Paolo misogino? Le donne rileggono l’Apostolo e lo “liberano” dagli stereotipi. Così strilla la bandella pubblicitaria giallo canarino che fascia la copertina del libro, occhieggiando e ammiccando al lettore distratto per attirarlo al suo miele. In questo caso, senza ingannarlo e deluderlo.
A Rosanna Virgili, laureata in Lettere e Filosofia e licenziata in Scienze bibliche al PIB di Roma, è stato affidato il progetto di tradurre e di commentare tutto il NT assieme ad altre esegete. Nel 2015 è comparso il commento ai Vangeli; ora vede la luce la traduzione e i commento alle tredici lettere del corpus paulinum.
Rosanna Virgili insegna Esegesi all’Istituto Teologico Marchigiano. Emanuela Boccioni è invece Ingegnere dei materiali, dottore in Teologia biblica all’Angelicum di Roma e insegna nella scuola secondaria statale. È consacrata nell’ordo virginum, così come lo è la terza esegeta, Rosalba Manes. Licenziata in Scienze bibliche al PIB e dottore in Teologia biblica alla Gregoriana, insegna in vari istituti teologici italiani.
Dopo la presentazione dell’opera (pp. 9-12), Virgili traccia un’introduzione generale alle lettere di Paolo (pp. 17-32). A lei sono dovuti la traduzione e il commento a Rm (pp. 33-240), 1Cor (pp. 241-440), Gal (pp. 585-674), e un excursus finale molto importante (pp. 1127-1143).
Da parte sua Manes ha curato la traduzione e il commento a 2Cor (pp. 441-584), Fil (pp. 757-814), 1Ts (pp. 885-936), 2Ts (pp. 937-968), 1Tm (pp. 983-1038), 2Tm (pp. 1039-1076), Tt (pp. 1077-1104) e Fm (pp. 1105-1126). Ha redatto inoltre l’Introduzione alle Lettere ai Tessalonicesi (pp. 873-884) e l’Introduzione alle Lettere Pastorali (p. 979-982).
Boccioni ha invece curato invece la traduzione e il commento di Ef (pp. 675-756) e Col (pp. 815-872) e l’ultimo paragrafo dell’excursus finale (pp. 1144-1148)
Consiglio di cominciare la lettura del volume a partire dall’excursus finale di Virgili: “L’occasione mancata. Paolo e le donne” (pp. 1127-1143). Esso fornisce, infatti, il taglio giusto con cui accostarsi alla traduzione e al commento delle lettere del grande apostolo, immedesimazione vivente con il Cristo.
Occasione perduta
Paolo è stata l’occasione perduta per la Chiesa in questi due millenni perché è stato accostato in modo ingenuamente letterale e fondamentalista, ascrivendogli in ogni caso delle affermazioni – anche se talvolta non sono sue – le quali, prese alla lettera, sono state sfruttate quale fondamento biblico inoppugnabile e inaggirabile per sottomettere la donna all’uomo nella famiglia e nella società, e per privarla dei vari compiti ecclesiali che può benissimo ricoprire con grande vantaggio del corpo ecclesiale, come accadeva nella primavera della Chiesa primitiva.
Ecco un elenco di “occasioni perdute”. Il comando imperioso della sottomissione della donna all’uomo (Tt 2,5), l’ordine impartito loro di tacere nelle assemblee (1Cor 14,34-35), la direttiva di portare il «velo» (presunto e puramente immaginario, 1Cor 11,2-16), la designazione di Febe come «diakonos» (Rm 16,1) cancellata nella traduzione ufficiale della CEI 2008 – resa con «al servizio di», mentre era «diaconessa» nell’edizione del 1974 – e ricordata solo nella sua qualità di pura e semplice prostatis/“patrona” (Rm 16,2; tradotta nel 1974 e nel 2008 con «ha protetto molti»), che pure era un titolo che indicava un ruolo importante nella società civile. Da comprendere bene anche il pesante passo di 1Tm 2,15.
