La IV domenica di Pasqua è dedicata a contemplare Gesù come Buon Pastore e la Chiesa invita a pregare in particolare per le vocazioni. Ascoltiamo in quest’anno C alcuni versetti dal capitolo 10 del vangelo di Giovanni: Gv 10,27-30.
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
Io e il Padre siamo una cosa sola».
Vincere la paura
C’è una grande paura che abita ogni bambino e rimane in fondo al cuore di ogni donna e di ogni uomo: quella di perdersi, di non trovare più la strada di casa, di non avere persone care e un luogo in cui sentirsi al sicuro, a cui appartenere.
Questi 4 versetti del Vangelo di Giovanni, così semplici e diretti, sono come un abbraccio, una presa stretta delle mani; poche parole che vanno dritte al cuore e lo rassicurano che nessuno potrà strapparci dalla mano del Pastore, nessuno potrà separarci dalla mano del Padre.
Perché lo sperimentiamo ogni giorno: c’è una violenza che attraversa la storia, e che si manifesta in diversi modi; c’è una forza che rema contro la nostra felicità, che ci ferisce nella malattia e nella disgrazia, ci umilia nei fallimenti, ci mortifica nei tradimenti e nelle delusioni, ci distrugge nella guerra e nella paura. Ma non può essere questa la forza che prevale: il Padre mio, ci dice Gesù, è più grande di tutti, è a lui che apparteniamo, e nessun tentativo di strapparci da lui può riuscire.
Persino la morte, che ci spaventa perché sembra definitiva nel separarci dalla vita e dal tempo, è in suo potere, perché il Pastore dà la vita eterna alle sue pecore e no, non devono avere paura di smarrirsi, perché non andranno perdute in eterno.
Diventare “voce” del Pastore
Chissà se queste parole, se questo linguaggio, dice qualcosa alle persone di oggi. Pecore e pastori sono così lontani dall’immaginario e dall’esperienza comune, che sembrano quadretti bucolici di poca rilevanza. Eppure di questa promessa di salvezza abbiamo bisogno tutti, perché anche la paura di perderci è comune e quando non si hanno più prospettive di bene, allora la disperazione rischia di diventare drammatica e lacerante.
Come dire, come comunicare il messaggio di salvezza racchiuso nelle parole del Vangelo, portato dalla vita, dalla morte, dalla risurrezione di Gesù il Figlio di Dio?
Forse – almeno dal punto di vista umano – c’è un solo modo perché la voce del pastore arrivi al suo amato gregge, e le pecore possano ascoltarne la voce e seguirlo. Ed è che essa passi anche per la nostra voce, per la nostra vita.
La nostra fedeltà può parlare di quella di Dio, la nostra determinazione può diventare prova della sua volontà di non abbandonarci, il nostro abbraccio, la nostra stretta di mano, possono comunicare la certezza che nessuno può strapparci dalla mano del Padre.
Lo abbiamo sperimentato noi, forse feriti da qualche promessa tradita, ma anche aggrappati a legami fedeli, nei quali abbiamo sentito e vissuto l’amore del Padre.
Lo possiamo far sperimentare agli altri, rimanendo loro accanto nei momenti più cruciali e difficili come nella quotidianità logorante; non lasciando la loro mano, stringendola forte, per far sentire che non sono soli, che la loro vita è importante, che nelle avversità, violenze e paure, ci sono persone che ce la mettono tutta per non abbandonarli.
Non ci riusciremo mai del tutto, ma forse potremo essere un piccolo strumento capace di rendere credibile l’annuncio che lui, il Padre, non permetterà che i suoi figli siano strappati dalla Sua mano, in eterno.