«Distruzione creatrice». Così l’economista-teologo Luigino Bruni definisce il periodo nel quale Israele soffrì l’esilio babilonese (598-539 a.C.).
Durante la deportazione forzata, Israele soffrì molto, ma ebbe anche l’occasione di ammirare la sapienza babilonese e le sue creazioni. L’esilio divenne in tal modo un momento in cui i sapienti di Israele raccolsero, elaborarono e iniziarono a porre per iscritto le esperienze spirituali vissute nella storia a partire dalla liberazione dall’Egitto, fino a risalire alle origini del cosmo, descritte con racconti sapienziali ispirati proprio a miti e leggende babilonesi.
I sapienti ebrei dimostrarono, così, che anche Israele aveva il proprio patrimonio sapienziale e le proprie tradizioni.
Resilienza e resistenza
L’esilio fu però anche un periodo di resistenza e di resilienza nei confronti del pensiero e della religione babilonese, imperniata su idoli e concezioni inaccettabili da parte di Israele.
L’autore anonimo che scrisse il libro di Daniele, collocato dal canone ebraico fra gli «Scritti» (Ketubim) e non fra i Profeti (Nebi’im), ambienta il suo scritto nel periodo dell’esilio, al tempo del dominio di Nabucodonor e di Baldassar (con un capitolo che forse allude a Nabonide, l’ultimo imperatore babilonese).
In realtà, egli scriveva durante l’odiosa oppressione di Antioco IV Epifane (175-164 a.C.) che saccheggiò Gerusalemme e impose al popolo ebraico di seguire le usanze greche, rinunciando alla fede in YHWH.
Col suo racconto, l’autore intende incoraggiare il popolo alla resistenza e alla testimonianza di fede.
Daniele e gli altri tre giovani ebrei protagonisti di alcuni capitoli del libro si presentano come leali al dominatore, ma inflessibili nel mantenere la propria fede e i propri costumi di vita. All’inizio scelgono un compromesso dialogico che veda loro assegnato una particolare dieta vegetariana, ma nel corso del libro l’opposizione sdegnerà ogni compromesso e lo scontro si farà frontale.
Va ricordato che il libro di Bruni raccoglie gli articoli apparsi sul quotidiano Avvenire nel periodo aprile–agosto 2022. All’indomani dello scoppio della tragica guerra in Ucraina, egli riflette sulle tragedie che il male suscita anche ai nostri giorni e sulla necessità di non perdere la resistenza, la resilienza e soprattutto la speranza nel Dio della vita e della pace, difensore dei deboli e degli oppressi.
Profezia, sogni e angeli
Daniele è presentato come un vero profeta, capace di risolvere gli enigmi onirici del re, addirittura descrivendo in anticipo il loro contenuto.
È una «luce bianca» l’esperienza che il profeta vive, trapassata nella propria umanità per poi essere comunicata agli uomini. Così Bruni descrive l’esperienza profetica di Daniele e la sua significatività anche per noi oggi.
Per sentire vivi questi racconti anche ai nostri giorni, occorre reimpossessarsi, almeno in parte, di questa «luce bianca» avvertita dal profeta. La profezia non è tanto previsione del futuro, ma svelamento di ciò che è già presente senza che i protagonisti ne abbiano ancora coscienza.
Il libro di Daniele è trapuntato da sogni e da visioni, da interventi angelici che aiutano il profeta a resistere, interpretare, superare la fragilità umana che viene svuotata della sua potenza, mentre sperimenta la grandezza delle visioni soprannaturali.
Lo scopo ultimo della soluzione degli enigmi onirici è quello di far avvertire ai dominatori la provvisorietà e transitorietà del loro potere, che non è assoluto, divino e imperituro. Simboleggiato da statue enormi o da bestie orripilanti, il potere del re è smascherato e denunciato nella sua violenza oppressiva dei deboli, delle donne, dei segni identitari di un popolo intero.
Il re andrà incontro a sette tempi di privazione del potere e all’assimilazione a una vita da bestia, per poi ritornare a vivere, riconoscendo però che il potere lo dà il Signore a chi vuole.
Regni di “mezze cartucce”
Daniele rifiuta i doni offertigli dal re e interpreta con chiarezza uno dei suoi sogni, la misteriosa scritta comparsa sulla parete della sala del banchetto.
