Consolidare
Si conclude il primo (46-48 d.C.) dei cosiddetti tre “viaggi missionari” compiuti da Paolo in compagnia di diversi collaboratori. Nel primo di questi, Paolo è accompagnato da Barnaba, dopo aver lasciato Giovanni(-Marco) a Perge di Panfilia (At 13,13).
Lapidato a Listra e creduto morto, circondato dai discepoli, il nostro campione si alza da solo (“risorto/anastas”) ed entra coraggiosamente nella città che aveva ordinato di linciarlo. Il giorno dopo, ricuperate le forze, con Barnaba parte per Derbe (96 o 136 km a sud-est, sempre in Licaonia). Da Derbe proviene Gaio, collaboratore e accompagnatore di Paolo (At 19,29; 20,4).
Dopo aver annunciato la buona novella ai “gentili/pagani” del luogo (non sono menzionati i giudei) e aver fatto un bel numero di discepoli, Paolo e Barnaba tornano sui loro passi, senza tornare ad Antiochia di Siria (chiamata anche Antiochia sull’Oronte) per il Passo dei Monti Tauri, le “Porte della Cilicia”. Essi decidono infatti di fare una visita pastorale alle comunità appena fondate. Tornano quindi a Listra (km 96 o 136 km a nord-ovest), di qui a Iconio (40 km a nord-est) e infine ad Antiochia di Pisidia (150 km a nord-ovest). Di lì, sempre seguendo la Via Sebaste, scendono a Perge di Panfilia (270 km a sud).
Dopo essersi imbarcati ad Attalia, tornano ad Antiochia di Siria, dopo essere sbarcati nel suo porto, a Seleucia di Pieria, non menzionata. Di lì, per la strada tortuosa che costeggiava per 24 km sulla destra orografica l’Oronte (“Il Ribelle”, perché scorre nel Libano da sud a nord, per poi piegare a ovest e a sud dopo aver attraversato la città di Antiochia), arrivano, dopo una giornata di cammino, alla loro meta (a meno che non abbiano usato una barca, essendo allora il fiume Oronte navigabile). Il cerchio si chiude, il primo viaggio missionario è compiuto.
La visita pastorale intende “consolidare/fortificare/rinforzare/epistērizō” le comunità, perché “stiano salde/stērizō-sopra/epi” il fondamento gettato dagli apostoli missionari. Non è sufficiente il primo annuncio. Occorre rinsaldare le fondamenta e irrobustire la crescita, che di fatto avviene in un ambiente totalmente ostile.
Affidati
Per facilitare il “rimanere saldi” delle varie comunità, Paolo e Barnaba attuano quattro operazioni:
1) esortare caldamente/supplicare (a volte consolare)/“impegnare vivamente a qualcosa/parakaleō” a “rimanere dentro” l’ambito della fede che hanno accolto ed espresso;
2) anticipare loro realisticamente che nel piano di Dio (“dei”, v. 22) rientra misteriosamente il fatto che solo attraverso molte “tribolazioni/thlipseis” si può entrare nell’ambiente spaziale e temporale del regno di Dio, il mondo nuovo di Dio. I discepoli hanno visto concretamente le tribolazioni alle quali sono stati sottoposti i missionari. Non si fa alcun vittimismo, masochismo o giustificazione pietistica delle sofferenze. Le sofferenze (indesiderate) indicano la resistenza che il mondo offre all’annuncio del vangelo (cf. Lc 6,22; 9,23-24; 11,49-51; 21,12-19) e la partecipazione alle sofferenze di Cristo (cf. Fil 1,29; 3,10-11);
3) strutturare le comunità “votando a mano alzata/nominando con l’imposizione del mani (cheirotoneō)” degli “anziani /presbyterous”, imitando in questo l’usanza sinagogale secondo la quale un collegio di laici curava la gestione della comunità locale. Usanza nota alla Chiesa di Gerusalemme (cf. At 11,20; 15,2-6.22-23; ecc.). Nel suo “testamento pastorale” gli anziani di Efeso saranno invitati da Paolo a essere pastori della loro comunità (cf. 20,28);
4) affidare/consegnare (paratithēmi) al Signore risorto (kyrios) le comunità, durante la preghiera e il digiuno, come alla sua vera e unica guida. Le comunità non si basano certo sulle strutture, anche se queste sono necessarie.
Dream team
All’inizio dl viaggio (cf. At 13,1-3) la comunità di Antiochia di Siria aveva inviati i suoi missionari su impulso dello Spirito Santo che li aveva messi da parte (aphorizō) durante la preghiera liturgica rivolta al Signore risorto per un’opera (ergon) alla quale lo Spirito Santo li aveva chiamati (proskaleō). Nella vita e nella missione della Chiesa sono all’opera sia componenti divine che umane. Una realtà che Paolo e Barnaba riconosceranno al termine del loro viaggio.
