In un momento in cui tutto il mondo è giustamente indignato per il razzismo, padre Alberto Maggi, teologo e biblista cattolico, scopre l’origine di questo flagello: la Bibbia! «Si trovano nella Bibbia le radici profonde del razzismo, pianta venefica che intossica gli uomini, generando persone che, chiuse nel proprio angusto confine mentale, si sentono minacciate da tutto ciò che è più ampio, diverso» (A. Maggi, La Bibbia e il razzismo, www. ilLibraio.it).
In primo luogo si potrebbe osservare che è antistorico parlare di razzismo per l’Antichità. Certamente in tutti i popoli antichi gli esempi di xenofobia non mancano, basti pensare al mondo egiziano, che spesso rappresentava i faraoni in atto di calpestare i popoli nemici, o al mondo greco, che definiva barbari tutti coloro che non parlavano la sua lingua e non condividevano la sua civiltà. Ma il razzismo come si è venuto configurare in età moderna, soprattutto a partire dal secolo XIX, è tutt’altra cosa.
Che i testi biblici siano stati utilizzati dai razzisti è senz’altro vero, ma altra cosa è affermare che è la Bibbia stessa ad essere razzista. Certo, in testi così antichi sono presenti passi molto problematici, ma è proprio compito del biblista interpretare e contestualizzare tali testi in modo che non ne derivino interpretazioni fuorvianti.
La pericope di Gn 9,18-27 contenente la benedizione di Shem e Yafet e la maledizione di Kenaan costituisce uno di questi passi. Kenaan viene maledetto in quanto suo padre Ham ha visto la nudità di Noah, ossia ha intaccato quel rispetto per la generazione precedente che è condizione indispensabile per la prosperità e la continuità di un popolo, principio questo che nell’Israele storico verrà affermato con il comandamento: «Onora il padre e la madre».
Questa pericope, posta alla fine del racconto epico del diluvio, ha anche un valore eziologico oltre che morale: nasce dal tentativo di spiegare come mai nell’armonia di un’umanità di fratelli si sia insinuata la schiavitù. La narrazione inoltre può essere stata condizionata dall’esecrazione, riscontrabile in tanti passi della Scrittura, per l’idolatria, accompagnata da culti orgiastici e dalla prostituzione sacra praticati dalle popolazioni cananee.
Maggi afferma che gli abitanti della terra di Kenaan erano legittimi e che gli israeliti erano occupanti del loro territorio. In realtà, tra la tarda età del bronzo e la prima età del ferro (1550-1150 a.e.c.) le popolazioni della terra di Kenaan erano costituite da diverse etnie e provenivano da vari territori: esse, organizzate in piccole città-stato, erano in continue guerre tra loro. Sembra che qui Maggi proietti sulla storia antica categorie interpretative legate alla storia più recente.
Egli inoltre sostiene che la sacra Scrittura va interpretata, e questo è sicuramente vero, anche e soprattutto per la tradizione ebraica, che è in continua reinterpretazione dei suoi testi, tanto che si è addirittura parlato di una «interpretazione infinita». Maggi invece afferma: «Il Cristo è pertanto la chiave di interpretazione della Scrittura», contraddicendo così il documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture (2001), con prefazione dell’allora card. J. Ratzinger. Nel documento si riconosce che la lettura ebraica della Bibbia «è una lettura possibile, che è in continuità con le sacre Scritture ebraiche dell’epoca del Secondo Tempio ed è analoga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamente a questa» e si aggiunge che i cristiani possono imparare molto dall’esegesi giudaica praticata per 2000 anni, come a loro volta i cristiani sperano che gli ebrei possano trarre utilità dai progressi dell’esegesi cristiana.
Continuando la lettura dell’articolo, non è facilmente identificabile la pericope del NT in cui viene detto: «Prima noi!», a cui Yeshua risponderebbe: «Tutti insieme!».
Molto grave è che il teologo-biblista interpreti come razzismo il tema dell’elezione d’Israele, che non è da intendersi come «un vantare più diritti degli altri», «arroccarsi sulla separazione razziale», ma vuol dire essere chiamati a diffondere la Torah per il bene dell’umanità intera.
L’articolo si conclude con un’ulteriore grave affermazione: Maggi scrive che «l’unica razza presente nei Vangeli è quella delle vipere, serpenti velenosi, immagine delle pie persone, degli “scribi e farisei ipocriti” tanto devoti con Dio quanto disinteressati al bene degli uomini». La Pontificia Università Gregoriana ha organizzato nel 2019 un convegno internazionale sui farisei, i cui Atti sono in corso di pubblicazione, spinta dall’esigenza, da più parti sentita, di rendere giustizia a un gruppo religioso da sempre vilipeso dai commentatori e dai lettori degli scritti neotestamentari. Colpisce quanta differenza di informazione e di sensibilità esista tra la cerchia degli studiosi e il comune sentire, tuttora sotto l’influenza di stereotipi e pregiudizi.
Cito un amico. Il fatto che dio tanti generi di Homo coevi alla fine sia rimasto il solo Sapiens, fa pensare che il razzismo sia in noi radicato ben prima dell’inizio della Storia.
È una conseguenza ovvia.
Tutta la storia deve essere riletta alla luce dei nuovi dogmi.
Via Dante che non rispetta le diversità di religione volute da Dio.
Via Cristoforo Colombo che è andato in America a dar fastidio ai buoni selvaggi che li vivevano.
Via Mosè nazionalista incallito.
Via tutto l’ebraismo poco tollerante col culto di Baal.
Via Sant’Ambrogio che ha trattato così male i seguaci dell’antica religione.
Via Giovanni Paolo II visceralmente anticomunista.
Basta?
Basterebbe San Paolo (non c’è più giudeo o greco, schiavo o libero, uomo o donna…) invece bisogna mettere in dubbio anche la Bibbia inseguendo la moda del momento.
Che ci vuoi fare?