Nel bel mezzo dell’estate, ricordando il tragico anniversario dello sgancio della bomba atomica su Hiroshima (1945) e la pia morte di Paolo VI (1978) che portò a termine il concilio Vaticano II e, quale grande amante della Chiesa, ne iniziò la sua messa in esecuzione, lo sguardo del credente è invitato a rivolgersi alla profondità immensa e gloriosa della figura di Gesù, mostrata per un momento ai suoi discepoli nella sua trasfigurazione.
Egli è figlio dell’uomo, un uomo come noi, ma nello stesso tempo il Figlio dell’Uomo, il Messia, che porta a pienezza la nostra vicenda terrena, assicurando la vittoria sul male e rendendoci partecipi della sua gloria d’amore.
Daniele, un libro apocalittico
Per la sua posizione nel canone cristiano, il libro di Daniele è considerato l’ultimo dei quattro grandi profeti, mentre nel canone ebraico esso figura fra il gruppo dei Ketubîm – gli “scritti” –: Salmi, Giobbe, i cinque “rotoli”/meghillot letti in precise feste ebraiche (Rut, Cantico dei Cantici, Qohelet, Lamentazioni, Ester) e prima di tre libri che il canone cristiano pone fra i libri storici: Esdra, Neemia, 1 e 2 Cronache (considerati un unico libro).
È innegabile che Daniele contenga elementi profetici, ma essendo stata conclusa la sua redazione al tempo della persecuzione di Antioco IV Epifane (167 a.C. ss) non entrò nella lista dei libri considerati profetici dagli ebrei.
È un libro che, più che elementi profetici, contiene marcati contenuti e linguaggio di tipo apocalittico (sul tipo del libro dell’Apocalisse che conclude il canone cristiano).
Daniele è una profezia che ormai guarda in profondità la storia, seguendo ampiamente lo schema teologico che divide il mondo nettamente tra bene e male, e lo considera come la sede di una guerra fra il bene e il male condotta da rappresentanti terreni delle potenze che, di fatto, si fanno guerra in cielo.
Libro di consolazione in tempo di persecuzione (di Antioco IV Epifane, appunto), usando la pseudonimia che fa portare al protagonista del libro un nome famoso per dare ad esso maggiore autorità, esso spinge lo sguardo escatologicamente al termine della storia, agli ultimi giorni degli uomini e al loro giudizio ultimo, intravedendo chiaramente la vittoria finale del bene, di Dio, l’Antico dei Giorni, sul male e le sue potenze politiche terrene che opprimono tirannicamente i fedeli a YHWH. Alla fine si instaurerà il regno di Dio.
Un angelo interprete accompagna il visionario nel suo viaggio e gli spiega le sue visioni. Si capisce, allora, come lo schema di pensiero escatologico-apocalittico si serva con naturalezza anche del linguaggio apocalittico: luce, tenebra, fuoco, colore bianco della divinità, nero della morte, troni di giudizio, sessione in trono come simbolo di potenza suprema, sconvolgimento delle potenze astrali come simbolo di rinnovamento della realtà secondo il piano di Dio, ampia presenza di potenze zoomorfe terrificanti, disumane e distruttrici ecc.
Con le nubi, uno simile a un figlio d’uomo
Dn 7, che conclude la parte del libro scritto in lingua aramaica (2,4–7,28) e non in quella ebraica, vede Daniele soggetto attivo di visioni. Dopo quella riguardanti le quattro bestie (leone/impero babilonese; orso/impero dei medi; leopardo/impero persiano; grande bestia terribile con dieci corna/impero dei greci), egli ha la visione dell’“Antico dei giorni” (espressione unica nell’AT), dai capelli bianchi – simbolo di divinità –, seduto sul trono con piena potenza di autorità giudicante e dirimente fra bene e male (trono e fuoco). La corte giudicante la storia e gli uomini è formata da Dio e da quanti partecipano della sua vita divina (“servi” e “assistenti”).
Nella notte dell’impotenza umana e dell’onnipotenza divina, quando solo la luce di Dio può illuminare la verità delle cose, Daniele vede venire uno simile a un figlio d’uomo. L’espressione “il figlio d’uomo” sta a significare in primo luogo e all’inizio del suo impiego, l’uomo, nella sua fragilità.
Questo “figlio d’uomo” assunse nel corso della storia, secondo gli studiosi, vari significati: un essere angelico, il popolo di Israele, la gloria di YHWH, il nuovo Adamo, il Messia. Egli viene con le nubi del cielo. Il “simile a un figlio d’uomo” è situato a livello divino. A lui vengono dati (passivum divinum!) potere, gloria, regno eterno, universale e indistruttibile.
Il popolo dei santi
Di fatto le quattro bestie saranno sconfitte e distrutte completamente insieme al loro potere (vv. 15-26), che cambierà soggetto di attribuzione. Non solo esso sarà conferito al Figlio dell’uomo, ma anche al popolo dei santi che egli rappresenta simbolicamente: «Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno» (v. 27).
L’Altissimo, il Figlio dell’uomo e “il popolo dei santi” eserciteranno da ora insieme il potere che, contrapposto a quello bestiale ormai distrutto delle “fiere” elencate poco prima, non potrà che essere umano, liberante, “democratico”, favorevole alla vita, che avrà la sovranità di indirizzo su tutti gli imperi umani che si succederanno nella storia.