Da economista qual è e seguendo il suggerimento di alcuni studiosi, Bruni propone un’interpretazione interessante della scritta, accostandola al valore delle monete, che indicavano valore economico ma erano anche misure di peso e di volume.
Mene, indicherebbe la mina, sheqel il siclo e u-parsin due mezze mine. «Mina, mina, siclo, due mezze mine». «Monete che potrebbero dire al re Baldassar: “Tuo padre Nabucodonosor era una mina, tu sei un siclo (cioè un cinquantesimo di mina), ovvero vali poco, e il regno babilonese è una mina destinata a essere spezzata in due e spartita tra medi e persiani”» (p. 81).
«Una mina figlio di una mezza mina» indicava per gli antichi rabbini un figlio eccellente di un padre modesto (una «mezza cartuccia») – annota Bruni.
Un siclo pesava attorno ai dieci grammi, la libra latina significava la bilancia. «Quindi – conclude lo studioso proponendo la sua interpretazione –: “contati” (i giorni di Nabucodonosor), “pesato” (il valore infimo di Baldassar), “diviso” (il regno del padre tra medi e persiani)» (ivi).
Il Figlio dell’uomo e il mistero rivelato
Bruni interpreta la figura del «Figlio dell’uomo» di Dn 7 come indicativo dell’uomo nella sua fragilità. Il suo regno inizia già adesso, è un regno umano, che vuol favorire l’umanità con una vita buona fin d’ora, senza aspettare un tempo escatologico.
Lo squarcio di speranza aperto da Dn 12,1-3 fa emergere con chiarezza la fede in una vita ultraterrena dopo la risurrezione, spezzando anche il ferreo cerchio della legge della retribuzione che rinchiudeva le vicende umane solo all’interno di una prospettiva terrena. È uno dei pochi testi dell’AT che professano la fede nella risurrezione.
Nel c. 13 del libro, Daniele è presentato come giovane dotato di sapienza eccezionale, che smaschera la lussuria dei due vecchi che insidiano Susanna. La vicenda richiama la condanna rivolta da Ger 29,20-30 a due ebrei che in Babilonia abusavano di donne. La storia illustra lo sguardo cattivo, per-verso, che attraversa molte pagine della Bibbia e che imperversa anche oggi, rovinando i rapporti umani.
L’aggiunta di Dn 13,63 nel testo greco di Teodozione invita a custodire i giovani, che saranno religiosi, e che avranno sempre uno spirito di scienza e di intelligenza. Un versetto che – secondo Bruni – va tenuto in considerazione. Un monito anche per oggi.
Il profeta Daniele rivela il mistero del vero Dio, smascherando anche le bugie dei sacerdoti babilonesi. Il trucco del pavimento coperto di cenere, fa scoprire che, nel tempio di Bel, non c’è alcun dio che mangi di notte ciò che gli è offerto di giorno nei sacrifici giornalieri. Sono i sacerdoti e i bambini a mangiare il tutto. Dietro la tenda non c’è alcun dio!
Il racconto di Dn 14, in cui Daniele fa esplodere la statua del dio Bel con delle polpette incendiarie, è infine semplicemente esilarante e felicemente dissacratorio!
Bruni apre i suoi commenti ai vari capitoli del libro di Daniele con suggestive annotazioni di antropologia che attualizzano il messaggio imperituro della Bibbia, facendone brillare l’importanza per leggere e vivere in maniera più umana i nostri giorni. L’autore sottolinea spesso la bellezza del racconto biblico, a tutti i livelli.
Un libro, come tutti quelli di Luigino Bruni, affascinante per le delucidazioni bibliche unite alla sua saggezza umana che recupera anche le fragilità odierne all’interno della fedeltà di Dio all’alleanza.
Questa è la fede che sostenne la speranza di Israele sottoposto all’oppressione dell’imperatore ellenistico Antioco IV, ma che costituisce la luce che può illuminare anche il cammino dell’uomo moderno e dare la forza per non perdere mai la speranza nella lotta per la vittoria del bene sul male.
- LUIGINO BRUNI, Il mistero rivelato. Viaggio nel libro di Daniele, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI) 2024, pp. 168, € 16,00, ISBN 978-88-8227-643-0.