Veniamo da una plurisecolare tradizione spirituale che ci ha insegnato e abituato ad anestetizzare la Bibbia.
Alla fine del Cinquecento Alessandro Allori dipingeva una tela raffigurante santa Caterina de’ Ricci. La santa è rappresentata nell’espressione devota del volto, mentre solleva le braccia in un gesto di inaudita violenza: afferrato per le gambe un bambino, lo sbatte contro una pietra. Sulla pietra sta scritto: «Beatus qui allidit parvulos tuos ad petram Psal CXXXVI» (Beato chi sbatterà i tuoi piccoli sulla pietra).
È il salmo, noto per il suo celebre inizio – «Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion» –, nel quale il salmista passa in pochi versetti dalla struggente nostalgia della patria lontana alla più rabbiosa di tutte le possibili invettive: «Figlia di Babilonia, beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra».
Occorre una non facile operazione mentale
Raramente la collera e la sete di vendetta è stata espressa con tanta violenza, ma i devoti di santa Caterina de’ Ricci ne assumevano le parole, con totale nonchalance, per riferirle alla forza d’animo con cui la santa conduceva la sua insonne battaglia contro i vizi.
Chi prega il salmo, quindi, è obbligato a compiere un’operazione mentale rocambolesca, da attuare in un istante, per passare dall’immagine della scena che le parole hanno prodotto nel suo animo all’idea di un impegno spirituale di natura radicalmente opposta. Questo per salvarsi dalla violenza delle parole e dalle passioni che esse accendono.
Grazie ad una collaudata educazione alla preghiera liturgica, siamo abituati ad anestetizzare i testi biblici, sia respingendoli nel loro passato, come si trattasse di documenti d’archivio, sia distillandone i sensi spirituali. Da dove allora risuona – è inevitabile domandarsi – la parola di Dio? Dagli spazi rarefatti della nostra lettura spirituale o dai rudi contesti delle cose accadute, così come vengono narrate?
Oggi, nonostante che i processi di spiritualizzazione delle cose raccontate nella sacra Scrittura siano diventati un consolidato costume nella vita spirituale del cristiano, di fronte all’atroce conflitto che insanguina la “terra santa”, quel che intellettualmente è possibile, sentimentalmente sta diventando estremamente arduo per non dire impossibile.
Avvengono oggi, sotto i nostri occhi, in quei medesimi luoghi dove l’immaginazione ci porta quando leggiamo la Bibbia, eventi di sangue non meno impressionanti di quelli di cui sono colme tante pagine della sacra Scrittura. E, in buona parte, per gli stessi motivi: la conquista della terra.
Troppo urtante e coinvolgente è l’intreccio tra i fatti che stanno avvenendo e quelli avvenuti in tempi lontani, perché possiamo sottrarci alla potenza dei sentimenti e non restarne sconvolti.
Forse mai come oggi, nella ricerca di un costante ascolto della parola di Dio, il cristiano si è trovato in difficoltà nel leggere le antiche storie, grondanti violenza, che si raccontano nella Bibbia.
Il sopraggiungere contemporaneo delle notizie della guerra e delle stragi che oggi si stanno consumando in quella stessa terra, traendone ispirazione e legittimazione dalle narrazioni della Scrittura, lo sconvolgono e lo lasciano confuso. Pur abituati ad anestetizzare i testi biblici, passare, la mattina, dall’ascolto della rassegna stampa alla Liturgia delle ore, per cantare i salmi e leggere il libro di Giosuè con tranquilla e devota partecipazione interiore sembra un’impresa impossibile.
Le parole e i sentimenti
Fra molte delle parole che siamo chiamati a pronunciare o ad ascoltare e i sentimenti di fede che sono destinate a suscitare nell’anima si erge, spaventosa, la barriera dei 41.000 palestinesi morti nella striscia di Gaza a causa della guerra in corso. Il motivo della guerra? Ancora oggi, come allora, la conquista della terra. La legittimazione del guerreggiare? Dio ha detto a Israele: «Ogni luogo su cui si poserà la pianta dei vostri piedi, ve l’ho assegnato, come ho promesso a Mosè… Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te: non ti lascerò né ti abbandonerò» (Gs 1,3-5).
Una cosa è leggere della conquista della terra da Dio assegnata al popolo di Israele e discettarne in un’aula della facoltà di teologia, altra cosa è pregare con la Bibbia in mano. Chi studia storicizza e legge senza turbamento degli israeliti che «presero e passarono a fil di spada la città, il suo re, tutti i suoi villaggi e ogni essere vivente che era in essa» (Gs 10,37), così come legge il racconto di Tacito sulla conquista romana della Britannia.
Studiando il libro dei Salmi dal punto di vista letterario, mi sarà lecito ammirare la potente invenzione espressiva del salmista che augura al giusto la vittoria sui nemici dicendo: «Che il tuo piede si bagni nel sangue e la lingua dei tuoi cani riceva la sua parte tra i nemici» (Sal 68,24). Ma non posso pregare pronunciando simili parole. La preghiera, infatti, ti coinvolge e ti immerge in ciò che leggi.
