Un libro molto prezioso quello offerto al pubblico dal docente di Esegesi neotestamentaria presso l’Istituto superiore di scienze religiose “A. Onisto” di Vicenza, del quale è anche direttore. Egli passa in rassegna velocemente, ma in modo più che sufficiente a trarne i frutti desiderati, le pagine ruvide ed emarginate della Bibbia che parlano dell’ira di Dio e del suo giudizio.
Nella prima parte (pp. 15-136) Martin esamina i testi dell’AT e del NT sull’ira di Dio, quindi passa, nella seconda parte, ad esaminare cosa essi dicono sul giudizio di Dio (pp. 137-158), per terminare con la terza parte (pp. 159-176) dedicata ad una riflessione conclusiva sul dramma della salvezza, una teologia biblica che non può e non deve risultare sistematica, ma “drammatica”.
Mi sembra molto utile iniziare la lettura del volume a partire dalla parte terza. Martin riassume qui le sue riflessioni in modo da organizzare al meglio le linee di pensiero sviluppate nel volume.
L’autore passa in rassegna molti testi biblici secondo l’ordine canonico in cui i libri compaiono nell’AT e nel NT. Sono pagine sull’ira di Dio e sul suo giudizio che non possono essere bypassate dalla catechesi e dalla predicazione. Se, nel passato, si predicava un Dio somigliante a «un sovrano dispotico, irascibile, tirannico, sempre pronto a castigare e a schiacciare le sue creature; ora sarebbe tutto sommato simile a un vecchietto inoffensivo, al quale in fondo va bene tutto e il contrario di tutto» (p. 175).
Le pagine bibliche ci sono e non possono essere ridotte a puro simbolismo o a un insieme di immagini zeppe di antropopatismi/antropomorfismi. Se sono reali le pagine dell’amore misericordioso di Dio, lo sono altrettanto quelle sulla sua ira e sul suo giudizio.
Il Dio biblico è un Dio di amore e di solo amore, non un Giano bifronte, metà buono e metà cattivo, come supposto da qualcuno. Egli si arrabbia, ma non è un Dio malvagio. La sua ira somiglia, ma è differente e supera quella dell’uomo. Ci avviciniamo ad essa in modo analogico.
Il Dio biblico è legato al suo popolo, che ha liberato dalla schiavitù, con un patto di alleanza. Egli però non abbandona a se stesso alcuno uomo, sua creatura. Nella Bibbia Dio manifesta la sua ira come segno della sua totale idiosincrasia col male e come manifestazione della sua completa negazione del male (e anche dei malvagi e dei potenti della terra che lo compiono…).
Dio non può sopportare il male e chi lo fa, specialmente contro i deboli e gli indifesi. Non può sopportare che il suo popolo sia umiliato e schiavizzato da altri, o che Israele stesso rifiuti il suo amore e la sua alleanza, avviandosi su strade di morte e di autocondanna.
L’ira di Dio è a difesa del bene, del debole, dell’oppresso. Egli non è un Dio indifferente e impassibile, al di sopra delle vicende umane. Non può tollerare il male senza intervenire. Ne sarebbe complice. Egli ammonisce severamente Israele, minaccia e giudica tutti i popoli perché egli è sovrano sopra tutti i presunti dèi. Egli è differente da loro, dèi capricciosi, irascibili e arbitrari nei loro comportamenti verso gli uomini.
Dio è amante dell’uomo, non un Dio malvagio in preda alla sua ira. Dio si arrabbia, ma non è cattivo. La collera di Dio, infatti, «è una reazione appassionata e deliberata a favore dell’uomo e non un’emozione irrazionale e incontrollabile» (p. 165).
L’ira di Dio nei confronti di Israele è espressa tante volte in testi che sono dei rîb, cioè controversie giudiziarie bilaterali tese non all’individuazione del colpevole e alla sua condanna, ma alla riconciliazione e alla sua salvezza. Nel rîb Dio minaccia castighi e conseguenze terribili, ma affinché tutto ciò non avvenga. Egli desidera la salvezza di Israele e di ogni uomo, non la sua condanna e la sua morte.
