La sessantanovenne professoressa ordinaria di Storia del Cristianesimo alla Sapienza di Roma e docente invitata all’Istituto Patristico Augustinianum applica la sua profonda conoscenza di Origene e della sua metodologia esegetica allo splendido libretto del Cantico dei cantici.
Ella sfrutta la tecnica della gezarah shawah: l’accostamento di due o più passi biblici contenenti le medesime parole che si illuminano a vicenda e conducono a proposte interpretative interessanti. Cita poi una regola interpretativa di Agostino, secondo la quale un autore può proporre un significato delle parole non inteso dall’autore biblico ma che, se spinge all’amore di Dio e del prossimo, anche se non è vero, non danneggia e arriva anch’esso alla meta, forse non per la via principale, ma come percorrendo la scorciatoia dei campi… (La dottrina cristiana¸ I, 40-41; cf. p. 9).
L’autrice ricorda come nell’ebraismo Ct sia letto a tutt’oggi durante la festa di Pasqua/Pesaḥ e come nei primi secoli la tradizione cristiana facesse altrettanto in quaresima per i battezzandi, in preparazione alla Pasqua.
L’interpretazione di Ct proposta dalla Cocchini è cristiana, cristologica, pasquale, liturgica. Questo quadro ermeneutico tesse i fili interpretativi di Ct attraverso le risonanze del testo biblico in passi dell’AT e del NT che contengono le stesse parole (passando anche attraverso la traduzione greca della LXX) e tenendo Cristo Gesù come faro ermeneutico principale.
Cristo e la sposa tra “già” e “non ancora”
Spiazza subito l’interpretazione di Ct 1,1. Cristo pace/pacifico è il Salomone-Pace/Shalom autore del Cantico. Gesù sul monte degli Ulivi chiede al Padre che Giuda lo baci sulla bocca, gli introduca nel profondo il peccato del suo tradimento e di tutto il suo male affinché possa essere assunto, introiettato (“bacio”), e risanato il male del mondo.
Il Cristo si rivolge quindi al Padre riconoscendo che i suoi amori sono buoni, più buoni del “vino” stesso, cioè del furore della sua ira.
Gli aromi di Cristo, l’unguento ricevuto da Maria a Betania, sono buoni e si espandono per la casa della Chiesa. Essi consistono, alla fin fine, nel suo nome, nella sua identità: “unguento/olio/shemen” gioca per assonanza con “nome/shem” (cf. Ct 1,3).
Sullo slancio del profumo che si espande, la donna/sposa/Chiesa/singolo riconosce che, nella comunità, il Cristo è amato e che i credenti chiedono di essere attratti dal Padre e dal Cristo al suo seguito per celebrare nella stanza della preghiera il memoriale eucaristico del suo amore redentore.
La donna amata è nera ma bella, immersa nel peccato (“nera”) ma santa, in esilio lontana da Gerusalemme (“Qedar”) ma residente, nello stesso tempo, nell’atrio del tempio di Gerusalemme (“figlie di Gerusalemme/cortine di Salomone”, Ct 1,5). Ella invita le persone e i lettori a non guardare con tono di giudizio la sua condizione imperfetta legata al tempo dell’esilio, del “già” (“nera/peccato/Qedar/esilio”), ma a lasciare a Dio il giudizio di salvezza che splenderà nella parusia del tempo definitivo, del “non ancora”.
Alle pp. 75-81 viene riportato per il testo integrale del Cantico dei cantici.
A p. 18 nota 15 r 1 leggi tre/xw; a p. 47 rr -6 e 5 leggi Gen 15 (non Gen 22).
Un libretto gustoso, ricco di amore per il Cristo. Una lettura contemplativa, amorosa, “liturgica” che rientra bene fra le innumerevoli proposte di lettura di Ct avanzate nei secoli…
Data per scontata e imprescindibile l’analisi letterale, storico-critico-filologica del Cantico che esalta l’amore umano come fresca e verdeggiante opera del Dio edenico e suo “sacramento” esistenziale, si accoglie grati questo surplus interpretativo dai lineamenti a volte un po’ “tirati”, ma che rientra nella pienezza di senso che la persona di Cristo dona a tutta la Scrittura che lo precede e che a lui tende (almeno secondo i cristiani) come a un senso che splende in pienezza nel NT dopo il suo parziale nascondimento nell’AT. Dice infatti il concilio nella Dei Verbum: “Deus igitur librorum utriusque Testamenti inspirator et auctor, ita sapienter disposuit, ut Novum in Vetere lateret et in Novo Vetus pateret, cf. Agostino, Quaest. in Hept. 2, 73: PL 34,623; DV 16).
Francesca Cocchini, Il Cantico dei cantici. Una parola ha detto Dio, due ne ho udite (Sentieri s.n.), EDB, Bologna 2020, pp. 88, € 10,00, ISBN 978-88-10-57133-0.