Il docente di NT della Gregoriana presenta un’analisi del discorso programmatico di Gesù in Mt, il più importante dei cinque, il cosiddetto Discorso del monte (= DM), definito breviarium vitae christianae, charta del cristianesimo, che ha affascinato milioni di lettori, che è andato dritto al cuore anche del Mahatma Gandhi, il quale però deve constatare che «molto di ciò che viene considerato cristianesimo è una negazione del Discorso della montagna» (p. 9).
Per maggiore chiarezza citeremo spesso, senza segnalarlo, il dettato dell’autore. All’inizio del suo testo tecnico di grande chiarezza didattica, l’autore presenta varie interpretazione che il DM ha ricevuto: un codice di leggi che riedita i comandamenti della Torah; un discorso inattuabile per le forze umane, possibile solo ai discepoli di Gesù; il DM vale solo a livello privato e non pubblico; il DM è un’etica ad interim: un appello all’impegno prima del tempo definitivo, quello del giudizio ultimo; il DM è un puro dono; il DM è un dono che impegna a una responsabilità. Per alcuni studiosi del mondo ebraico Gesù rompe con la Torah, per altri Gesù radicalizza la Torah. Per Benedetto XVI è la Torah del Messia.
Approccio prammatico
Grilli espone quindi il proprio approccio interpretativo, fondato sulla pragmatica, scienza giovane ma trasversale alle varie tipologie di scritti. Dei Verbum 12 afferma che Dio parla agli uomini «alla maniera umana», per cui «le parole di Dio […] si sono fatte simili al parlare dell’uomo…» (DV 13). Lo studio del linguaggio umano, di come si organizza per trasmettere un messaggio e indurre il lettore (dapprima lettore modello costruito dall’autore, poi lettore empirico, il lettore hinc et nunc) a condividere i propri valori e a metterli in pratica, è il succo del fine della pragmatica. Grilli la riassume in sei assunti, che possiamo definire “fondamentali”, perché esprimono gli elementi essenziali secondo i quali egli organizza la propria esposizione e spiegazione del DM. Li riportiamo riprendendoli dalle pp. 18-30, indispensabili per dare l’idea della grande ricchezza che questo libro contiene, in quanto espone, forse per la prima volta con chiarezza a un largo pubblico, gli elementi della pragmatica linguistica applicata alla Bibbia. 1) Il “testo” è un tessuto o una rete di relazioni ordinata alla comunicazione, rivolto a qualcuno; 2) Per il raggiungimento dello scopo comunicativo, un autore prevede, anzi costruisce, il suo lettore, che sa riconoscere la strategia testuale impressa nel testo dall’autore e si muove operativamente, così come l’autore si è mosso generativamente; egli collabora con l’autore nel dare al testo il suo pieno compimento; 3) La funzione del lettore modello rispetto a quello reale è di due tipi: a) euristico, perché guida il lettore reale a diventare un lettore adeguato al testo, ad assumere la visione delle cose propria dell’autore; b) ermeneutico, perché, attraverso il lettore modello o implicito, il lettore reale viene condotto all’identificazione del significato del testo; questo comporta la presenza di segnali comunicativi efficaci allo scopo; il lettore implicito incarna la “verità” sedimentata nel testo, il lettore empirico è costretto a un rapporto costante e veritiero, partecipando alle emozioni provocate dal testo e soprattutto imparando ad accogliere il sistema di valori ivi contenuti; 4) Il rapporto tra autore e lettore che si stabilisce nell’evento della lettura di un determinato testo non si esaurisce in termini «puramente descrittivi o semantici», ma si sviluppa anche in termini «attivi» e «pragmatici». L’autore vuole agire sul lettore, non dicendogli solo «come stanno le cose», ma a «fare le cose», insinuando dubbi, domande, risposte. La comunicazione verbale non ha solo una funzione descrittiva, ma anche conativa (spinge, cioè, all’accettazione di determinati atteggiamenti o convinzioni), imperativa ecc. Per Jakobson le funzioni della comunicazione verbale sono sei: referenziale, espressiva, conativa, poetica, fàtica, metalinguistica.
Fare le cose con le parole
Per Grilli, seguendo Austin, in ogni tipo di enunciato si può distinguere fra atto locutorio, illocutorio e perlocutorio.
L’atto locutorio corrisponde al fatto di dire qualcosa, proferire un’espressione ben formata e significativa.
