Questa domenica possiamo caratterizzarla a partire dalla così detta “tipologia eliana”, cioè dalla relazione tra Elia, il primo dei profeti, e Gesù, il profeta escatologico. Questa tipologia sembra essere molto cara al terzo evangelista, il quale riserva al profeta non scrittore molti riferimenti nella sua opera.
Questo fatto dovrebbe indurci a pensare quanto sia importante per una comunità di fede avere profeti nel suo seno, persone scelte e inviate da Dio stesso per fare da guida al suo popolo in cammino verso la patria. Profeta, infatti, non è tanto colui che afferma le cose o gli eventi prima che accadano, quanto piuttosto colui o colei che parla in nome di Dio e, sempre nel nome di lui, indica le vie da percorrere nella concretezza dei tempi storici. È di queste persone che hanno bisogno le nostre comunità cristiane e, per grazia, il Signore non le fa mai mancare.
1. Questa prima lettura ci informa circa la nascita del profetismo in Israele: il passaggio del testimone da Elia a Eliseo inaugura quella “tradizione profetica” che accompagnerà il cammino del popolo eletto lungo la storia. Non è pensabile Israele senza la sua terra, senza il suo tempio e senza la sua legge; tanto meno è pensabile senza la presenza e il ministero di un profeta che costituisce, per così dire, la sua coscienza critica.
Elia riceve il comando dal Signore: «Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto». Questo ci porta a dire che ogni ministero autentico viene da Dio: è lui che vede e provvede alle necessità del suo popolo in cammino. È sempre e solo lui, il Signore, che, oggi come allora, affida i suoi messaggi a persone fidate che si rendono credibili al popolo. Al popolo spetta il dovere di prestare ascolto alle loro parole, dopo aver esercitato il doveroso discernimento circa l’autenticità del loro mandato.
Al comando divino segue quella che possiamo chiamare l’investitura. Infatti «passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello». Il mantello del profeta ha un valore singolare: è segno dello spirito profetico che lo abita; per questo è estremamente significativo che il mantello del maestro tocchi il discepolo. Sarà Eliseo stesso che, vedendo Elia salire al cielo, gli chiederà che almeno la metà del suo spirito scenda su di lui.
C’è un dettaglio degno di nota: mentre Eliseo chiede il permesso di tornare a casa sua per dare l’ultimo saluto a suo padre, Gesù, al contrario, a chi intende seguirlo – lo vedremo commentando il vangelo odierno – presenterà esigenze molto più cogenti e impellenti di quelle che caratterizzavano l’antica economia della salvezza.
Dopo aver offerto un paio di buoi in sacrificio a Dio e consumato il pasto sacro con il popolo, Eliseo «si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio». Si compie così non un semplice rito ma un vera e propria missione, una di quelle assolutamente necessarie perché un popolo come Israele possa rimanere fedele alla sua originaria vocazione di “popolo di Dio”.
2. Questo lo possiamo definire un salmo di fiducia con qualche caratteristica dei salmi di ringraziamento e di supplica. Per il salmista, Dio costituisce la sola eredità degna di essere desiderata e accolta; anzi, egli è colui nelle cui mani vale la pena affidare la propria vita.
«Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio»: ecco l’invocazione iniziale che esprime l’estrema e invincibile fiducia dell’orante nei confronti di un Dio che ha già dimostrato più volte di essere vicino a chiunque lo invoca e a lui ricorre.
«Benedico il Signore che mi ha dato consiglio»: considerando la sua vita passata, l’orante riconosce di aver già ricevuto dal suo Dio i consigli necessari per coltivare in maniera degna la sua vita.
«Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima»: sembra che ora l’orante si soffermi volutamente a gustare le gioie dei precedenti interventi divini a suo favore e per questo, anticipando quasi quel genere di preghiera che conosciamo dal Magnificat, dà liberto sfogo ai sentimenti che albergano nel suo cuore.
«Mi indicherai il sentiero della vita»: infine, l’orante getta uno sguardo verso il futuro e trova modo ancora una volta di manifestare la certezza che Dio lo soccorrerà in ogni momento, fino a quando lo accoglierà per sempre nel suo seno: «gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra».
