Maria di Nazareth

di:

manzi

Il biblista milanese Franco Manzi insegna Nuovo Testamento e Lingua Ebraica nel Seminario di Milano e in altri Istituti accademici, fra cui la sede centrale della Facoltà di Teologia dell’Italia Settentrionale.

In questo volume lo studioso offre una versione aggiornata e ampliata di un’opera pubblicata nel 2005. Egli ricerca la radice della bellezza “teologica” di Maria (di cui nessuno conosce le fattezze umane), che è lo splendore della santità e della verità di Dio e anche immagine della bontà e della fedeltà di Cristo, il più bello tra i figli dell’uomo.

Dalla nota introduttiva al formulario della messa di Maria Vergine madre dell’amore egli trae tre motivi per cui la Vergine Maria è detta «bella», cioè abile e pura.

Innanzitutto, perché, essendo «piena di grazia» e «arricchita dei doni dello Spirito», «è rivestita della gloria del Figlio e adornata di ogni virtù».

In secondo luogo, perché, nel modo più puro amò appassionatamente Dio, il suo mirabile Figlio e tutti gli uomini, di un amore cioè verginale, sponsale e materno.

In terzo luogo, perché fu splendidamente partecipe del mistero della concezione e della nascita di Cristo, nonché della sua morte e risurrezione, aderendo con la dolcezza e con la forza dell’amore in perfetta sintonia al disegno salvifico di Dio.

Via veritatis e Via pulchretudinis

L’autore intende indagare sotto il profilo teologico-biblico il nesso esistente tra Maria di Nazareth e la bellezza di Dio. Seguiamo il suo pensiero, esposto soprattutto nell’Introduzione (pp. 7- 22).

«Colmata di grazia (cf. Lc 1,28) dallo Spirito Santo, la vergine Maria è bella, perché ha amato appassionatamente Dio Padre, dedicandosi in modo completo al Figlio di Dio e all’intera sua missione salvifica, dal concepimento alla risurrezione.

La riconsiderazione dei testi mariani del NT in prospettiva trinitaria permette di determinare, in modo esegeticamente fondato, l’essenza della bellezza di Maria e della sua esperienza “estetica” e spirituale della stessa bellezza di Dio.

Sulla possibilità di percorrere la «via della bellezza» (via pulchretudinis) in uno studio di carattere biblico-teologico incombono – secondo Manzi – due obiezioni. Una di metodo e una di contenuto.

Ci si domanda se sia corretto per un esegeta percorrere la via pulchretudinis e non la via veritatis.

Incombe anche il pericolo di una certa retorica che rischia di limitarsi a ripetere enunciati piuttosto generici sulla bellezza, sull’estetica e anche sulla teologia estetica e sull’estetica teologica.

L’estetica è una scienza giovane – ricorda l’autore – e l’«estetica teologica» è ancora in cammino verso la definizione di un proprio orizzonte epistemologico. Attualmente emergono varietà di posizioni (in Italia si pensi a Bruno Forte, Pierangelo Sequeri e Crispino Valenziano).

Anche se la riflessione sulla bellezza non può esimersi da qualche fatica, per Manzi è inaccettabile proporre una dicotomia tra le due vie e il sentimento che veleggia, anche se inconsapevolmente, verso la separazione indebita della ragione dalla fede.

Va superata anche l’obiezione che nasce dal fatto che, negli scritti canonici della Bibbia, non compare alcun dato sulla bellezza fisica di Maria di Nazareth.

Anche per gli artisti la sua immagine faceva trasparire una bellezza che andava oltre quella fisica.

Manzi si interroga, quindi, di che bellezza si tratta, quando si riflette teologicamente sulla Tota pulchra a partire dall’attestazione neotestamentaria.

A partire da un’allocuzione di Paolo VI del 1975, che vedeva la pertinenza dell’esegesi biblica alla via veritatis e non alla via pulchetudinis, Manzi è convinto che la varietà dei metodi e degli approcci esegetici attualmente in uso permettono ai biblisti di offrire il proprio contributo specifico per intraprendere con frutto la via pulchretudinis della mariologia.

