XXIII Per annum: Sentinelle del perdono

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Praticamente quasi tutti gli attacchi militari pericolosi o totalmente devastanti, se non provenienti dall’Egitto per la Via maris, sono arrivati per Gerusalemme dal lato nord-est, dal Monte delle sentinelle (Har ha-ōpîm).

Gli avversari giungevano dal crinale montuoso della Samaria e andavano all’attacco del punto più debole della città, lo spigolo nord-est (chiamato oggi “La Torre delle cicogne”, 500 m. circa a nord della Porta di Santo Stefano/Porta dei leoni). Esso era poco protetto da un leggero avvallamento, relativamente facile da superare con opportuni accorgimenti di ingegneria militare.

Sentinelle

Un magnifico brano di Isaia tratteggia l’avanzare tumultuoso del nemico e il terrore che coglie la popolazione e il re di Giuda (cf. Is 10,27d-34), provocando panico e fuga: «Oggi stesso farà sosta a Nob, agiterà la mano verso il monte della figlia di Sion, verso la collina di Gerusalemme» (Is 10,32).

Era evidente a tutti che su quel monte si dovevano porre le sentinelle/ha-ōpîm che vegliassero sulla città, avvisandola con segnali di fuoco e di trombe dell’avvicinarsi del nemico.

Oggi il monte è denominato Monte Scopus, ed è quasi interamente occupato dalla Hebrew University. Un complesso universitario che educa le “sentinelle” della sapienza che devono avvisare dei pericoli che l’umanità intera, e non solo Israele, corre se si abbandona la via della sapienza/okmâ e il timor di Dio/yir’at YHWH.

Sentinella di conversione

Durante e dopo l’assedio di Gerusalemme da parte dei neobabilonesi (doppio: nel 598 a.C. e quello disastroso nel 586 a.C.), il sacerdote Ezechiele riceve una “specializzazione” della sua vocazione sacerdotale: essere anche profeta, con un master di specializzazione in “sentinella/ōpeh”.

Una sentinella è responsabile di avvisare un paese intero e il suo popolo dell’arrivo della “spada” (cioè dell’“esercito nemico”), allertandolo con il suono del corno/šôpār e questi “periranno per colpa propria/il suo sangue sul suo capo sarà/dāmô berō’šô yiyeh” se non avranno fatto caso al segnale della sentinella (cf. Ez 33,1-5).

Se la sentinella, al contrario, non compirà con coscienza il proprio compito suonando il corno, qualcuno potrà essere portato via dalla vita, ma della sua morte YHWH richiederà conto (’edrōš, v. 6).

Il nuovo compito affidato da YHWH a Ezechiele si configura nello stesso modo. Egli è costituito “sentinella” nei confronti del suo popolo. Egli non deve tanto avvisare la casa di Israele dell’arrivo dei nemici umani, quanto pronunciare la parola affidatagli da YHWH come avviso proveniente da Dio stesso.

E la parola di YHWH è una parola che mette in allerta (lehazhîr), affinché il “malvagio/rāšā‘” “desista/torni indietro/faccia inversione a U/šûb”. È una parola di salvezza per l’uomo, per tutto l’uomo, per l’uomo inserito nella vita sociale, politica, religiosa ed economica del proprio popolo. Una parola di ravvedimento, di “sveglia” dal torpore consumistico, egoistico e curvo solamente su ciò che si può vedere e toccare con mano o produrre con il proprio ingegno per il futuro, senza dover rendere conto a nessuna divinità dei cieli che si starebbe interessando alla sorte (felice) dei poveri umani… La memoria del popolo può diventare corta, immemore. La madre dei malvagi e degli stolti è sempre incinta e inonda la terra di cucciolate di gattini ciechi.

Per un altro verso, un capo forte e solo al comando potrebbe essere molto interessato alla calma piatta del cervello dei suoi concittadini. Anche un pastore religioso, per parte sua, può rassegnarsi e deporre sconsolato e stanco le armi nel corso della lotta a tutto campo contro le lobby di un pensiero filosofico, antropologico ed economico che stanno sgretolando le basi degli istituti fondamentali creati per il benessere, la coesione e la continuità della convivenza umana sensata e positiva.

