Un libro, sette sigilli
L’Apocalisse non fa paura. L’Apocalisse/Rivelazione/apokalypsis – specialmente letta nell’assemblea domenicale –, nel giorno del Signore rivela ciò che Dio Padre ha in mente per l’umanità, per la sua gioia. La vuole fare sua sposa. Egli è colui che siede sul trono (Ap 5,1), il Signore e Dio nostro (Ap 4,11), che vive nei secoli dei secoli (Ap 4,9) e ha in mano i destini della storia.
Dalla sua posizione di dominio (= trono), può scorgere con la pienezza di uno sguardo d’amore spirituale (i sette spiriti che stanno davanti al suo trono, Ap 1,4) gli eventi della storia nella quale cammina con fiducia fra persecuzioni e difficoltà il suo popolo rinnovato, la Chiesa, e l’umanità intera.
Il piano di Dio è un piano di salvezza, ed è ben pensato, scritto e sigillato. Non potrà essere mutato da alcuna potenza negativa che volesse ergersi in modo blasfemo allo stesso piano del Dio della salvezza, aggiungendo o togliendo alcunché ad esso, che non può contenerne se non il bene.
Un libro sta nella mano destra di Dio (Ap 5,1) nella sua piena operatività, completamente sigillato con sette sigilli/sphragisin. Esso contiene il piano di Dio nei confronti di tutta l’umanità, il suo progetto d’amore che risponde alle ansie, alle speranze e alle angosce degli uomini di tutti i tempi. Questi sigilli andranno “aperti/sciolti/anoigō”, con un’operazione ermeneutica, di interpretazione del contenuto.
Il Veggente di Patmos – l’autore del libro dell’Apocalisse (= Rivelazione) relegato al confino nell’isola per punizione a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù (cf. Ap 1,9) – nel giorno del Signore “è preso/divenni/egenomēn nello Spirito” e gli si apre la visione dei segreti di Dio.
Il profeta veggente piange perché non si trova nessuno “degno/capace/axios” effettivamente di aprire/sciogliere i sigilli, dando progressiva interpretazione alla storia secondo il piano di Dio, secondo il libro che sta saldamente nella sua mano destra.
Il leone di Giuda (cf. Gen 49,9), il Germoglio di Davide (cf. Is 11,1.10), il Germoglio giusto suscitato a Davide (cf. Ger 23,5) ha vinto la sua battaglia, quella decisiva. È l’Agnello potentemente debole (cf. Ap 5,6), che sta in piedi, risorto, come immolato/sgozzato. Cristo morto e risorto, con le cicatrici pasquali ancora ben visibili in eterno, ha vinto la morte che sembrava – da vittoriosa – avere l’ultima parola (“come” immolato/sgozzato).
L’Agnello sgozzato ma vittorioso è “degno”, cioè ha la capacità effettiva, giuridica di aprire i sigilli, di interpretare ciò che vi è scritto, il piano del Padre, l’Eterno nei secoli. L’agnello sgozzato ma vivo, morto ma risorto (e quindi “come” sgozzato) può interpretare la storia passandola al vaglio del suo cuore, delle sue ferite gloriose, pasquali.
La storia ha un senso. Ha il senso impressole dal Padre, e consiste nella Pasqua del Figlio, l’Agnello dell’esodo (cf. Es 12,3ss), l’Agnello pasquale dalle ossa non spezzate (cf. Es 12,46; Gv 19,33.36), integro. Gesù Agnello, il Signore dei signori, il Re dei re (cf. Ap 17,14), ha vinto l’ultimo nemico, la prima e la seconda morte, quella che angoscia gli uomini già con le sue anticipazioni negative (malattie, catastrofi ecc.).
Il senso della storia è questo: chi vive innocente, per amore, con il dono della vita per gli altri – anche e soprattutto per i sopraffatti dal male – è potentemente debole, vittorioso sul male e sulla morte e il suo codazzo di sgherri che la precede e la segue. Chi vince il male con il bene (cf. Rm 12,21), chi vince la violenza con la potenza dell’amore e del perdono, ha scoperto il filo rosso, vincente, che lega le vicende degli uomini.
Cristo Agnello ha aperto la strada, ha aperto i sigilli, ha confidato agli angeli e al Veggente di Patmos che questa è la password che apre la storia al suo significato segreto vincente e positivo.
