ss).
Leggiamo il testo sapienziale della Genesi non quindi con occhi prevenuti che giudicano un testo antichissimo con criteri antropologici moderni assolutamente anacronistici.
L’umanità (’ādām), nella sua complessità unitaria di maschile (’îš) e di femminile (’iššāh) è coinvolta misteriosamente fin dall’inizio del suo cammino dalla presenza misteriosa del male (simboleggiata dal “serpente”) che, pur stando sotto il controllo divino quale più astuta di tutti gli animali selvatici «che Dio aveva fatto» (Gen 3,1), riesce a ingannare la “donna”.
La coppia è disgregata nel rimpallo delle responsabilità, dopo che anche l’“uomo” ha ceduto alla tentazione della perversa onnipotenza vorace che tutto mangia, tutto conosce, tutto vuole, senza lasciare spazio all’altro, al diverso.
Il nodo della disobbedienza di “Eva” sta nel voler eliminare ogni limite che protegge la creatura dalla falsa onnipotenza che la strappa dalla sua vocazione di creatura aperta e accogliente, per immergerla nel gelo della solitudine rinchiusa nell’egoismo solipsistico e prometeico.
Il nodo scorsoio
Tutto era stato donato alla coppia, niente mancava alla felicità, se non il limite che protegge la creatura dal diventare bestialità onnivora e perversamente “onnisciente”. Il figlio non può essere il padre, la creatura non può essere il creatore, il finito accogliente non può diventare il falso assoluto che non lascia spazio all’alterità e si nega come amico, fratello, spazio “deficiente” che ha bisogno dell’altro per la comunicazione, per diventare se stesso in modo equilibrato.
È il peccato dell’inizio, è il peccato di sempre. È il peso “squilibrato” che sbilancia misteriosamente fin dall’inizio lo zaino del viandante, inclinando con tutta facilità verso il male, rendendolo più attraente e più facile da raggiungere che non il bene.
Decidere autonomamente cosa è bene e cosa è male non è affare della creatura, ma del Creatore. La creatura è finita, non ha presenti tutti gli aspetti del problema. La creatura non è Dio, l’Onnipotente nell’amore, primo protettore dell’opera delle sue mani. Ed Eva è proprio la “madre di tutti i viventi” (Gen 3,20), così spiega l’autore biblico, con incerta eziologia filologica, il nome della donna (ḥawwāh, collegata con ḥāy “vivo”, dal ḥāyāh “esistere, vivere”). Il suo “sì” al male annoda la storia dei “viventi”. Un nodo scorsoio che andrà sciolto, perché non strozzi la vita dei figli.
Il “primo vangelo”
Il peso del misterioso male che avvelena il cuore di tutti “i viventi”, inclinandolo in ogni tempo verso ciò che è a lui dannoso, illusorio, non è la parola definitiva sul cammino dell’umanità. I viventi saranno redenti. Il progetto di Dio non sarà rovinato in eterno. Il male attenta al calcagno dell’umanità, potendo ferire sì, ma non mortalmente.
La discendenza/il discendente (zera‘, singolare collettivo maschile) della donna, un “vivente”, sarà il Redentore che schiaccerà mortalmente l’avversario. L’Antidoto l’avrà vinta definitivamente nella sua stessa persona e sarà donato ad ogni fratello e sorella che appare come “vivente” sulla terra.
Il comparire del male è sovrastato dallo squillo del primo “vangelo”. La buona notizia di un Vincitore sovrasta la storia e l’accompagna con l’annuncio positivo del Bene fatto persona, un bene divino fatto carne come i suoi fratelli. Sarà il Discendente, nascerà dalla Donna, discendente anche lei dalla “madre di tutti i viventi”, ma “Prima dei redenti”.
Il nodo della disobbedienza prometeica di “Eva” sarà sciolto dallo slancio dell’obbedienza di un’altra “donna”, la “Donna”, la madre di tutti i redenti.
Plasmata nuova creatura
«Il Padre misericordioso ha voluto che l’incarnazione del suo Figlio fosse preceduta dall’accettazione di colei che era stata predestinata ad esserne la madre, affinché, come la donna aveva contribuito a dare la morte, così la donna contribuisse a dare la vita. Ciò si realizza in modo eminente (eccellentissime valet) nella madre di Gesù che ha dato al mondo la vita che tutto rinnova. Dio l’ha dotata dei doni corrispondenti (donis… dignis) alla sua così alta funzione; nessuna meraviglia, quindi, che i santi padri abbiano incominciato a chiamare la Madre di Dio (Deiparam) come la tutta santa, immune da ogni macchia di peccato, plasmata per così dire (quasi… plasmatam) dallo Spirito Santo e formata come una creatura nuova (novamque creaturam formatam” (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium 56/EV I,430, EDB, Bologna 1993, Nuova edizione, versione bilingue interamente riveduta).