Sentinelle del “keep human”

Il principio morale della responsabilità personale delle proprie azioni è una grande acquisizione del pensiero profetico e deuteronomistico presente nella Bibbia, rispetto a quello della responsabilità collettiva, tipica della mentalità di una società corporativa (cf. Dt 24,16; Ger 31,29-30; Ez 18). Quest’ultima proteggeva egregiamente il singolo, facendolo sentire appartenente a un unico corpo e non abbandonandolo nelle difficoltà di vario tipo, ma poteva portare alla deresponsabilizzazione personale.

Nella sua missione di profeta-sentinella, Ezechiele è posto al servizio della responsabilità dei singoli, perché essi crescano nella coscienza delle conseguenze delle loro azioni e tornino indietro in tempo, prima di compromettere la propria felicità vera in questo mondo e il proprio destino eterno. Il profeta-sentinella deve allertare i suoi compatrioti e correligionari, e di questo deve rendere conto a YHWH.

Cambieranno le modalità di suonare il “corno/šōpār”, ma non verrà meno il compito di sentinella affidato al profeta. Esso parla a nome di Dio a favore degli uomini. Non lo farà in modo moralistico e stucchevole, supponente e inquisitorio, ma rendendo ragione della speranza di vita che è in lui (cf. 1Pt 3,15).

Egli ha in dono da Dio di prevedere in anticipo i tempi, le conseguenze negative di certi atteggiamenti e modi di pensare; ha il dono di mettere già in atto nel presente scelte innovative, ancora non ben percepite dall’insieme del corpo umano ed ecclesiale, ma che poi risultano essere vincenti a livello di umanizzazione, di coesione sociale, di tolleranza, accoglienza e integrazione fra popoli e religioni diversi. Nessuno può vivere al posto di un altro, né si deve pensare di poter imporre ad altri le proprie visioni religiose o antropologiche.

Resta tuttavia per tutti il dovere di restare umani, e di questo l’umanità deve rendere grazie a molte “sentinelle di umanità” del nostro tempo, che rendono visibile con la parola e la vita una modalità alternativa di stare al mondo in modo responsabile e costruttivo.

Sentinelle del perdono

Quasi tutto il grande “discorso ecclesiale” (o delle direttive comunitarie) redatto dall’evangelista Matteo nel c. 18 del suo vangelo è strutturato attorno al tema del perdono. Quasi che l’evangelista avvertisse che la sua comunità di riferimento, destinataria del suo scritto evangelico, ne avesse particolarmente bisogno o che il tema fosse cruciale per ogni comunità ecclesiale. Per questo motivo egli raccoglie in questo capitolo vari insegnamenti di Gesù sul perdono, espressi con insegnamenti, parabole e direttive impegnative.

I versetti proclamati oggi in assemblea (Mt 18,15-20) riguardano soprattutto la correzione fraterna, riportando nel v. 15 il dibattuto “verso di te”, che manca in autorevoli codici e che potrebbe essere stato inserito in tempi antichissimi sulla scorta del “contro di me” del v. 21.

Conseguenza di un’offesa personale o ecclesiale che sia, il brano di Matteo si sofferma sul dovere della correzione fraterna. Gesù (= Matteo) stila quasi una procedura giuridica ecclesiale, in tre tappe, per la risoluzione di controversie terminate in offese e colpe personali e comunitarie. Questi versetti, talvolta, sono stati interpretati alla lettera come istitutivi del procedimento di scomunica istituito nella Chiesa e sfruttabili con abbondanza e nei più svariati dei casi.