Sigilli e marchi
Il sesto sigillo è aperto dall’Agnello (cf. Ap 6,12). Egli rivela il senso profondo della storia, senso vero ma nascosto agli increduli «abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell’Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13,8). Esso rivela è che «i servi del nostro Dio» (Ap 7,3) non “riceveranno ingiustizia/saranno devastati/adikeō” alcuna, così come tutto il creato – terra, mare e piante. Essi non soffriranno lo scacco definitivo, annientante, perché in precedenza hanno ricevuto “il sigillo sulle loro metope/sulla loro fronte/sphragis epi tōn metōpōn autōn”.
Il “sigillo/sphragis” battesimale – ben diverso dal “marchio/charagma” impresso dalla bestia sulla metopa/fronte e sulla mano dei suoi seguaci (cf. Ap 13,17; 14,9; 16,2, 19,290; 20,4) – fa sì che essi non riceveranno alcun danno/adikeō dal male profondo, tragico, decisivo e annichilente. La loro fronte/metopa – placca pressoché quadrata, talvolta decorata con bassorilievi, posta nell’ordine dorico tra i triglifi del fregio del tempio – è “sigillata” in modo ben visibile, sul fregio del tempio del loro corpo (cf. 1Cor 3,16-17; 2Cor 6,16).
Il male definitivo nulla potrà al vedere tale sigillo. Chi lo porta sono “i servi di Dio” ed essi sono intoccabili, preservati, messi al sicuro. Essi formano un popolo bellissimo, composito, costituito dalle tribù – dodici – di Israele del Primo/Antico Testamento “moltiplicate/elevate al quadrato”. La loro somma è ulteriormente moltiplicata per il tempo proprio di Dio, il tempo divino – “mille” (cf. Ap 7,4-8).
Oltre a loro, il Veggente contempla una “moltitudine immensa/ochlos polys, innumerevole, composta di persone di ogni “nazione/etnous”, “tribù/phylōn”, “popoli/laōn”, “lingua/glossōn”. Tutti stanno in piedi – cioè viventi, risorti – davanti al trono di Dio Padre e all’Agnello, con le loro vesti – le loro persone – candide – vittoriose sulla morte/risorte/appartenenti al mondo divino. Rami di palma – segno di vittoria – stanno nelle loro mani, mentre la loro bocca esplode in grida e acclamazioni di lode, gloria e onore a Colui al quale appartiene la “salvezza/sōtērian”, sovrano onnipotente – seduto sul trono – e all’Agnello pasquale vittorioso.
Gli esseri del cielo – angeli, gli anziani appartenenti al popolo eletto e i quattro viventi, simbolo dell’universalità degli uomini della storia – si uniscono al canto di glorificazione, “cadendo/epesan” sulla loro faccia davanti al trono, compiendo la “prostrazione di venerazione/proskynesis” dovuta al re.
Il Veggente di Patmos vedrà tre “segni/sēmeia” nel suo viaggio celeste di rivelazione, apocalittico (12,1.3; 15,1). Nel terzo, egli contempla «coloro che hanno vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome… Hanno cetre divine e cantano il cantico di Mosè, il servo di Dio e il canto dell’Agnello». È il popolo messianico, rinnovato, che, oltre ai figli di Israele (cf. Ap 21), comprende in sé anche coloro che hanno creduto nell’Agnello pasquale, Gesù. Sono genti che formano la famiglia dei figli di Dio, una famiglia che abita nella Gerusalemme che scende dal cielo, con i nomi delle dodici tribù dei figli di Israele scritti sulle dodici porte e fondata su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello, gli apostoli del Nuovo Testamento (cf. Ap 21,9-14).
Candide nel sangue
Un anziano chiede al Veggente chi siano e da dove vengano i 144.000 delle tribù di Israele e la moltitudine immensa. E il Veggente risponde all’anziano: «Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. E lui: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”».
Candide nel sangue. È il paradosso della Pasqua, la Pasqua dell’Agnello come sgozzato, vittorioso e risorto. Coloro che lo seguono ovunque egli vada (cf. Ap 14,4) assimilano la loro vita (= vesti) a quella di Gesù Cristo morto e risorto. Intridono la loro esistenza (sangue) nella vita-donata-sparsa (sangue) dell’Agnello pasquale. Chi dona la vita con la forza dell’Agnello mantiene candida la veste del battesimo oppure la rende bianca, pasquale, reimmergendosi continuamente nella fonte della vita donata, vero segreto della storia. Candide perché rosse sanguigne.
È il paradosso pasquale, il paradosso dei santi, cioè di coloro che appartengono al mondo “altro”, all’“Altro” che, sul trono della gloria del suo amore, guida con la sua forza il cammino dell’umanità e della Chiesa, per farla sua fidanzata/nymphē, la sua bellissima sposa/gynē adornata per le nozze dell’Agnello (cf. 19,7; 21,2.9).