Queste sono solo le più impressionanti «occasioni perdute» per la Chiesa e per la società in queste duemila anni di storia. En passant, ricordo il bel libro del compianto G. Biguzzi (1941-2016) Velo e silenzio. Paolo e la donna in 1Cor 11,2-16 e 14,33b-36 (SupplRivB 37), EDB, Bologna 2001 (con una teoria esplicativa interessante, anche se non accolta da tutti). Con una battuta, si potrebbe dire alle suore che, per quanto riguarda Paolo, possono tranquillamente togliersi il velo dal capo…
Prassi e parole. La tradizione paolina
Alcuni passi incriminati di Paolo, soprattutto quello del presunto comando di tacere imposto alle donne in assemblea (1Cor 14,34-35), potrebbero essere un’interpolazione successiva. Questo tragicamente famoso e presuntamente “famigerato” passo paolino può invece essere interpretato – come fa Virgili – come un’intimazione disciplinare fatta alle donne di non proferire discorsi glossolali incomprensibili che portano confusione, disordine e indecenza nell’assemblea cristiana, facendo correre ai discepoli di Gesù il pericolo di venire confusi con gli adoratori di uno dei tanti culti pagani presenti in città.
Non si può far intimare a Paolo il silenzio e il divieto di insegnamento nelle assemblee a quelle donne che poco prima aveva rammentato come aventi la possibilità concreta di profetizzare nell’assemblea (1Cor 121,5: «Ma ogni donna che prega e profetizza a capo scoperto…»)!
Come possono chiedere a casa spiegazioni ai mariti le donne che sono vedove, o separate, o vergini (1Cor 7,8.15.28) e che pur vengono specificamente lodate e incoraggiate da Paolo?
Mi sembra un buon criterio ermeneutico tener presente che la prassi di Paolo e le sue parole nel loro insieme devono illuminare gli eventuali passi oscuri e non viceversa, correndo il rischio non peregrino di leggere tutta la figura del grande Apostolo con i paraocchi o con gli occhiali da sole del pregiudizio coltivato da duemila anni nei suoi confronti!
Pagine riguardanti la «sottomissione» appartengono alla Lettera agli Efesini, che probabilmente non è lettera autoriale – cioè autentica, composta da Paolo – ma (come le altre due lettere deuteropaoline, Col e 2Ts, e come le tritopaoline Lettere Pastorali, 1-2Tm e Tt) appartiene alla tradizione paolina fiorita soprattutto in ambiente efesino e opera di un discepolo di Paolo che recupera e attualizza il suo pensiero in un’atmosfera ecclesiale già profondamente mutata.
Questo vale anche per le frasi di “morale familiare” contenuta nelle Lettere Pastorali (1-2Tm; Tt). Sono denominate «tritopaoline» e «Lettere Pastorali» perché indirizzate non a una comunità ma ad una persona singola e datano presumibilmente all’80-90 d.C. Esse riflettono un’atmosfera ecclesiale ormai totalmente nuova rispetto all’epoca paolina. Il “cristianesimo” deve ambientarsi nel mondo greco-romano e presentarsi ad esso come non pericoloso (pur senza diventare bürgerlisches Christentum, un «cristianesimo borghese», come qualcuno ha sentenziato).
Bisogna porre attenzione innanzitutto alla prassi di Paolo e poi anche all’insieme delle sue lettere autoriali/autentiche. In esse si constata la presenza di numerose figure femminili (ad es. Prisca, Maria, Giunia, Trifena, Trifosa, Perside, Giulia ricordate da Paolo nei saluti finali di Rm 16). Sette donne contro la menzione di soli cinque uomini…
Le donne paoline. “Stare ai piedi” e demolizione del patriarcato
Giunia è «insigne fra gli apostoli» (Rm 16,7), qualificazione da intendere chiaramente in senso ampio di “inviati” dalle Chiese per l’evangelizzazione: gli “apostoli” erano ben di più dei Dodici…. Forse Giunia era una parente di Paolo. Sulla sua persona – talvolta intesa come una figura maschile – esiste un bell’articolo di M. Del Verme in Rivista Biblica LVIII(2010), 439-468 (in inglese).
