Nella liturgia di questa domenica campeggia la figura del re Davide. Egli si è reso responsabile di un duplice peccato: un adulterio e un omicidio. Ma quello che dobbiamo rilevare è che questo episodio tristissimo intende proiettare luce sulla nostra vita, che rimane pur sempre esposta all’eventualità del peccato.
Le altre letture, a partire dal salmo responsoriale fino alla pagina evangelica, passando attraverso quanto l’apostolo Paolo scrive ai cristiani della Galazia, possono essere considerate come variazioni sul tema annunciato e bene illustrato dalla prima lettura.
1. Ben due lunghi capitoli del secondo libro di Samuele sono dedicati alla vicenda del peccato di Davide; la lettura odierna presuppone il fatto e ci presenta l’intervento del profeta Natan che cerca di portare il re al pentimento e al pieno recupero del suo rapporto con Dio.
Natan si avvale di uno stratagemma, più esattamente inventa una parabola, attraverso la quale Davide dovrebbe capire dove tende il discorso e l’intenzione del profeta. Non è esattamente un tranello quello che Natan tende a Davide, anche se di fatto funziona come tale. Da parte sua, Davide non fa fatica a riconoscersi in quel personaggio della parabola che si è mostrato tanto egoista e superbo.
A questo punto assistiamo, non senza meraviglia, alla confessione di Davide. Egli non dice: «Ho peccato con Betsabea o contro Uria», ma: «Ho peccato contro il Signore!». Così Davide dimostra di avere piena consapevolezza che il peccato, ogni peccato – e quindi anche questo suo duplice peccato – arriva fino a Dio, colpisce Dio al cuore.
Sono due i rilievi che possiamo fare. Per riportare Davide sulla retta via, il Signore chiama Natan, il profeta: Dio, che potrebbe fare tutto da solo, si serve di un profeta per raggiungere i suoi scopi. Anche a noi, nelle varie circostanze della vita, è chiesto di accogliere il profeta inviato da Dio e di accettare i suoi messaggi. Certo, non è sempre facile, e dobbiamo chiedere il dono del discernimento che si ottiene mediante la preghiera e l’ascolto della parola di Dio.
Il secondo rilievo riguarda la dimensione teologica del peccato: esso colpisce Dio direttamente, anche se, di fatto, consiste nel trasgredire alcuni suoi comandamenti. Sotto questo profilo, potremmo dire che ogni nostro peccato è grave, perché offende Dio personalmente.
2. Il salmo sta molto bene sulle labbra di Davide. Esso proclama la beatitudine del peccatore al quale è stata rimessa la colpa. Sì, perché quello che conta nella vita non è il peccato che commettiamo, ma la grazia di Dio che ci raggiunge per poter ritornare nel pieno rapporto filiale con lui.
Dal salmo si ricavano alcune certezze: la prima è certamente la triste realtà del peccato e del nostro essere peccatori. Ma il messaggio principale del salmo sta nel riconoscimento che Dio è padre misericordioso e fedele e come tale desidera solo poterci perdonare per ristabilire con noi il suo rapporto paterno.
Per questo il salmo ci porta a dire: «Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia, mi circondi di canti di liberazione»: è una vera e propria professione di fede, questa, che non si esaurisce in alcune parole rivolte a Dio, ma ci induce a riprendere la via dei suoi comandamenti.
3. Ciò che Paolo afferma nella seconda lettura possiamo considerarlo una riflessione teologica di alto profilo sul “mistero” del peccato. È bene sostare con calma sul suo insegnamento per non ridurre il peccato ad una mera banalità o ad un semplice incidente di percorso, mentre nel pensiero di Dio esso può diventare un trampolino di lancio per ritornare a lui.
Anzitutto, «sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo». Qui Paolo squalifica la Legge dell’antica alleanza non in se stessa, che pure era dono di Dio e conteneva norme di grande valore religioso, ma per il fatto che coloro che la osservavano pensavano di ottenere la salvezza in forza della loro osservanza. Ma Paolo a Damasco è stato illuminato diversamente, anzi ne ha fatto esperienza lui personalmente.
Conseguentemente, «abbiamo creduto in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge». A costo di ripetersi, l’apostolo ribadisce la sua convinzione.
Anche la terza affermazione richiama la stessa verità: «In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio». In altri termini, già ora in chi crede accade qualcosa di straordinario, una sorta di mistero pasquale di morte e di vita nuova.
Ma, con nostra grande meraviglia e per una grazia speciale, il pensiero di Paolo va oltre quando afferma: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io ma Cristo vive in me». Per grazia arriviamo ad assomigliare al figlio suo Gesù, diventiamo la sua icona in terra.
4. Il brano del vangelo ci porta a riflettere su una delle pagine più belle del vangelo di Luca: ciò che accade nella casa di Simone il fariseo, soprattutto per la presenza e i gesti di una donna peccatrice, che tratta Gesù con estrema libertà e delicatezza. Lavando i suoi piedi e baciandoli, ci interpella direttamente sia come persone sia come comunità credente.
Il nostro commento potrebbe limitarsi alla parte finale del racconto. Qui, infatti, sta il nucleo principale della rivelazione intesa da Gesù. Gesù parla a Simone guardando la donna: «Vedi questa donna?… Tu non mi hai…, lei invece… Tu non mi hai…, lei invece…», come per fargli capire che quello che conta nella vita è il nostro modo di rapportarci con lui e non il modo con il quale guardiamo noi stessi e ciò che facciamo. Anche Davide, nella sua pur triste vicenda, non ha indugiato a fare l’analisi della sua situazione, ma ha rivolto subito la sua mente e il suo cuore a Dio, pietoso, misericordioso e clemente.
Andando oltre i gesti di quella donna e interpretandoli con accuratezza, Gesù afferma: «Sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato». Si direbbe che, mentre Simone guarda le cose dall’esterno, Gesù legge nel cuore di quella donna e coglie l’amore che l’ha spinta ad agire in quel modo, sfidando l’opinione pubblica farisaica.
Alla fine Gesù si rivolge a tutti i presenti per proclamare la piena assoluzione della peccatrice: «I tuoi peccati sono perdonati… La tua fede ti ha salvata, va’ in pace!». Nei commensali queste parole del Maestro suscitano stupore e forse anche scandalo, ma Gesù in questo modo conferma di essere Dio, perché ha il potere di leggere nei cuori e di rimettere i peccati.
Augurando alla donna peccatrice la pace, Gesù lascia intendere che c’è un solo modo per vivere nella pace, cioè in un giusto rapporto con Dio e con il prossimo: quello di chiedere e di accogliere il perdono delle nostre colpe. In questo modo recuperiamo la possibilità di vivere in pienezza la nostra divina figliolanza e di rinnovare rapporti fraterni con tutti.