Beati e santi
«Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro» (Ap 22,7), annuncia al Veggente di Patmos uno dei sette angeli che hanno le sette coppe (cf. Ap 21,9), mentre lo guida alla comprensione di ciò che vede come verità profonda e definitiva della storia: le nozze dell’umanità con l’Agnello.
Un altro angelo gli aveva rivelato poco prima: «Beati e santi quelli che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo, e regneranno con lui per mille anni». Coloro che hanno vinto la prima morte (quella biologica) con la forza del battesimo nel sangue dell’Agnello non potranno essere toccati dalla morte seconda, la morte escatologica, definitiva, la vita per sempre senza Dio.
Figli di Dio
Nel grandioso portale del Discorso della Montagna (Mt 5–7) sono infisse nove borchie brillanti, le nove beatitudini (cf. Mt 5,1-12a) assicurate non da un nuovo e secondo Mosè, ma dal plenipotenziario stesso di Dio, il Figlio di Dio. Le sue sono promesse motivate di beatitudine e di felicità, assicurata con una ragione ben fondata e solida.
Venendo nel mondo Gesù, l’Emmanuele (cf. Mt 1,23), il regno dei cieli si è avvicinato, ha toccato con delicatezza divina i lembi del vivere umano. Con la venuta di Gesù cambia tutto. La sua venuta è radice di felicità e di beatitudine serena, intima, non sboccata e becera, finta e frutto di lifting e iniezioni di botox.
I santi sono coloro che appartengono con radicalità a Gesù, uomo “altro”, tutto di Dio, l’Altro per eccellenza. I santi non sono santi morali ma santi religiosi, che hanno fatto la scelta di legarsi con fiducia totale al Dio di Gesù, la Novità del mondo.
Con la sua venuta Gesù, l’Emmanuele e Figlio di Dio, la regalità e la sovranità/basileia di Dio comincia a instaurarsi dolcemente in chi l’accoglie, trasfigurando il mondo e le relazioni umane con la vita divina. «Il popolo che abitava [lett.: giaceva] nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano [lett.: giacevano] in regione di morte una luce è sorta» (Mt 4,16).
Il manifesto delle beatitudini, nuova carta di identità del credente discepolo di Gesù, è il dolce ritratto del Maestro, del Figlio di Dio, l’Emmanuele che resterà per sempre con i suoi discepoli, fino alla consumazione dei secoli (cf. Mt 28,20). Lui è il Beato per eccellenza, il Santo dei santi.
Chi accoglie la grazia della vita che Gesù offre, avrà fin d’ora la possibilità di vivere in modo alternativo, paradossale, strano ma più vero di ciò che appare tale agli occhi degli uomini. L’umiltà, lo spossessamento, la libertà dal narcisismo, renderanno il discepolo forte nella mitezza che lascia spazio alla vita degli uomini non imponendosi con la forza.
Il discepolo, lievito di un mondo nuovo (cf. Mt 13,33) impastato con l’umanità intera, trasfigura, rende “altro”, “tutto di Dio”, “santo” tutto ciò che vive e tutto ciò con cui entra in relazione. Il suo occhio è semplice, puro, non doppio; la sua legge maestra è la misericordia che perdona, accoglie, dà fiducia e nuove chances di vita. Il suo cuore è pieno di empatia, e soffre perché l’amore di Gesù non è conosciuto e ricambiato, piange di un pianto “divino” ma anche molto umano, con tutti i feriti della storia. Il discepolo di Gesù persegue per suo dono la giustizia di Dio – il compimento della volontà del Padre –, che abbraccia, trasfigura ed eleva divinamente la pura giustizia umana.
Colui che appartiene a Cristo, suo Maestro, riceverà dalla sua presenza pasquale nella comunità (cf. Mt 18,20; 28,20) la forza di costruire la pace con pazienza e perseveranza. Colui che è la nostra pace (cf. Ef 2,14) darà la sua forza ai costruttori di pace e la gioia non solo di credere in lui, ma per lui soffrire (cf. Fil 1,29) e, se dovesse essere abbracciato dal piano di Dio, per lui anche morire.
I beati sono santi, sono tutti di Dio. Fin d’ora, in attesa della pienezza. I santi non sono imbelli, ma disturbatori di coscienze. I santi non stanno nelle sacrestie, ma nelle vene della storia, lì dove si collabora con Dio che fa crescere la sua sovranità di vita nel cuore delle persone.
Solennità di tutti i santi, profumo di Vangelo.
Nasce un mondo nuovo.
Santi subito.