Anche Gesù minaccia la dannazione, ma non la vuole come vuole la salvezza.
Il giudizio di Dio è a salvaguardia degli oppressi. Ha un significato etico e teologico insieme. Il suo giudizio, che inizia fin d’ora, è apocalittico, è rivelazione della verità delle persone e della storia, è salvezza.
Ci sono alcune pagine bibliche che presentano il peccato come punizione a se stesso, ma non sono riuscite a imporsi come risoluzione possibile del tema. La maggioranza delle pagine non nascondono l’ira e il giudizio.
Tenere insieme l’amore misericordioso di Dio e la sua “ira” e il suo giudizio è un’impresa impossibile, una «quadratura del cerchio», dice Martin. Il tema è non definibile. Sono infatti linee teologiche non-conciliabili tra loro, e che vanno tenute insieme in una tensione inclusiva che non elimina le pagine scomode del testo biblico e salvaguarda il mistero di Dio, da noi non totalmente conoscibile, dominabile e, al limite, manipolabile. «Se lo comprendi, non è Dio» (Agostino).
Dio vuole la salvezza dei suoi figli e la salvezza è sempre sua grazia. La possibilità della chiusura dell’uomo alla sua offerta è però sempre drammaticamente possibile. La salvezza è un “dramma”, non accade “a basso prezzo”. Chiede sempre la collaborazione dell’uomo. La salvezza è una questione seria perché tocca la sorte finale dell’uomo, quella mia, di mia moglie, di mio marito, dei miei figli. Sarà salvo?
L’ira appare nella Bibbia quindi come il volto appassionato, e anche oscuro, direi, dell’amore di Dio che ricorre a tutti mezzi – anche “ai morsi” dice un monaco amico dell’autore –, per strappare l’uomo dalle sue vie di perdizione.
Nelle sue parole e nelle sue parabole Gesù non annulla il messaggio severo dell’AT sull’ira di Dio e sul suo giudizio. Non si possono edulcorare le sue affermazioni su questi temi, riducendole addirittura a pure pagine simboliche.
Anche se l’ira di Dio è citata da Paolo in 1-2Ts e in Rm specialmente in brani che espongono retoricamente la giustizia retributiva di Dio per sottolineare poi, per contrasto asimmetrico, la sua giustizia salvifica sovrabbondante, resta il fatto che l’ira di Dio e il suo giudizio fanno problema, specialmente la possibilità estrema di un’ira perenne e di un giudizio negativo eterno su un uomo.
Il credente si appella alla totalità della rivelazione biblica, in cui Dio si rivela come amante dell’uomo e desideroso solo della sua salvezza.
Cristo Gesù è sulla stessa linea. Fa problema che egli sia il pastore buono delle pecore e, allo stesso tempo, re e giudice severo nell’ultimo giorno, il giorno della sua parusia e del suo “giudizio universale” (Mt 25,31-46). Noi sappiamo però che il giudice supremo è il nostro pastore, colui che ha conosciuto e condiviso la fragilità dell’uomo. Egli sa di che pasta siamo fatti. Non andiamo incontro a uno sconosciuto, ma a colui che ha dato la vita per noi.
I testi difficili della Bibbia non vanno ignorati, bypassati o banalizzati. Vanno letti, studiati, ben compresi e – solo dopo – attentamente spiegati e predicati alle persone. Questo libro, e la bibliografia citata alle pp. 177-185, ci aiuta grandemente in questo delicato compito. Di questo ringraziamo l’autore, anche per il suo linguaggio semplice, didattico e sempre ben conseguente.
Alla fin fine ha ragione il nipote dell’autore: «Zio, […] si sa che i genitori si arrabbiano per il nostro bene!» (p. 177).
ALDO MARTIN, Anche Dio si arrabbia. L’ira e il giudizio divini come modi estremi di amare (Attualità della Bibbia s.n.), Città Nuova, Roma 2020, pp. 192, € 16,00, ISBN 978-88-311-8808-1.