V Quaresima: aprirsi al futuro

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Una delle note che il concilio Vaticano II ha indicato per una fruttuosa partecipazione dei fedeli alla celebrazione liturgica è la consapevolezza: «La madre Chiesa desidera ardentemente che tutti i fedeli vengano guidati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione delle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano (…) ha diritto e dovere in forza del battesimo» (Sacrosanctum concilium 14).

Tale consapevolezza è possibile e si alimenta in primo luogo mediante un’intelligente interpretazione delle pagine bibliche, nelle quali il Signore ci comunica gli elementi essenziali del suo disegno di salvezza e ci provoca ad una risposta tutta nostra: una risposta non fatta solo di parole, spesso affrettate e talvolta insincere, ma anche impastata di opere e di vita.

1. La prima lettura di questa domenica è mutuata dalle profezie di Isaia, laddove il profeta invita il popolo d’Israele a non abbandonarsi a sentimenti di tristezza per un passato glorioso ma ormai tramontato, bensì a guardare in avanti, nutrendo fiducia che quel Dio che un tempo li ha beneficiati anche ora e nel futuro potrà visitarli per liberarli dall’esilio e farli partecipi di una nuova libertà.

«Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti»: la liberazione del popolo eletto dall’esilio di Babilonia sarà simile all’esodo e così il Signore dimostrerà ancora una volta di voler rimanere fedele alle sue promesse.

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova… Aprirò anche nel deserto una strada». La liberazione dall’esilio avrà, perciò, anche una grande novità, lasciando intravedere qualcosa dei tempi messianici ed escatologici. Rivelandosi all’uomo, Dio gli manifesta anche il senso della sua vita e della sua storia.

«Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi»: la liberazione dall’esilio sarà dunque come un “secondo esodo”, nel senso che ora, come allora, non avrà luogo solo una liberazione materiale, bensì anche una liberazione morale, per la quale il popolo ritornerà a lodare il suo Dio e a vivere in modo conforme alla sua legge. Ciò che Dio fa per il suo popolo («il popolo che io ho plasmato per me») richiede dal popolo una risposta d’amore («celebrerà le mie lodi»).

2. Il salmo responsoriale riprende espressamente la tematica della prima lettura: il ritorno dall’esilio sarà una piena manifestazione della potenza e della bontà di Dio. Anche ora, come ai tempi dell’esodo, avrà luogo una chiara manifestazione della gloria di Dio.

«Grandi cose ha fatto il Signore per noi»: questo ritornello ci mette nella giusta direzione per fare della nostra preghiera un inno di lode. Agostino ci ricorda che noi lodiamo Dio non per aumentare la sua gloria ma per dare sfogo al nostro bisogno di ringraziarlo per tutto quello che ha fatto nella storia della salvezza.

Il primo sentimento espresso dal salmista è quello del sogno: «Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare». Nel sogno si scatenano i desideri più assurdi: ebbene, ora il popolo vede realizzati i sogni che aveva coltivati.

Al sogno si abbina il sorriso: «Allora la nostra bocca si riempì di sorriso»: dopo tante lacrime sparse per i soprusi subìti, ma soprattutto per essere stati costretti a vivere lontano da Gerusalemme, i membri del popolo eletto possono abbandonarsi al sorriso, segno di una vita serena.

Dopo il sogno e il sorriso, ecco il canto: «La nostra lingua [si riempì] di gioia». È più che giusto esprimere e condividere tra cultori della stessa fede, magari nel canto ilare e gioioso, le esperienze fatte, soprattutto quelle nelle quali abbiamo potuto sperimentare l’infinita misericordia di Dio.

3. La seconda lettura corrisponde ad una pagina della lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani della città di Filippi: una parte dell’esortazione apostolica nella quale egli mostra le conseguenze della fede in Cristo sia nella sua persona sia nella nostra vita.

Possiamo interpretare questa pagina in una prospettiva storica: Paolo dapprima lancia uno sguardo sul suo passato: «Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Gesù Cristo. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose». Qui Paolo ci offre una confessione personale: dopo che ha incontrato Gesù risorto, egli ha assunto un nuovo criterio di valutazione: la sublime conoscenza di Gesù sta ormai in cima ad ogni altro valore.

In un secondo momento, Paolo guarda al suo presente e si dichiara desideroso di partecipare alle sofferenze di Cristo, «facendomi conforme alla sua morte». Inoltre afferma: «Non ho certo raggiunto la meta…, ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù». Qui si intravede tutto l’impegno ascetico dell’apostolo. Cristo non basta averlo incontrato, sia pure in modo straordinario come Paolo; occorre anche seguirlo: la sequela fedele e gioiosa costituisce la verifica dell’autenticità dell’incontro.

Infine, l’apostolo guarda con fiducia al suo futuro: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù». Paolo non guarda verso un futuro incerto o sfumato, ma verso un nuovo incontro con Cristo per condividere per sempre la sua gloria.

4. La pagina evangelica ci porta a meditare sull’incontro di Gesù con una peccatrice pubblica, della quale ci riferisce il quarto evangelista nel capitolo ottavo del suo vangelo. Una pagina drammatica, che ci consente di cogliere alcun aspetti interessanti della personalità di Gesù.

I farisei avevano sorpreso questa donna in flagrante adulterio: l’avrebbero già lapidata, secondo i dettami della legge mosaica, se non avessero concepito il desiderio perverso di mettere alla prova Gesù.

Ma Gesù se la cava egregiamente e non si lascia immiserire in un’interpretazione gretta della legge. Egli, infatti, non è venuto per abolire la legge, ma neppure per assumerla materialmente, tanto meno per applicarla ad litteram; piuttosto egli «è venuto a darle pieno compimento» (cf. Mt 5,17), cioè a mostrare che la pienezza della legge è l’amore e che non c’è applicazione perfetta della legge se in essa non trionfa la carità.

A Gesù viene presentato non un caso astratto, ma una donna in carne e ossa. Per la donna si tratta di vita o di morte: la legge mosaica non lascia spazio ad altre soluzioni. Ma Gesù deve superare una grave insidia: secondo i farisei, egli non può sfuggire al dilemma. Ancora una volta, invece, Gesù manifesta di essere un grande pedagogo: anche nei confronti dei farisei accusatori egli fa un estremo tentativo di condurli sulla retta via. Infatti propone loro una specie di esame di coscienza: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».

La pagina termina con un breve dialogo tra la donna e Gesù: un capolavoro di delicatezza e di tenerezza.

 

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