3. In questa pagina l’apostolo Paolo indica alcune conseguenze concrete della grande trasformazione creata in noi dal battesimo.
L’inizio sembra un proclama di liberazione: «Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà!». La libertà non è certamente la più importante delle virtù del cristiano, ma essa costituisce la spia che rivela l’autenticità di tutte le altre. Un cristiano veramente libero – libero perché liberato – sa come gestire la sua esistenza terrena nel segno della carità che lo rende fratello e servo di tutti.
«State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù». Paolo aveva sperimentato personalmente quanto fossero pesanti e insopportabili i pesi imposti dalla Legge mosaica e non vuole che i cristiani si sottopongano di nuovo a leggi, leggine e prescrizioni che renderebbero tremendamente triste la loro vita.
E poi di nuovo l’apostolo ribadisce: «Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà», ma aggiunge un pensiero che tradisce il suo timore: «Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne», cioè per i vostri istinti carnali, illudendovi di poter fare tutto quello che vi pare e piace, pensando che la libertà ricevuta in dono vi renda superiori ad ogni legge divina.
«Mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri»: qui Paolo fa entrare nel vivo del discorso la virtù dell’amore (agape), dono divino e partecipazione all’amore di Dio, all’amore che è Dio. «Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”». La vera libertà la si vive e sperimenta solo nell’amare.
Per sfuggire al pericolo di seguire gli istinti della carne, cioè dell’egoismo più sfrenato, Paolo invita a “camminare secondo lo Spirito”; espressione pregnante che trova una qualche spiegazione in Rm 8,1s: «Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte». Paolo parla per esperienza, essendo passato dalla schiavitù della Legge antica alla grande libertà donatagli dal risorto Signore nell’incontro del tutto imprevisto di Damasco.
4. Dal Vangelo di Luca, il formulario liturgico sceglie l’inizio di una grande sessione, tutta dedicata al lungo viaggio che Gesù intraprende per arrivare fino a Gerusalemme, la città nella quale anche lui, come gli altri profeti, deve portare a termine la sua missine. Per Luca si apre, quindi, la grande porta della passione del Signore. Il fatto che egli stia andando verso Gerusalemme costituisce un refrain che scandisce tutta la sezione.
L’incamminarsi di Gesù verso la città santa motiva il rifiuto dei samaritani ad accoglierlo nella loro città: essi, infatti, «non vollero riceverlo perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme». Problema antico e sempre nuovo: l’umanità sembra invincibilmente condannata a rifiutarsi reciprocamente, elevando muri e steccati, mentre dovrebbe creare ponti e relazioni fraterne.
Si comprende, allora, la reazione dei due discepoli Giacomo e Giovanni, i figli del tuono, i quali vorrebbero che un fuoco scendesse dal cielo e divorasse quei samaritani. Ma Gesù li rimprovera, lasciando intendere che non è quello il modo di pensare e di comportarsi verso chi la pensa diversamente da noi, e riprende il suo cammino: nessuno e nulla potrà indurlo a cambiare la destinazione di questo suo viaggio.
Durante il cammino, vengono registrati alcuni incontri. Esattamente tre personaggi, che si presentano a Gesù con l’esplicita intenzione di mettersi al suo seguito. Ma Gesù dimostra di voler esercitare l’arte del discernimento, oltre a presentare con grande chiarezza le esigenze estreme della sua sequela.
Sono tre le affermazioni che vogliamo soppesare.
Al primo che gli si presenta Gesù dice: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Non è difficile intuire in quale situazione di estrema povertà e insicurezza vivesse il Signore, la stessa che egli propone a chi lo vuol seguire.
Al secondo personaggio, che vorrebbe tornare alla sua casa per salutare il padre, Gesù dice: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Il contrasto con i morti lascia intendere che la vita vera la vive solo che si mette al servizio del Vangelo.
Infine, al terzo personaggio che, a parole, manifesta una totale disponibilità alla sua sequela, Gesù risponde: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». “Voltarsi indietro” vuol dire abbandonare l’impresa, segno che è subentrata la disaffezione nei confronti del Maestro.