Inondati ormai dalla luce pasquale, che abbiamo assimilato nella celebrazione della notte santa, la più santa di tutte le notti e la più solenne di tutte le celebrazioni, ci apprestiamo ad assaporare i frutti spirituali che scendono abbondanti dalla croce di Gesù e fuoriescono copiosi dal sepolcro vuoto. Saremo gratificati nella misura in cui avremo manifestato a Dio i più profondi e sinceri desideri del nostro cuore.
Ci disponiamo, perciò, ad accogliere il messaggio che si sprigiona dalle letture bibliche di oggi per poter camminare con sicurezza e fiducia nel periodo pasquale che si apre dinanzi a noi. Solo la fede ci consentirà di fare un cammino libero e gioioso, orgogliosi di poter vivere nella pienezza della luce pasquale.
1. Dal libro degli Atti degli apostoli è tratta la prima lettura di questa liturgia della Parola. Ciò che colpisce in essa è la piena consapevolezza con la quale Pietro si fa testimone della vita di Gesù, a cominciare dal battesimo di Giovanni fino alla risurrezione del Signore. Pietro è apostolo e testimone, testimone in quanto apostolo. Dobbiamo però ricordare che qui siamo nel bel mezzo dell’evangelizzazione che coinvolge l’azione degli apostoli, mentre nella pagina evangelica che seguirà Pietro rimane ancora stordito dall’annunzio pasquale.
Anzitutto, l’apostolo racconta sinteticamente la vita terrena di Gesù. Egli si accontenta di dire che «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret»: un chiaro riferimento al battesimo che Gesù volle ricevere da Giovanni il Battista.
In un secondo momento, Pietro afferma che Gesù «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui». Ottima sintesi interpretativa della missione di Gesù, totalmente proteso verso il bene altrui.
In un terzo momento, Pietro si presenta come testimone diretto di quanto ha raccontato: «E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute». Ma ciò che dà valore alle sue parole è il fatto che questa loro missione risale a Dio. Dio, infatti, volle che «Gesù si manifestasse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti».
Degno di nota è il fatto che Pietro, all’inizio di questa pagina, cerca di coinvolgere anche i presenti: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea». Ogni predicatore, che voglia esercitare la sua missione adeguatamente, non può non coinvolgere coloro che ascoltano affinché le sue parole non cadano nel vuoto.
2. Il salmo responsoriale corrisponde ad un inno con il quale gli ebrei celebravano la loro pasqua: questo è il giorno che il Signore Dio ha fatto; questo è il giorno di Cristo Signore!
Cantando l’Alleluia, la Chiesa si associa al popolo eletto nel fare memoria di due grandi eventi della storia della salvezza: la liberazione di Israele dall’Egitto, la terra della schiavitù, e la liberazione di Gesù dal sepolcro. Due eventi tra loro intimamente collegati e noi, celebrando la pasqua, li commemoriamo insieme. È questa la dimensione ecumenica della pasqua.
In ambedue questi eventi la Chiesa ci invita a riconoscere il trionfo della divina misericordia: «Rendete grazie al Signore perché è buono; perché il suo amore è per sempre». Questo ci porta a dire che il Signore esercita la sua onnipotenza il Signore esclusivamente per un fine positivo: manifestare il suo amore per l’umanità intera. Dio ama manifestarsi onnipotente soprattutto quando perdona e usa misericordia.
L’evento pasquale ha, però, anche lo scopo di suscitare in noi la meraviglia e lo stupore per la presenza salvifica di Dio nella storia: «Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi». Chi sa stupirsi dinanzi alle gesta che Dio opera nella storia dimostra di essere aperto alla fede.
3. La seconda lettura della domenica di pasqua corrisponde ad una esortazione che l’apostolo Paolo rivolge ai cristiani della comunità di Corinto. Dobbiamo ricordare, in prima battuta, che i fedeli di quella città erano palesemente esposti al pericolo di adeguarsi all’immoralità, tipica di quella città. A tal punto che, per indicare la dolce vita, si era coniato il verbo korintiazein.
L’apostolo adotta un’immagine, quella del lievito che fa fermentare la pasta e la espone ad un’eventuale decomposizione. Chi vive il mistero pasquale e desidera celebrare la pasqua del Signore Gesù, secondo l’insegnamento di Paolo, deve astenersi da ogni forma di corruzione: «Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi». L’apostolo non intende riportare i cristiani ad una usanza rituale propria degli ebrei, i quali, per celebrare la pasqua, eliminavano ogni sorta di pane esistente nelle loro case per consumare solo pane azzimo. Intende, invece, proclamare che «Cristo, nostra pasqua è stato immolato!».
È da questa certezza che deriva l’istanza etica, non da altre fonti. Se Cristo è la nostra pasqua e la pasqua si celebra con i pani azzimi, al di dà della metafora e nella logica del mistero celebrato. Ciò comporta che ogni cristiano e ogni comunità cristiana vivano «con azzimi di sincerità e di verità», liberi da ogni «lievito di malizia e di perversità». In questa contrapposizione di elementi positivi e negativi sta tutta l’istanza etica del cristianesimo, soprattutto della fede in Gesù risorto dai morti.
4. La pagina evangelica è tratta dal vangelo di Giovanni, che narra l’andata di Maria Maddalena al sepolcro di Gesù e la sorpresa nel constatare che «la pietra era stata tolta dal sepolcro».
La liturgia, con il canto al Vangelo, ci invita ad assumere un atteggiamento festoso: «Cristo, nostra pasqua, è stato immolato: facciamo festa nel Signore». L’invito è rivolto a tutta la comunità orante, ma deve essere inteso anche per ogni singolo credente. “Fare festa nel Signore” significa lasciarsi invadere interiormente dalla gioia che è tipica della pasqua perché in essa Gesù ha vinto la morte, conseguenza del peccato.
Per comprendere meglio questa pagina evangelica, è bene partire dall’annotazione finale: «Non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti».
Suscita stupore in noi il fatto che gli apostoli, e per primo Pietro, durino fatica a interpretare i segni e a ricordare le molteplici profezie di Gesù. Segno che anche la gioia pasquale non sempre produce i frutti desiderati.
Ma il dubbio di Pietro si pone tra la corsa di Maria di Magdala al sepolcro per stare vicino all’amato e l’atto di fede dell’apostolo prediletto, Giovanni. Sono due perle che il quarto evangelista ha voluto conservare e tramandare. Due modi diversi ma complementari per manifestare quanto fosse importante per loro l’aver incontrato Gesù nella loro vita e quanto grande fosse l’amore che hanno nutrito per lui.
Da un lato, dunque, questa donna meravigliosa che ha preceduto tutti nell’andare al sepolcro di Gesù, nel desiderio di stare vicino a lui, anche se morto, certamente ignara di quello che le sarebbe accaduto.
Dall’altro lato, la testimonianza di Giovanni che, una volta entrato nel sepolcro, «vide e credette». La fede di Giovanni apostolo nasce dalla vista ed è per questo che egli è diventato testimone credibile della risurrezione di Gesù, mentre la nostra fede è basata sulla testimonianza degli apostoli.