Anche in questo Salmo, che leggiamo nella versione della CEI, parla un ebreo prima di Cristo, estasiato dallo sguardo verso il cielo stellato o splendente per un bel sole, ma più ancora perché Dio ha dato a Israele suo popolo il dono di una Parola più luminosa del sole. Egli si trova in mezzo a popoli che adorano il dio Sole, la dea Luna, i divini astri: ne conosce poemi e canti per quelle divinità, ne sfrutta qualche dettaglio, ma più ancora li contesta con forza: I cieli narrano la gloria di Dio, ossia la sua presenza magnifica, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento.
Il libro del creato
Quindi nessuna confusione tra creato e creatore, ma solo un bel rapporto, per di più molto eloquente: il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia. Dunque già il creato parla, nonostante suoi lati oscuri, di opere di Dio, senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce, eppure per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio, che le scienze cercheranno di interpretare insieme con la filosofia e la teologia.
Però il salmista è colpito più che altro dal fenomeno del sole come parola di Dio: Là, ossia in alto, Dio pose una tenda per il sole, che ne esce come sposo dalla stanza nuziale, come dopo una notte d’amore con la dea luna? (vi si può vedere un accenno ai miti sul dio Sole egiziani e asiatici) ed è pronto così come un prode che percorre la sua via. Sorge da un estremo del cielo e la sua orbita raggiunge l’altro estremo, nulla si sottrae al suo calore. E’ evidente il linguaggio popolare proprio di allora; ma lo usiamo anche noi moderni quando parliamo di sole che sorge, si alza, discende, tramonta: sono tutte espressioni scientificamente errate ma di uso comune e popolare del tutto accettate. Ovvio che anche la Bibbia lo usi, volendo dialogare con e per il suo popolo.
Il libro della legge
Dopo questa parte del Salmo l’autore ne aggiunge un’altra (forse era già un altro Salmo poi cucito con il precedente), per una composizione che ha una sua logica: il sole splende, ma c’è qualcosa di ancor più luminoso e illuminante: La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima (non abbronza e nutre solo il nostro esterno), la testimonianza del Signore, altra maniera per dire la legge di Dio, è stabile a differenza del sole che va e viene e della nostra volubilità, rende saggio il semplice ossia chi se ne lascia guidare in vista di una vita buona, i precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore, il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi: più del sole la legge di Dio illumina anima, cuore, occhi del semplice e gli orienta tutta l’esistenza, anche quella corporea.
Sostanzialmente la legge divina vuol portare al santo timor di Dio, che comprende rispetto e fiducia, disponibilità anche all’amore per Dio e per gli altri: Il timore del Signore è puro più del raggio del sole, rimane per sempre; i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti e quindi più preziosi dell’oro, più dolci del miele e di un favo stillante.
L’uomo e la legge
Dopo tutta questa abbondante lode della legge di Dio, parte preziosa della famosa Toràh, ora il salmista torna a se stesso: anche il tuo servo ne è illuminato, per chi li osserva è grande il profitto: allusione probabile a felici esperienze spirituali e materiali dell’orante servo di Dio. Ma rimane coi piedi in terra: egli sa che la legge di Dio, almeno come fu trasmessa da Mosè e poi ampliata nel suo nome lungo secoli, comprende più di 600 precetti e proibizioni di vario tipo e pure molto precise e gravose; quindi come si potevano schivare errori e mancanze?
Infatti: le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dai peccati nascosti anche alle mie attenzioni e dimenticanze. Soprattutto però anche dall’orgoglio salva il tuo servo perché su di me non abbia il potere; allora sarò irreprensibile, sarò puro da grave peccato.
Illuminante questa distinzione tra, potremmo dire, errori e peccati, tra mancanze leggere e peccato di orgoglio, di spavalderia, di fede solo in se stessi. Si può intravvedere qui una certa maturazione nei riguardi del complesso delle leggi, come quella proclamata dal profeta Geremia (cap. 7) e da Ezechiele (ambedue vissuti intorno al 600 a.C.) con l’accento sul cuore di Dio e dell’uomo.
La conclusione del Salmo riprende il tema della voce: il creato, sole compreso, non ha voce e parola come l’ha l’uomo, che perciò così parla: Ti siano gradite le parole della mia bocca, davanti a Te i pensieri del mio cuore, Signore, mia roccia e mio redentore: più del creato e della stessa tua legge, Tu sei la mia vera salvezza! Così anche l’uomo parla di Dio.
Gesù, la legge e Francesco d’Assisi
Viene spontaneo per noi cristiani l’appello a Gesù: ebreo cresciuto con la legge, però volle portarla al suo vero “compimento” con il “ma io vi dico” del Discorso della montagna e con il dono del suo Spirito d’ amore. Di un amore “condotto sino alla fine”, lavando i piedi e donandosi corpo e sangue anche a Giuda e al peccatore Pietro. Si capisce anche come l’ebreo Paolo di Tarso, pur affermando la santità della vecchia legge, ne abbia anche messo in risalto i gravi limiti, a confronto della fede in Gesù Cristo e Signore: “questi mi amò e diede se stesso per me” (Gal 2,20) e quindi da Gesù imparo anche ad amare senza misure né bisogno di tante leggi…
Ora un confronto con il poeta cristiano Francesco d’Assisi: Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messer lo frate sole…de te, Altissimo, porta significatione…Laudato si’ mi’ Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore…beati quelli che la morte corporale troverà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male. Laudatelo cum grande humilitate.
A questo punto rimango io, che mi rileggo quel bel Salmo 19 ai piedi della santa Montagna e con Gesù lo rilancio anche a te, mio compagno di viaggio nell’universo e nella storia di oggi. Tutti insieme, con umiltà, a rileggere il libro del creato spalancato a tutti e quello della storia del mistero dell’amore di Dio Padre e del Figlio suo Gesù il crocifisso risorto, purtroppo deturpata da tante lotte e violenze fratricide tra cristiani, ma anche confermata da esempi di martiri e santi della carità. In questa storia anche noi ci inseriamo come voce di Dio, pur con molta humilitate.
Da ultimo: spesso, anche nella Chiesa, si dà molto valore alle leggi e alle strutture ivi collegate; ovviamente esse hanno un forte valore sociale, se non altro come minaccia a violenze e soprusi; ma da sole possono ben poco, fondamentali rimangono convinzioni e volontà cordiale di vita buona. E’ quanto risalta anche nella linea pastorale della Evangelii gaudium di papa Francesco.