Ciò che caratterizza e anima il “regno del popolo dei santi” sarà proposto in modo talmente autorevole a accattivante che tutti gli imperi umani si troveranno a “servirlo”, se vorranno far vivere umanamente i loro sudditi/cittadini!
Fu trasfigurato
Sei giorni dopo la prima “spiegazione/deiknyein” con la quale Gesù aveva illustrato la necessità che lui se ne andasse a Gerusalemme incontro a molte sofferenze, alla morte e – ultima e decisiva – alla sua risurrezione (Mt 16,21), il Messia prende con sé i tre discepoli, che saranno anche testimoni della sua triste e angosciata preghiera al Getsemani (Mt 26,37), e sale “su un alto monte”. Può essere il monte Tabor (m. 588 s.l.m.), che troneggia come un tronco di cono sulla pianura di Izreel e dista proprio sei giorni di cammino da Cesarea di Filippo, oppure può essere il maestoso Hermon dalle cime innevate (m. 2814 s.l.m.). In ogni caso, è senz’altro il “terzo monte”, oltre a quello del Discorso della montagna (Mt 5,1 “salì sul monte”) e a quello della crocifissione, il Gòlgota/Golgotha “altezza/prominenza”, luogo detto del Cranio/Kraniou Topon/Volgata: Calvariae locum (cf. Gv 19,17), piccola prominenza fuori del (secondo) muro della città, ma che tocca l’Altissimo per la confidente emissione dello spirito filiale da parte di Gesù (cf. Mt 27,50; Lc 23,46).
Sull’“alto monte” Gesù non riceve una Legge, come sul monte per eccellenza – il Sinai – ma riceve la “trasfigurazione” ad opera del Padre (“metemorphōthē/fu trasfigurato/fu cambiato di forma”, passivum divinum).
Il suo volto brilla di trasparenza al sole del Padre, fonte di ogni luce e di ogni calore per uomo e per l’universo intero. “Le sue vesti (cioè tutta la sua persona) diventano candide/leuka come la luce”. Proprio come “i capelli del suo [= del Vegliardo/Antico di giorni/ (l’Altissimo di v. 18)] capo erano candidi/leukon katharon come la lana” (Dn 7,9).
Secondo Luca, l’atmosfera è quella della preghiera intensa (cf. Lc 9,28-29). In ogni caso, Gesù si confronta con tutto l’Antico Testamento, con i rappresentanti della Legge e dei Profeti. Mosè ed Elia sono entrambi personaggi rifiutati e contrastati. Nell’intenso “confronto/dialogo/syllalountes” (orante) con i rappresentanti della rivelazione di YHWH nella storia al suo popolo Israele, Gesù arriva a “inquadrare” sensatamente – seppur dolorosamente – la sua persona e la sua vicenda nel piano salvifico di YHWH, del Padre.
Gesù aderisce totalmente e di cuore al fiume del fuoco d’amore (cf. Dn 7,9-10) che da sempre esce da YHWH che ama il suo popolo. Il fuoco del Padre lo avvolge, lo purifica nella sua umanità, lo rende incandescente, “bianco”.
Gesù può mostrare per un momento all’esterno quello che lo anima nel suo interno, la sua dignità di Figlio di Dio, con un rapporto unico che lo lega al Padre. L’adesione della sua volontà umana al disegno salvifico del Padre, alla sua volontà, è forgiata dallo Spirito, che lo rende trasparente al Padre, all’Antico Testamento, ai suoi tre discepoli privilegiati (Nuovo Testamento). «Quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente» osserva l’autore della Lettera agli Ebrei (Eb 9,14). Più avanti sottolineerà: «Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» (Eb 10,10). Volontà del padre fatta propria dal figlio Gesù.
Ascoltate lui!
Non si tratta di fare tre tende e celebrare in modo diverso la festa delle Capanne/Sukkot, come chiede Pietro (incapace di ragionare e stravolto insieme agli altri dalla paura, secondo Mc 9,6)! Non si tratta più solo di celebrare guardando indietro alla precarietà della vita nel deserto durante il cammino della liberazione dalla schiavitù. Bisogna guardare in avanti e in profondità.
La nube luminosa (il Padre/ la presenza di Dio/la Shekinah per gli ebrei) – meraviglioso ossimoro – stringe sull’essenziale. Gesù è il Figlio del Padre, il Figlio suo, l’Unico, come unico (figlio della promessa!) era Isacco per Abramo (Gen 22,2.12!). Su di lui – per la sua obbedienza imparata nella sua umanità, Eb 5,8 – sta il compiacimento del Padre, come lo era stato sul misterioso suo servo e profeta descritto dal Secondo Isaia (Is 42,1). Lui è l’Amato, come Isacco (Gen 22,1), come l’Amato del Cantico dei Cantici, a cui corre incontro per abbracciarlo l’Amata, la convocazione dei credenti, l’ekklēsia. «Ascoltate lui», comanda il Padre. È lui il profeta definitivo, escatologico, promesso in Dt 18,5. Profeta come Mosè, ben più di Mosè.
Il Figlio ascolta di tutto cuore il Padre. Ne viene “trasfigurato”. Una trasparenza di divinità, un anticipo di risurrezione. “Ascoltate lui!”, chiede con forza il Padre. «Guardate a lui e sarete raggianti», suggerisce il Salmista (cf. Sal 34,6). «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati (metamorphoumetha) in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore», ci assicura san Paolo (2Cor 3,18).
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