L’atto illocutorio corrisponde all’azione che effettivamente viene compiuta, a ciò che si fa preferendo quella frase, alla forza illocutoria che corrisponde al nostro proferimento: affermazione, minaccia, promessa, avvertimento ecc. Searle parla di cinque tipi principali di forze illocutorie che è possibile compiere proferendo un enunciato: rappresentativi, dichiarativi, espressivi, direttivi e commissivi. La valenza illocutoria di un enunciato dipende dalle circostanze e dal contesto. Un enunciato formalmente rispettosissimo può contenere in verità una minaccia. Ad es., «Non siete forse voi figli ribelli, stirpe menzognera?» (Is 54,7) formalmente è una domanda ma, sul piano illocutorio, è un’accusa enfatica: siete proprio voi…
L’atto perlocutorio corrisponde, infine, agli effetti ottenuti dall’atto illocutorio, alle conseguenze psicologiche o comportamentali, intenzionali o meno; 5) La pragmatica è una scienza trasversale, che non entra in conflitto con le altre componenti della semiotica (sintattica e semantica) e con gli altri metodi o approcci di analisi di testi, ma li attraversa. Più che una componente autonoma, la si considera una prospettiva. La pragmatica attraversa tranquillamente la retorica, la narrativa, il metodo storico-critico e, a sua volta, i suoi contenuti sono oggetto di studio da parte di altre aree linguistiche (ad es. la sociolinguistica, che studia il rapporto tra strutture sociali e scelta degli elementi linguistici; 6) Gli elementi menzionati fanno della pragmatica un approccio particolarmente idoneo a leggere la Bibbia, perché essa vuole mettere il lettore nel suo senso, nella sua direzione, perché corrisponde alla concezione biblica della verità che non risponde solo a un’istanza di ortodossia, ma anche a un’istanza di ortoprassi. La verità di Dio si identifica con la fedeltà alle promesse e consiste nel suo agire salvifico.
Schema del lavoro
Grilli espone quindi l’organizzazione del suo lavoro: 1) studiare la coesione comunicativa dei vari filamenti che compongono un testo; 2) analizzare la coerenza comunicativa, facendo riferimento all’articolazione semantica del contenuto del testo, partendo dalle piccole unità fino al significato globale; 3) arrivare alla focalizzazione pragmatica, enucleando il punto cruciale della strategia comunicativa del testo, rilevando l’intento principale del testo nei confronti del lettore.
Nel c. II (pp. 31-48) Grilli espone il fondale (Mt 1,1–4,16) e la coesione del DM. Il fondale vuole decifrare il presente alla luce del passato, leggere il passato alla luce del compimento del presente, accogliere lo “scandalo” del Regno, riconoscere nel “compimento della giustizia” il senso dell’opera di Gesù. Il DM, più che un discorso o un sermone, pare un insegnamento del Rabbi che istruisce i suoi discepoli sulla Torah. È un prologo che disegna programmaticamente “l’utopia” del Regno, fattosi presente con Gesù. Il discorso ha come tema l’interpretazione che Gesù dà all’autentica volontà di Dio espressa nella Torah. Il DM ha una struttura triadica (p. 42): 1) l’introduzione narrativa (5,1-2); 2) nove macarismi (5,3-12 + espansione 5,13-16); 3) la legge e i profeti (5,17–7,12) con i tre punti fondamentali del rapporto tra il Messia e la Torah (5,17-48), del Messia con la profezia (6,1-18 con al centro il PN [6,9-13]), del Messia con la sapienza (6,19–7,12); 5,17 è la dichiarazione iniziale/il compimento e 7,12 la regola d’oro; 4) tre ammonizioni (7,13-23 + espansione) e 5) la conclusione narrativa (7,28–8,1).
La preghiera del Padre nostro sta al centro del DM, «perché conduce il lettore all’esigente volontà di Dio, alla sua paternità, creando uno spazio filiale con una parola che chiede obbedienza» (p. 48). Ogni parte del commento (pp. 49-176) segue i tre passi fondamentali di analisi: la coesione comunicativa, la coerenza comunicativa, la focalizzazione pragmatica. Le osservazioni conclusive (pp. 177-190) descrivono il rapporto tra lettore modello e lettore empirico ma evidenzia soprattutto la costruzione del lettore modello nel DM attraverso questi interessanti elementi: 1) lettori che sappiano discernere tra antico e nuovo; 2) lettori pronti a coniugare insieme indicativo e imperativo; 3) lettori che abbiano come stella polare la “giustizia superiore”; 4) lettori a servizio del Regno. Chiude la bibliografia (pp. 191-196).
Un volume solido, di grande validità a vari livelli, che introdurrà alla pratica della pragmatica studenti e lettori interessati e farà rifulgere di luce nuova la magna charta dei cristiani.
Massimo Grilli, Il discorso della Montagna. Utopia o prassi quotidiana?, collana «Biblica», EDB, Bologna 2016, pp. 200, € 19,50.