Tutta trasformata dalla grazia
Il nodo di Eva è sciolto dalla grazia di Dio, donata a Maria, che fa fiorire la sua obbedienza. “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”: così l’angelo Gabriele saluta Maria «entrando da lei» (Lc 1,28).
Una traduzione più accurata esprimerebbe meglio il lavorio della grazia attuato dal Padre in Maria: “Rallégrati, tutta-trasformata-dalla-grazia, il Signore è con te”. Maria non è interpellata col suo nome, ma riceve un nome nuovo che esprime la provenienza fecondante della grazia immeritata del Padre.
L’angelo Gabriele la rassicurerà ancora, dopo che Maria “si turbò fortemente/dietarachthē” di fronte all’altissima qualità del triplice e “complesso” saluto ricevuto: «Non temere (= “smetti di temere”), Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (v. 30).
La sua agile capacità di cogliere l’intertestualità biblica del saluto le fa percepire l’unicità assoluta dell’appellativo ricevuto in dono. Maria è la Sion che il profeta Sofonia invita a rallegrarsi perché «Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re di Israele è il Signore in mezzo a te (beqirbēk), tu non temerai più alcuna sventura».
“Il Signore è con te” era un saluto di assicurazione dato a grandi servi di YHWH nel passato, in vista di importanti compiti di salvezza e di liberazione a favore del popolo di Israele (Gen 26,28 Isacco; Gdc 6,12 Gedeone; 2Sam 7,3 Davide). Ma è soprattutto il nuovo nome ricevuto a turbare lei e a illuminare noi sulla sua dignità ricevuta in dono.
Checharitōmenē (v. 28), il nome nuovo di Maria, non è un aggettivo che designi la qualità innata di Maria, una sua caratteristica nativa. Questa qualificazione non equivale, ad esempio, all’espressione “pieno di grazia/plērēs charitos” (At 6,8) che qualifica Stefano, uno dei Sette, come sua qualità innata, tipica della sua persona. Nella lingua greca essa è un participio perfetto passivo – che designa gli effetti permanenti di un’azione compiuta nel passato da parte di un soggetto – di un verbo fattitivo/trasformativo, significato tipico dei verbi terminanti in –oō (qui: charitoō). Maria è la “tutta-graziata, la tutta-trasformata-dalla-grazia fin dai tempi remoti, passati”.
La precisione della lingua greca è stata provvidenziale per l’evangelista Luca per esprimere il lavorio trasformativo gratuito operato in Maria dalla grazia di Dio. Il Padre, nello Spirito Santo, l’ha plasmata creatura nuova, come afferma il dettato conciliare riportato sopra (LG 56/EV I,430).
La Prima redenta
Il lavorio del Padre parte da un progetto nato all’alba dei tempi, nel momento stesso della “disobbedienza” della madre dei viventi. Sorvolando e inglobando tutta la storia futura in un grande abbraccio d’amore, egli ama il suo Primo Progettato, il suo Primogenito incarnato, morto e risorto.
In vista della redenzione apportatrice di vita divina attuata dal Figlio, l’Amato, a favore dei figli suoi fratelli, il Padre gli prepara una degna dimora. Attingendo in anticipo dal tesoro d’amore redentivo del Figlio, il Padre lavora a lungo in Maria. Egli ara a fondo il terreno da lui scelto, lo plasma e lo trasforma secondo il suo disegno iniziale previsto per tutti gli uomini.
Il terreno è ora pronto da parte di Dio, ex parte Dei. Occorrerà una libera risposta positiva da parte della creatura, ex parte hominis, favorita ma non sostituita dalla grazia. E questa verrà, con uno slancio che supera le perplessità circa le modalità concrete in cui si attuerà la sua vocazione di madre del Re, del Figlio dell’Altissimo.
Il Re di Israele non sarà solo in mezzo alla nuova Sion, ma sarà dentro il corpo di Maria, la Madre redenta in anticipo che genera il redentore. Figlia del suo figlio.
Primizia della Chiesa
Col saluto dell’angelo Gabriele e con il sì generoso e pronto di Maria, inizia il cammino di un’umanità nuova, rinnovata, la Chiesa dei redenti. «In lui (= il Signore nostro Gesù Cristo) [Dio Padre] ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati (amōmous) di fronte a lui nella carità (en agapēi)» proclama l’inno che apre la Lettera agli Efesini (Ef 1,4).
A Maria è stato certo donato per grazia un “singolare privilegio” (Preghiera dopo la comunione). Non però nel senso che a lei sia stato donato qualcosa che a noi invece è stato negato. A lei è stato donato per grazia in anticipo, come primizia, ciò che – ex parte Dei – era previsto e sparso a pieni mani fin da prima della creazione del mondo sull’umanità che lo avesse voluto accogliere. Maria è la Prima dei redenti, la Primizia della Chiesa, la guida sicura dei suoi figli, la neve immacolata del fuoripista.
Neve uguale a quella della pista, ma “immacolata”.
La neve del “fuoripista”.