Paolo definisce e tratta le donne menzionate nelle sue lettere come suoi «collaboratori», persone che «hanno combattuto da atlete» con lui per l’annuncio del vangelo. Esse avevano molto probabilmente il compito di guida della comunità che si riuniva nelle (loro) case.
Si può ben dire che nelle comunità paoline alcune donne avessero un ruolo ecclesiale di primo piano e che «esercitassero delle funzioni che non ebbero neanche al tempo di Gesù, perché di responsabilità ecclesiali si può parlare solo nel periodo successivo alla pasqua e specificamente appunto nelle Chiese paoline, dato che non resta notizia di donne attive nelle Chiese giudeo-cristiane» (p. 1136, sottolineatura nel testo di Virgili, che cita gli studi di Penna, Calduch-Benages, Murphy O’Connor – Militello – Rigato riportati poi in bibliografia).
Virgili fa notare come, con la sua teologia, Paolo detronizzi la Legge e la circoncisione, ad essa strettamente legata. Sono realtà collegate al corpo dell’uomo. Insistendo sulla fede in Cristo come unico mezzo di giustificazione, egli inserisce nella discendenza di Abramo tutti gli uomini e donne per il puro dato della fede. In tal modo egli demolisce il patriarcato della storia della salvezza e anche quello imperante fra le mura domestiche nell’epoca greco-romana del suo tempo. Con la figura di Febe, Paolo non distrugge infatti solo il patriarcato di tipo familiare ma anche quello di tipo politico.
Le autrici affrontano il discorso della «sottomissione» (cf. Ef 5,21ss; Tt 2,5) intendendo il verbo come indicante il servizio reciproco fra marito e moglie. Traducono il verbo hypotassomai come uno «stare ai piedi» di Gesù per ascoltare insieme la sua parola, come fece Maria di Betania con Gesù (cf. Lc 10,39). La donna e l’uomo sono esseri con pari dignità, chiamati a porsi insieme e reciprocamente ai piedi dell’altro in un servizio di tenerezza, di amore e di accoglienza.
La donna è stata tratta con un vero proprio “parto” dal costato dell’uomo, ma poi nella realtà quotidiana l’uomo non viene al mondo se non attraverso la donna, nota Paolo. In Gal la figura di Abramo sparisce col progredire dei capitoli, mentre emergono la figura della “donna” da cui nacque Gesù e quella della Chiesa concepita a partire dalla figura femminile di Sara.
Si può ben dire, quindi, che Paolo è stato un grande Apostolo, l’Apostolo per niente misogino ma, al contrario, grande valorizzatore del genio femminile nell’evangelizzazione.
Lessico “fresco”
Di ogni lettera del corpus paulinum viene dapprima delineata un’introduzione generale, con la presentazione di uno schema letterario-retorico che orienti e organizzi la lettura secondo il giusto cursus voluto dall’Apostolo. Dopo la traduzione personale presentata per ampie pericopi, segue il commento esegetico-teologico che fa tesoro delle acquisizioni a cui sono giunti gli studi filologico-esegetico-teologici più recenti. Non ci sono discussioni filologico-grammaticali né note a piè di pagina. Una scheda molto sintetica – posta all’inizio o alla fine del commento – offre la bibliografia essenziale più recente.
Il genio femminile delle tre esegete si evidenzia nella finezza dell’interpretazione, nella delicatezza del linguaggio e dei giudizi, nella modernità del lessico impiegato, che “aggiorna” la lingua italiana impiegata nella traduzione ufficiale liturgica. Così, ad es., la fede di Abramo gli viene «contabilizzata» e si fa discutere Paolo sul «valore aggiunto» dei giudei…
Dialogo
È evidente che non si può esser d’accordo con tutte le scelte di traduzione e di interpretazione teologica proposte dalle studiose.