La tesi che Manzi intende sostenere è la seguente: «[s]e per la Bibbia la bellezza di Dio coincide in definitiva con lo splendore della sua agápē, ossia dell’amore univoco e incondizionato che egli “è” (Prima Lettera di Giovanni 4,8.16), Maria vi ha preso parte in maniera del tutto singolare. In particolare, ella vi ha attinto mediante i suoi sensi, a un tempo corporali e “spirituali”, cioè accesi in lei dallo Spirito Santo, che l’ha colmata di grazia (Vangelo secondo Luca 1,28). L’ha resa così immagine dell’“Immagine del Dio invisibile” (cf. Seconda Lettera ai Corinzi 3,18) o – come Dante la canta nel Paradiso (XXXII, 85-86) – “la faccia che a Cristo più si somiglia”» (pp. 19-20).

La bellezza del Padre, del Figlio Gesù, di Maria. Segni «graziosi» e sensi «spiritualizzati»

Manzi sviluppa la sua tesi in quattro tappe.

Dapprima si sofferma sulla bellezza del Padre di Gesù, analizzando la “forma” dell’agápē. La bellezza dell’agápē traspare nelle creature e nella storia. Lo studioso si sofferma a riflettere, infine, sull’esperienza “estetica” della bellezza di Dio-agápē.

 In una seconda tappa, viene analizzata la bellezza del Figlio Gesù, scrutando da vicino la “forma” del servo del Signore. Emerge, in tal modo, la bellezza di Gesù trasfigurato, quella di Gesù «buon pastore» e quella di Gesù crocifisso.

La terza tappa studia la bellezza della madre di Gesù, riflettendo sulla “forma” della serva del Signore. La riflessione sui testi del NT fa emergere la conformazione della bellezza di Maria a quella di Cristo nell’incarnazione, nella sua passione e la conformazione della bellezza di Maria a quella di Cristo obbediente fino alla croce.

In un quarto momento Manzi riflette sui segni «graziosi» di Dio e sui sensi «spiritualizzati» di Maria. L’autore studia in sequenza l’esperienza “estetica” di Maria, il discernimento che lei compie sui segni di Dio, i sensi di Maria, il suo singolare «sentire materno», per chiudere la riflessione soffermandosi sui sensi di Maria plasmati dallo Spirito.

La bellezza che salva il mondo

Nella conclusione del suo denso volumetto (pp. 113-116), Manzi si chiede quale bellezza salverà il mondo.

Egli risponde ricordando che la rivelazione biblica afferma che l’unica bellezza che ha causato la salvezza dell’umanità e dell’intero creato è quella dell’amore incondizionato (agápē) di Dio, rivelato definitivamente da Cristo e servito in maniera altrettanto incondizionata dalla Vergine Maria.

«In definitiva – scrive lo studioso –, l’esperienza estetica e spirituale di Maria è consistita nella sua disponibilità totale – verginale – a lasciarsi conformare dalla grazia di Dio alla “condizione di servo” (morphḕ doúlou) di Gesù Cristo. Grazie alla recettività attiva della serva del Signore, lo Spirito Santo, che accendit lumen sensibus, ha continuato ad agire in lei, consentendole di assaporare con tutta sé stessa la bellezza crocifiggente e glorificante dell’agápē di Dio» (p. 116).

L’autore conclude la sua fatica con una bella citazione di Paolo VI (del 1975) che vale la pena riportare per esteso: «La Chiesa cattolica, del resto, ha sempre creduto che lo Spirito Santo, intervenendo in modo personale, anche se in comunione inscindibile con le altre Persone della ss. Trinità, nell’opera dell’umana salvezza, ha associato a sé stesso l’umile vergine di Nazareth. Così la Chiesa ha pensato che Egli lo abbia fatto in modo consono alla sua indole di Amore personale del Padre e del Figlio, con un’azione cioè insieme potentissima e soavissima, così da adattare perfettamente la persona di Maria, con tutte le sue facoltà ed energie sia spirituali che corporali, ai compiti a lei riservati nel piano della redenzione» (ivi).

L’opera di Manzi è corredata da numerose note, poste in fondo al volume (pp. 117-128) – scelta che a molti può non piacere, rendendo difficoltosa una consultazione visiva veloce – e dalla ricca bibliografia (pp. 129-140).

Il volume concorre ad approfondire una riflessione mariologica originale, che unisca l’analisi esegetico-teologica a quella dell’estetica teologica.

  • FRANCO MANZI, Maria di Nazareth, capolavoro dello Spirito. Riflessioni bibliche (Le Àncore), Àncora, Milano 2024, pp. 144, € 14,00, ISBN 9788851428464.
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