Alla fine della loro missione divino-comunitaria (2.100 km in totale, di cui 1.050 via mare, secondo Giovanni Uggeri), Paolo e Barnaba ritornano ad Antiochia di Siria, dove erano stati “dati in potere/donati in consegna/paradidōmi” alla “grazia di Dio/charis tou theou”.
Dio-Cristo risorto-lo Spirito Santo-la grazia-la comunità. Un quintetto base che solo insieme vive e attua la vita e la missione della Chiesa nel mondo di allora e di oggi!
Verso il termine del suo terzo viaggio missionario (da altri chiamata “missione efesina”, 53-57 d.C., dopo quella “antiochena” che comprende i primi due “viaggi”), Paolo consegnerà la Chiesa di Efeso, rappresentata dai suoi anziani fatti venire da lui sulla spiaggia di Mileto, «a Dio e alla parola della sua grazia» (At 20,32). La “Parola/logos”, della quale il libro degli Atti descrive la corsa impetuosa da Gerusalemme a Roma, è l’elemento ulteriore che porta a sei i membri del dream team, il sestetto vincente della vita e della missione della Chiesa: Dio-Cristo risorto-lo Spirito Santo-la Parola-la grazia-la comunità.
Porta aperta
Ad Antiochia di Siria Paolo e Barnaba erano stati riservati dallo Spirito Santo per un’“opera/ergon” alla quale egli li aveva chiamati (cf. At 13,2). Di fatto, al termine del loro viaggio i due missionari riferiscono alla comunità convocata quanto «“Dio con loro/ho theos met’autōn” aveva fatto» (v. 27). La missione è di fatto un’opera teurgica, divino-umana. Paolo non aveva esitato a scrivere, a metà degli anni 50, che lui e Apollo erano (solo) «di Dio… collaboratori!/theou… synergoi» (1Cor 3,9; cf. 1Ts 3,2), diaconi/servitori (diakonoi, 1Cor 3,5) di colui che solo conta, Dio che fa crescere… (cf. 1Cor 3,7).
Ciò che “Dio con loro aveva fatto” era stato quello di “aprire una porta di fede alle genti”. La “porta della fede” aperta (cf. la ricorrenza dell’espressione impiegata da Paolo in 1Cor 16,9; 2Cor 2,12; cf. Col 4,3) significa che Dio, “con-attuando” (con noi, non per mezzo di noi) l’opera evangelizzatrice di Paolo e Barnaba, ha aperto il cuore delle genti al vangelo oppure che ha dato loro accesso al mondo della salvezza.
Nell’ultima comunità evangelizzata, Derbe, non si faceva menzione alcuna della presenza di credenti ebrei. La comunità di Antiochia di Siria, che era stata pioniera nell’evangelizzazione delle genti (cf. At 11,20), trova nelle parole dei suoi inviati-missionari la conferma divina della bontà della scelta di apertura compiuta. Ora anche ai gentili è concesso di partecipare della grazia e delle promesse fatte a Israele, compiutesi in Gesù morto e risorto. Un’opera incredibile, che lascia attoniti e stupiti, se non fosse vera e raccontata a viva voce dai protagonisti (cf. At 13,41 che cita Ab 1,5). Non bisogna farsi beffe delle opere di Dio, dice il profeta.
La famiglia dei figli di Abramo si sta ingrossando (cf. Gen 12,3; Rm 4!)…
Gloria
Deciso a tradire/consegnare Gesù (perché deluso? perché Gesù si smuova e finalmente si riveli concretamente un messia liberatore?), Giuda Iscariota esce nella notte della sua mente frastornata, nel buio del tradimento dell’Amico e Maestro, nell’oscurità del peccato che lo distanzia dalla Vita.
Giuda se ne va nella notte (Gv 13,30), chiuso in se stesso e nel suo disegno controverso e contorto. Se ne va, solo, “Uno dei Dodici”! Ma non è solo. Gesù è sempre con lui. Giuda mastica ancora il boccone offertogli da Gesù (opsōmion, vv. 26.27.30), il boccone riservato all’ospite illustre, all’amico più caro. È il boccone della comunione offerta e rifiutata. Insieme al boccone purtroppo entra in Giuda anche “Satana/ho Satanas” (v. 27), l’Avversario del suo Maestro e Signore.
«“Adesso è stato glorificato/nyn edoxasthē” il Figlio dell’uomo», afferma Gesù appena uscito Giuda. Se la gloria di Dio partecipata da Gesù è il “peso/kābôd” di quel che è al suo interno e che si manifesta all’esterno, il Figlio dell’uomo – il Verbo di Dio inviato dal Padre per essere il Rivelatore incarnato e poi ritornare a lui – è stato glorificato da Dio in lui perché ha potuto manifestare all’esterno l’amore che lo anima all’interno. Gesù infatti ha già lavato i piedi ai suoi, con un gesto stra-volgente e in-vertente i ruoli. Da Maestro e Signore a schiavo dalle vesti deposte, già pronto alla morte per le sue pecore.