Da parte sua, però, Gesù è sceso rarissime volte in discussioni giuridiche di tipo casistico, tenendo il suo discorso sempre su un terreno religioso, riguardante il Regno e il volto del Padre suo. È evidente che il suo cuore ha sempre cercato il perdono e la riconciliazione fra i discepoli, e non l’istituzione di un iter giuridico preciso di un’esclusione dalla comunione ecclesiale. Il fine del suo dire e del suo fare è sempre positivo, includente. La sua modalità operativa e istruttiva è sempre stata intrisa di fede, di amore, di misericordia.

Le problematiche ecclesiali distruttive o solamente pericolose per la comunione fraterna – sia di carattere personale o più comunitarie nella loro fisionomia – devono poter trovare soluzione in ambito fraterno di fede, di fiducia, di carità, di volontà di recuperare e includere, e non in quello freddo di perseguire giuridicamente in modo preciso una linea progressivamente escludente.

La correzione fraterna è difficilissima, ma è possibile solo in un clima di preghiera, di fede, di ricerca del bene superiore della pace. La correzione fraterna e il perdono presuppongono la ricerca paziente e pacifica della verità delle cose, per poter costruire la riconciliazione su una base duratura di realtà verificate, chiarite e accettate cordialmente.

Il bene superiore della verità evangelica e della salvaguardia della fede dei “piccoli” può prevedere talvolta dei momenti di pronunciamenti forti da parte di chi porta il peso del servizio dell’autorità in ambito ecclesiale. Ma, nell’intento di Gesù, mettere con severità qualcuno di fronte alle conseguenze gravi del proprio comportamento lo rende oggetto di ancor maggiore bisogno di misericordia, amore, ricerca di recupero, proprio come lui “accoglieva” cordialmente i peccatori e i pubblicani (cf. Lc 15,2), pur non assecondando e giustificando per nulla il loro pensiero e il loro operato.

La correzione fraterna richiede verità su se stessi e sulle proprie motivazioni interiori, umiltà e preghiera. La riconciliazione è frutto della ricerca comune della volontà di Dio sulla situazione (e anche sulle persone), ricerca scevra da motivi di rancore e di “vendetta”. La divina possibilità del perdono è concessa a tutti i credenti e alla comunità nel suo insieme, e non si restringe certo alla riconciliazione sacramentale celebrata dal ministro ordinato.

Sentinelle sinfoniche

Basta essere in due o tre, infatti, a “mettersi d’accordo/fare sinfonia/symphōnēsōsin” (v. 19) sulla terra nel chiedere qualunque cosa perché il Padre celeste di Gesù la faccia accadere. E per fare sinfonia occorre correggersi fraternamente, accettare la correzione, perdonarsi, cercare l’unità (anche minimale: due o tre…) di intenti nella preghiera. È questo il culmine del c. 18 del Vangelo di Matteo, ciò che più sta a cuore all’evangelista: la preghiera sinfonica frutto del perdono reciproco.

Dove due o tre sono radunati insieme stabilmente/eisin… synēgmenoi (v. 20: passivo in senso riflessivo, ma sempre frutto di una mozione superiore…) nel nome di Gesù, esito fecondo di un dinamismo spirituale intenso, voluto e accolto (“verso il mio nome/eis to emon onoma”), che porta a una situazione pacificata di quiete, Gesù stesso è presente in mezzo a loro.

Gesù risorto crea la loro sinfonia, il loro radunarsi, la loro apertura cordiale reciproca, precorritrice di percorsi di pace e di relazioni costruttive.

Il terzo, esile e agile, pilastro cristologico del Vangelo di Matteo è così ben posto alla conclusione del discorso ecclesiale: Gesù risorto, che è l’Emmanuele/Dio-con-noi, è sempre presente per tutti i secoli in mezzo al suo popolo, grazie anche alle sue sentinelle sinfoniche di perdono e di riconciliazione (cf. Mt 1,23; 18,20; 28,20).

Di lui siamo sentinelle, suonando come nel giorno della Espiazione/ Yom-ha-Kippur, il corno che annuncia la riconciliazione che Dio dona al suo popolo, fermento e sacramento di unità del genere umano (cf. LG 1). Sentinelle sinfoniche.

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