L’indagine scientifica sui testi si fa emarginando le emozioni, ma non si prega senza emozione. La preghiera è un atto passionale. Senza la passione della ricerca di Dio («Il tuo volto, Signore, io cerco» Sal 27,8) non è possibile pregare.
Quando, infatti, si prega con l’ascolto di una lettura biblica o con le parole dei salmi, l’immaginazione accompagna le parole e le immagini svegliano i sentimenti. Quelli suscitati dall’evento si incontrano e si scontrano inevitabilmente con quelli che il cristiano, in fedeltà al vangelo, cerca di coltivare e mantenere nell’anima.
Se benedico il Signore «mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia» (Sal 144, 1), l’anima cristiana farà, quindi, di tutto per non far sue le parole che la bocca pronuncia. Il salmista mi chiamerà a godere perché il Signore «brace, fuoco e zolfo farà piovere sui malvagi» (Sal 11,6), ma non potrò farlo, perché Gesù mi ha detto: «Fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27). Dovrei poi rallegrarmi perché il Signore «ha colpito alla mascella tutti i miei nemici» (Sal 3, 8), ma non lo farò, poiché mi è stato detto: «A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra» (Lc 6,29).
Nonostante che, nella liturgia, chi ha composto i testi da recitare, cantare o semplicemente ascoltare, abbia avuto cura di evitare alcuni brani particolarmente violenti, oggi appare necessario riaprire e mantenere aperto il problema dell’impatto che le parole hanno sull’animo dei partecipanti. Pregando da soli, invece, con in mano l’Antico Testamento e i salmi, la preghiera diverrà, spontaneamente, tutto un intercalare le antiche parole dei santi di Israele con i versetti evangelici successivi a quel «Ma io vi dico…» (Mt 5,22), pronunciate da Colui che non è «venuto ad abolire la Legge o i Profeti», ma sì a dare loro «pieno compimento» (Mt 5,17).
Solo così, se Dio dà grazia, si può passare dall’ascolto della rassegna stampa all’orazione con la Bibbia in mano.
La questione sollevata da Severino – a mio parere – è fondamentale per chiunque si accosta ad un libro che è considerato la Parola di Dio. È la Parola di Dio (gen. soggettivo) ma radicalmente “parola dell’uomo su Dio”. Come è “incarnato” l’uomo nella sua esperienza e cultura, così questo libro è parola “umana” su Dio. Questa “diventa” Parola di Dio nella sua lettura di una ragione credente. Spirito e “logos” vanno insieme. È nell’atto credente di una ragione che si pone domande che questo libro dischiude il suo “senso”. Senza fede o senza ragione questo libro diventa o un pezzo di letteratura o giustificazione per una cieca fede
Nonostante il grande progresso nel campo dell’esegesi, nonostante il moltiplicarsi di corsi biblici (tenuti da personaggi talvolta improbabili), nonostante le numerose pubblicazioni di opere sulla Bibbia, i cattolici rimangono analfabeti biblici (cfr. https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/12/cattolicesimo-borghese6.html). Con coraggio bisognerebbe chiedersi perché… ma a me pare che non si voglia porre la questione. Meglio andare avanti così d’altronde no? Quando qualche biblista di dichiarata fama o meno si chiederà: “ma costoro leggono me/vengono ad ascoltare me o la Parola di Dio”?, sarà sempre troppo tardi.
Tra la violenza presente su un quotidiano di oggi e quella presente in tutta la Bibbia c’è un abisso; ce ne è molta di più sul quotidiano, e, se sappiamo leggere non c’è mai giustificazione di essa, quanto nel medesimo quotidiano di qualunque parte sia: è la realtà di cui tiene conto la BIbbia che pone Dio e l’uomo nella realtà e non nel mondo ideale che è nelle nostre teste che accusano Dio prima di chiedersi se l’immagine che ne hanno è quella che dovrebbe essere.
E’ un argomento antico. La difficoltà di leggere alcuni passi biblici che stridono con la sensibilità, con i fatti orribili che accadono ancora e ancora. Direi anzi che strideranno sempre. Qualcuno ha provato ad elencare tutte le atrocità presenti nella Bibbia, per dire che questo genere di racconti va ormai accantonato. Eppure la Chiesa non li ha epurati questi testi e ha reagito quando qualcuno ci ha provato ad emendarli. E li fa pregare per giunta. Ma anche nel Nuovo Testamento ci sono espressioni niente male. Non è Gesù che dice: “Sono venuto a portare la spada”? Forse la soluzione, se così si può chiamare, è quella descritta da Don Severino, di tenere uniti insieme il Vecchio col Nuovo Testamento, il Vangelo in particolare. Ma anche rileggere i testi tenendo conto di quel bel testo della Dei Verbum al n. 12, ancora non sufficientemente recepito: ” Perciò, dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede”.