Ora Gesù ha appena amato il traditore donandogli il boccone della comunione e dell’amicizia. Ha da poco manifestato all’esterno l’amore oneroso che lo muove all’interno. Ha manifestato pubblicamente che lui è amore che cerca la comunione. È questo il suo “peso”, la sua gloria”. Il Verbo rivelatore, Gesù Figlio dell’uomo, l’ha manifestata per dono del Padre: Gesù è stato glorificato, passivum divinum.
E il Padre, a sua volta, manifesta anch’egli il peso/gloria del suo amore in Gesù, nel suo gesto, nella sua scelta d’amore comunionale. Nel suo amore “glorioso”, è glorificato anche l’amore “nascosto” del Padre. Amore che accade, è messo in movimento in circostanze esterne avverse/sataniche, che indurrebbero normalmente ad atteggiamenti del tutto contrari, quali la vendetta, il risentimento, la tristezza, la delusione che attanaglia il cuore…
Per Gesù è scattata l’ora (Giuseppe Segalla) della glorificazione. È l’inizio della fine. L’inizio della pienezza. Il Padre ha già iniziato a glorificare il Figlio. Il Padre ha già infatti condiviso la scelta e i gesti di Gesù, è sempre con lui e non lo lascia mai solo (cf. 16,32). Per questo lo glorificherà ancora, dandogli forza e assistenza nel momento del suo “innalzamento” sulla croce. Sarà il momento della gloria piena, la piena manifestazione esterna dell’amore “crocifisso” che anima Gesù nel suo interno, costituendo la sua vera natura, la sua essenza, la sua gloria.
Comandamento “nuovo”
Gesù ripete l’annuncio della sua partenza per un luogo dove i Dodici per ora non possono seguirlo (men che meno lo possono fare i “giudei” che, al sentirlo parlare così durante la festa delle Capanne sei mesi prima, pensavano che egli andasse a suicidarsi invece che a offrire la vita per gli altri, cf. 8,21-22!).
Gesù “dona/didōmi” ai suoi discepoli un “comandamento nuovo/entolēn kainēn”: «“Che vi amiate/hina… agapate” gli uni gli altri. “Come io ho amato/ kathōs ēgapēsa” voi, così voi amatevi anche voi gli uni gli altri». Una parola che comanda l’amore è possibile perché comanda la vita, comanda di seguire l’esigenza vitale della persona ad aprirsi per donare e ricevere l’amore, la relazionalità, la vita. Vi raccomando di vivere all’altezza della grandezza della dignità delle vostre persone. Vi posso comandare questo perché l’essenza della vita è l’amore e lo scopo della mia vita è che voi viviate, siate felici e la vostra gioia sia piena (cf. Gv 16,24).
Vi dono un comandamento “nuovo/kainē” – dice Gesù –, un comandamento di qualità nuova. Non è un comandamento “recente/nea”, ma nuovo, mai visto, umano e sovraumano, un amore divino che mette la tenda nelle relazioni interumane, baciandole col mondo di Dio.
Vi comando un comando di qualità nuova, ma ve lo comando, perché è una realtà possibile. Ve lo posso comandare perché non vi metto davanti solo un modello da imitare titanicamente (“così/kathōs” comparativo/di imitazione/similitudine) ma soprattutto un fondamento su cui costruire in modo solido (“sul fondamento/kathōs” fondativo).
Fra voi
L’amore reciproco fra i discepoli sarà la prova incontrovertibile del loro essere alla sequela del Maestro e Signore che ha lavato loro i piedi. È evidente che Gesù non dimentica che l’amore dei discepoli è ad intra, ecclesiale, ma anche ad extra, nei confronti dei “nemici” (cf. Mt 5,44; Lc 6,30). Gesù ne ha appena dato loro un esempio donando il boccone dell’amicizia a colui che sta per tradirlo/consegnarlo.
L’amore per i nemici è il segno distintivo dei credenti in Gesù, dei suoi discepoli. Solo chi è sostenuto dall’amore di Gesù donatogli in precedenza nel cenacolo, sulla croce, nell’effusione dello Spirito pasquale del Figlio può arrivare a portare nel mondo questa vita nuova. È evidente che Gesù risorto può donarlo in modo invisibile anche a chi non faccia parte della cerchia visibile dei suoi discepoli, la Chiesa. Il vento soffia dove vuole e tu non lo sai…
L’amore reciproco dovrà stare sempre “fra/en” i discepoli come prova del loro essere in continuo ascolto e sequela di colui che li ha amati fino “alla fine/eis telos” (Gv 13,1). Fino alla fine dei suoi giorni, delle sue forze, dell’intensità a lui possibile come Uomo-Dio.
Su questo fondamento (kathōs) che precede, tutto è possibile a chi segue.
Un amore fraterno, ecclesiale, intenso, comunitario ma aperto anche ai “nemici”, ai “traditori”.
Un amore che accoglie e accompagna il cammino di tutti, a partire dal più debole e fragile, come Giuda.
Un comandamento “nuovo”.
Un amore “nuovo”.
Sarà il distintivo di un mondo alternativo.
Anticipo del Regno fra gli uomini.