Negli ultimi anni la discussione scientifica circa l’attendibilità dei resoconti evangelici, con la sconcertante dissezione “chirurgica” operata dal Jesus seminar, si è spostata sul tempo precedente, coperto dalla tradizione orale. Quanto è estesa? Detti di Gesù slegati fra loro? Blocchi di narrativa orale distinta per genere letterario? È attendibile?
Già docente alla Wycliffe Hall a Oxford e poi al Trinity College di Bristol, lo studioso settantaquattrenne David Wenham ricostruisce la sostanziale e coerente tradizione orale, autorevole e controllata, trasmessa dalle autorità apostoliche nelle varie comunità cristiane. Le Chiese che tramandavano la tradizione orale circa la vita e l’opera di Gesù erano molto interessate alla custodia fedele di ciò che riguardava il loro maestro e Signore.
L’impatto di Gesù e la sua memoria
Raccolte dalla viva voce dei testimoni oculari della vita e dell’insegnamento di Gesù, la tradizione orale fu plasmata e approfondita nei decenni che seguirono la risurrezione di Gesù. Ad essa attinsero i quattro evangelisti, ciascuno con la propria teologia e i propri scopi, che tenevano presente anche gli interessi e le problematiche delle Chiese alle quali essi rivolgevano la loro opera. Per questo motivo essi selezionarono, omisero, ampliarono, approfondirono le tradizioni a loro disposizione.
Wenham ripercorre il tratto temporale che separa la buona novella dalla sua messa per iscritto nei vangeli, tutti vangeli secondo un autore. Vangelo unico, interpretazioni e sottolineature diverse, guidate da interessi particolari ma non stravolgenti e falsificanti la tradizione originale.
L’autore studia il rapporto tra l’insegnamento di Gesù e il racconto di Atti, per poi passare alle prove di Marco, Matteo e Giovanni che testimoniano come gli apostoli, nella loro evangelizzazione, raccontassero di Gesù e della sua storia (detti, fatti ecc.).
Dopo aver esaminato le prove fornite da Paolo, che sembra conoscere lo stile di vita semplice e l’umiltà di Gesù come modello da imitare, e dopo aver affermato che la tesi che Paolo conoscesse la tradizione della nascita di Gesù, in Luca, merita più credito di quanto le venga comunemente dato (cf. Gal 4,1s col verbo ginoskō come in Lc 1,34; cf. anche ginomai in Fil 2,7 e Rm 1,3), Wenham si sofferma sulla tradizione orale nei vangeli.
Tradizione orale e formazione dei Vangeli
Ne riporta due esempi che, a suo parere, offrono una dimostrazione di come essa offra una spiegazione convincente della formazione dei vangeli canonici. Si tratta del gruppo di parabole escatologiche usate da Matteo nei cc. 24–25 e da Luca in 12,35-48. L’argomento è rafforzato con la prova fornita da Mc 13,33-37. L’altro esempio è dato dai paralleli tra i vangeli canonici (Mt 24; Mc 13; Lc 21) e la descrizione paolina della venuta del Signore (1Ts 4).
Quanto era estesa la tradizione orale? Era estesa, secondo Wenham, ricoprendo la storia di Gesù da Giovanni Battista alla risurrezione. È improbabile che ci fossero molte tradizioni del Signore conosciute e apprezzate ma che non siano mai state raccolte. Atti attesta inoltre che annunciare il vangelo ad uno come Cornelio voleva dire raccontare la storia di Gesù da Giovanni Battista alla risurrezione.
Alle pp. 122-124 Wenham riassume i risultati della sua ricerca. Molto presto nella storia della Chiesa ci fu una solida tradizione orale dei detti e delle storie di Gesù. Comprendeva una gamma di tradizioni diverse; non era composta solo di detti e storie singole, ma era qualcosa di assai più vasto, come i vangeli canonici. Comprendeva storie di Gesù che sono state etichettate dai critici moderni come tradizione marciana, Q, M, L e anche giovannea.
Paolo riporta qualche tradizione marciana (o della “triplice tradizione”), con alcuni echi della cosiddetta tradizione Q (per esempio i detti sul lavoratore e sul ladro). Paolo aveva familiarità anche con materiale tipicamente matteano e lucano e probabilmente anche con qualche tradizione giovannea. Tutti i nostri evangelisti e Paolo conoscevano queste tradizioni orali e hanno spesso attinto da esse in modi diversi.
Mettere per scritto ciò che si è ricevuto
Dai vangeli canonici emerge, infine, la prova di come essi siano stati pensati come versioni scritte di ciò che gli apostoli avevano ricevuto e non, come si ritiene spesso, lo sviluppo di una forma del tutto nuova, di narrazione consequenziale. «Il lavoro degli apostoli era quello di raccontare alle persone la storia in generale e le singole storie… Luca appare senz’altro affermare questo: egli considera il vangelo come il tipo di buona novella annunciato dalla prima comunità cristiana. Anche gli altri evangelisti lasciano intendere qualcosa di simile» (p. 117).
In Paolo emergono altre prove. All’inizio della Lettera ai Romani egli si presenta come un apostolo scelto per annunciare il vangelo di Dio (cf. Rm 1,1-5). Un altro riassunto della buona novella si ha in 1Cor 15,1-5. Questa forma di descrizione, secondo Wenham, assomiglia alla forma del Vangelo secondo Matteo.
Precisare nei dettagli la formazione della tradizione evangelica è difficile, ma si può affermare, secondo l’autore, la priorità della tradizione orale. Essa «fu sostanziale e coerente… Il viaggio della “buona novella” parlata dai primi cristiani ai vangeli scritti del Nuovo Testamento non fu per niente tortuoso o incerto come alcuni presumono. Per la verità, c’era un strada maestra ininterrotta della tradizione orale, e quello che i primi cristiani raccontavano alla gente su Gesù era fondamentalmente la storia contenuta nei vangeli scritti così come attualmente preservata» (pp. 134-135).
La bibliografia (pp. 137-145) e le abbreviazioni (p. 147) concludono questo volume di dimensioni ridotte (“Sintesi” è il titolo della collana) ma argomentato in modo solido, serrato, scientifico, di seria divulgazione.
DAVID WENHAM, Dalla buona novella ai vangeli. Cosa dissero i primi cristiani su Gesù? Introduzione di Donald A. Hagner (Sintesi s.n.), Queriniana, Brescia 2019 (or. am. 2018), pp. 152, € 15,00, ISBN 978-88-399-2959-4.