In Gal 1,4 la traduzione «ci difende» mi appare debole, mentre Paolo intende la redenzione attuata in modo drammatico: «ci ha tratti fuori».
Nella traduzione e nell’interpretazione di Romani trovo sempre molto affascinante la traduzione di J.-N. Aletti sia per quanto riguarda Rm 3,8 («Non del tutto», invece di «No!) che per Rm 11,12.
Aletti parla in questo caso di «assottigliamento» di Israele contrapposto alla sua pienezza, mentre Virgili traduce «fallimento» (p. 177). Il «resto» che Virgili afferma essere qualitativo e non quantitativo, di fatto mi sembra avere entrambe le caratteristiche. Se in Rm 11,15 si mantiene lo stesso soggetto – Dio e non il popolo di Israele – (nel capitolo infatti si parla delle costanti scelte paradossali di YHWH nella storia, che fanno rimanere un resto e che non escludono per sempre chi al momento è «messo da parte»), si può tradurre pensando a Dio che, dopo una «messa da parte» temporanea, parziale e provvidente di gran parte di Israele, riammetterà tutto Israele nella piena comunione con lui: questo sarà come una risurrezione dai morti (cf. anche Rm 11,26 che commento sotto).
Virgili sdoppia i soggetti e parla de «il loro rifiuto» (p. 177) e la riammissione da parte di Dio. L’importante è non intendere che Dio rifiuti il suo popolo – eventualità negata in modo perentorio nella subpropositio di Rm 11,1 e sottolineata nuovamente con altri termini in quella di 11,11 – con una traduzione che potrebbe fuorviare: «Se il loro rifiuto…» (da parte di Dio vs popolo o del popolo vs Dio?). Aletti traduce con «Se la loro messa da parte» (mantenendo sempre Dio come soggetto del movimento grammaticale e semantico del contesto).
In Rm 11,16 «la radice santa» è per Virgili «la parola di Dio, la sua misericordia, il Cristo, la fede e la salvezza» (p. 183). Che ne è dei patriarchi, della fede dei padri e dello stesso Abramo, «nostro padre nella fede»? (cf. anche Rm 4).
In Rm 11,26a Paolo ricorderà la salvezza finale di Israele: «E houtōs/“così” tutto Israele sarà salvato…». Rimango dell’idea che qui houtōs sia un avverbio che indica non la temporalità («e allora», cf. CEI 2008, Virgili, Penna ecc.), ma la modalità con cui essa avverrà, descritta poi entusiasticamente da lui nei vv. 26b-27 con il rimando al merito unico di Cristo liberatore che toglierà l’empietà e stabilirà la sua alleanza quando distruggerà i peccati di Israele.
Personalmente avrei preferito veder traslitterato con la h iniziale i termini recanti lo spirito aspro sopra la prima vocale (ad es. hypotassō; hypomonē) o consonante (in caso di rh), così pure come la traslitterazione delle due vocali lunghe ē ed ō, con l’eventuale iota sottoscritto, per distinguerle dalle brevi e e o.
Il lettore si trova davanti a un volume davvero interessante, da gustare a fondo e con cui confrontarsi per comprendere correttamente la persona e il pensiero del grande apostolo Paolo, l’«Afferrato di Cristo» (cf. Fil 3,12), prima di fare esegesi, studiare una lezione di catechesi, preparare un’omelia o immergersi nella meditazione orante.
La figura gigantesca di Paolo non merita davvero alcuna “occasione perduta” o alcun stereotipo che distorca la sua limpida luce teologica che libera l’uomo, ma che valorizza anche il genio delle donne, alle quali vanno riaffidati i compiti ecclesiali svolti al tempo della Chiesa primitiva e da Paolo favoriti e incoraggiati.
Le lettere di Paolo. A cura di Rosanna Virgili. Traduzione e commento di Emanuela Boccioni – Rosalba Manes – Rosanna Virgili, Àncora, Milano 2020, pp. 1152, € 55,00, ISBN 978-88-514-2181-6.