È certamente la figura di Zaccheo ad emergere in questa liturgia eucaristica domenicale: la pagina del vangelo, perciò, ci è offerta come chiave di lettura anche delle altre pagine bibliche. Il messaggio che ci è dato di cogliere è quello della misericordia.
1. La prima lettura è presa dal libro della Sapienza: essa proclama la misericordia universale del Creatore: «Signore, tutto il mondo davanti a te… Hai compassione di tutti». Non potremmo aspettarci un’affermazione più chiara di questa. Siamo, dunque, sollecitati ad aprirci alla più universale prospettiva della salvezza.
Ma è soprattutto il motivo addotto dall’autore che attira la nostra attenzione: «perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento». È stupendo questo Dio che pure avrebbe il diritto di aspettarsi da noi una risposta generosa ai suoi comandi e invece è sempre pronto a chiudere un occhio, anzi tutti e due, sulle nostre mancanze. È quanto leggiamo anche in At 17,30 nel famoso discorso di Paolo all’areopago di Atene: «Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano». “Passar sopra” corrisponde esattamente a “chiudere gli occhi”. All’ignoranza dei giudei corrisponde l’ignoranza dei pagani: su tutti Dio esercita la sua misericordia.
«Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato». La radice prima e ultima della divina provvidenza, come pure della divina misericordia è solo ed esclusivamente l’amore che ha spinto Dio a creare e a redimere il mondo.
E poi ancora: «Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita». Questo titolo – “amante della vita” – costituisce la più felice sintesi di tutto il messaggio. L’ autore del libro della Sapienza non ha alcun dubbio su questo (cf. anche 7,23). Gli fa eco l’apostolo Paolo quando scrive al discepolo Tito; «Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini… (3,4).
2. Il salmo responsoriale è un inno di lode a Dio, considerato come re dell’universo e di Israele, suo popolo: l’unico vero Dio abbraccia in se stesso non solo un popolo, sia pure eletto, ma tutto ciò che esiste, tutto ciò che egli ha creato.
«O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre»: rivolgendosi a Dio come al suo re l’orante dichiara la sua totale sottomissione a lui, senza però dimenticare che gli è anche padre provvido e amoroso.
«Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ ira e grande nell’amore»: è questa la grande professione di fede che troviamo in Esodo 34,6-7 che rimarrà sempre valida nel variare delle situazioni storiche, anche le più tristi e difficili.
«Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature»: se quella precedente è un’esclamazione che si addice solo al Dio d’Israele, questa invece si apre ad una prospettiva del tutto universale e perciò tutti gli abitanti della terra, di ogni luogo e di tutti i tempi, la possono proclamare.
3. La seconda lettura viene dalla seconda lettera scritta dall’apostolo Paolo ai cristiani di Tessalonica e si concentra su una delle verità fondamentali della nostra fede: il ritorno del Signore nostro Gesù Cristo per esercitare il suo giudizio sul mondo.
L’attesa della venuta del Signore, infatti, sta al centro della nostra fede e dovrebbe ispirare anche le nostre celebrazioni domenicali. I cristiani della comunità di Tessalonica sono esposti al pericolo di seguire certi falsi dottori i quali pretendevano di stabilire con estrema sicurezza i tempi e i momenti nei quali il Signore sarebbe tornato. Contro costoro l’apostolo alza la sua voce: lui, che il Signore l’ha incontrato personalmente sulla di via di Damasco, può parlare con cognizione di causa e con piena libertà.
Anzitutto Paolo prega per loro: «perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede»: in altri termini, Paolo esorta a non perdere tempo in vane discussioni, ma a concentrarsi sulla necessità di tradurre la nostra fede in opere di bene, di carità, di misericordia corporale e spirituale.
In un secondo momento, proprio in riferimento alla venuta/ritorno del Signore, Paolo esorta a non lasciarsi «troppo presto confondere la mente… quasi che il giorno del Signore sia già presente». Il pensiero dell’apostolo risulta chiaro: non è necessario vivere nell’ansia, perché sappiamo che il Signore tornerà ma non sappiamo quando. È invece necessario vivere sempre nell’attesa del suo ritorno e vivere come se egli dovesse tornare da un giorno all’altro.
4. La pagina evangelica ci invita a riflettere sull’incontro di Gesù con Zaccheo: un incontro nel quale trionfa in primissimo luogo la misericordia di Dio che si manifesta attraverso la presenza e l’opera di Gesù.
Zaccheo dimostra di essere animato soprattutto da un grande desiderio, quello di vedere e di incontrare Gesù. Siccome era piccolo di statura, pur di vederlo, e forse anche di farsi vedere, Zaccheo sale su un albero: non vorrebbe perdere l’occasione buona e fa di tutto per cogliere al volo l’opportunità che gli si presenta.
In realtà, sembra essere Gesù a nutrire ancor prima lo stesso desiderio. Infatti è lui a prendere l’iniziativa nel dialogo: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In questo modo Gesù ci aiuta a comprendere una cosa di estrema importanza: Dio è sempre in attesa di incontrarci, anche se siamo peccatori. È lui, il Signore Dio, che ha bisogno di esercitare la sua misericordia verso tutti, soprattutto verso quei figli e figlie suoi che ne hanno più bisogno.
Alla fine Gesù stesso esclama: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo»: figli di Abramo, nostro padre nella fede, infatti sono tutti coloro che desiderano ardentemente di incontrare Gesù e lo riconoscono come loro salvatore.
La conclusione non può essere che una: «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto»: lui che di se stesso aveva detto: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).