Dopo aver tratteggiato il cammino drammatico e altalenante della fede di san Pietro passiamo al suo cammino pastorale, come lo possiamo cogliere negli Atti degli Apostoli e nelle lettere apostoliche del NT. Da At 1 vediamo una Chiesa ancora legata al Giudaismo (preoccupata di salvare il numero di passi permessi di sabato e il numero di 12 per il collegio dei testimoni di Gesù: 1, 12. 25) e in particolare legata alla festa di Pentecoste e a Gerusalemme.
Ai primi passi della Chiesa
Proprio in questa festa, in cui si celebrava in particolare anche il dono di quella Toràh che, tra l’altro, dichiarava “maledetto” un appeso al patibolo, Pietro e altri/e, infuocati dalla forza dello Spirito, osano proclamare un Kerygma rivoluzionario: quel crocifisso Gesù non è affatto un segno di maledizione ma è risorto-risuscitato da morte, è alla destra di Dio Padre, come Cristo- Signore-salvatore e fonte dello Spirito per Israele e per tutti, per coloro che più da vicino l’avevano condannato a quella morte e per tutti i cercatori di perdono e di salvezza!
Rammentando il precedente cammino di fede di Pietro appare evidente il suo passaggio a una fede nuova, straordinaria e forte. Mirabile appare anche l’adesione di un discreto numero innanzitutto di Giudei e poi di altri, che iniziano una “nuova” comunità: da una parte molto simile a quella giudaica – anzi a quella di esseni e qumranici (riti e usanze lo dicono) – dall’altra invece diversa: non vive in deserti ma in città e dentro la società giudaica normale, ma soprattutto diversa per la sua fede in quel crocifisso Cristo e Signore (At 2).
Pur volendo rimanere dentro il Giudaismo quella nuova comunità e Pietro in primis ne subiscono e affrontano i primi urti, che essi sopportano con coraggio e fedeltà al loro Kerygma. Non saranno quelle difficoltà a frenarne lo sviluppo, ma ben altre e Pietro le coglie e reagisce con forza: la tentazione di introdurre nella comunità la menzogna (episodio di Anania e Saffira, At 5,1–11) o di voler comprare con denaro poteri e carismi (Simon Mago in (8, 18-25). San Luca ci mette la sua mano per rimarcare tali pericoli.
Dentro e in cammino con la Chiesa
La comunità ha anche bisogno di qualche organizzazione per i suoi scopi di evangelizzazione e carità: Pietro, gli altri apostoli e la base popolare eleggono alcuni come diaconi, dediti in particolare al servizio dei poveri ma non solo (v. Stefano e Filippo).
Il problema del rapporto tra tradizioni giudaiche e popoli pagani diventa sempre più pressante. Pietro stenta a trovare la via giusta, già per sé iniziata da gente come Stefano: ci vorrà un episodio come la fame a mezzogiorno e il sogno di una tovaglia allestita con ogni tipo di vivande pure e impure, seguito dall’invito dell’impuro centurione Cornelio a casa sua, a mettere Pietro in cammino verso grosse novità: non a Gerusalemme né in una festa giudaica, ma a Cesarea marittima e in casa dell’impuro Cornelio succede una nuova Pentecoste e Pietro ne è testimone, anzi attore coraggioso e…scandaloso: non solo battezza quei credenti in Cristo ma addirittura spezza il pane e “mangia con loro” (At 10-11)! E dovrà renderne conto alla chiesa di Gerusalemme scandalizzata e recriminante. Ne rende conto invitando tutti a leggere i segni dello Spirito nella sua vicenda e in quella dell’immondo ma pio e credente Cornelio. Così erano i rapporti…fraterni tra gerarchia e fedeli in quel tempo!
Tra Chiese diverse
Altri segni dello Spirito: la chiesa di Antiochia, dove giudei e pagani già convivono senza problemi, e le numerose nuove chiese sorte sul modello di Antiochia dopo i primi viaggi apostolici di Barnaba e Paolo. Ma per molti non bastavano a risolvere il grave e spinoso problema: come rendere puri quei cristiani non circoncisi? Ne scaturiscono una grave discussione e il primo sia pur parziale concilio a Gerusalemme: sì ai pagani nella Chiesa, ma diventino anche ebrei e quindi puri! No, affermano Barnaba e Paolo. Ma la loro impurità?…
Tocca a Pietro la scoperta, frutto anche di esperienze sue (come quelle con Cornelio): è la fede che rende puro il cuore davanti a Dio, non altro! Quindi non imponiamo a quei credenti di diventare anche schiavi delle leggi (e dei sogni politici) di Israele, al più chiediamo loro l’adesione solo a qualche norma capace di favorire la vita comunitaria, in particolare a mensa, allo spezzar del Pane. Soluzione rivoluzionaria per parecchi giudeo-cristiani, in particolare per gli amici di Giacomo. Ma anche costui dà ragione a Pietro sulla base di antiche profezia (di Amos). Ne nasce una specie di enciclica indirizzata alle chiese antiochene e sostanzialmente liberatoria. Con la gioia conseguente (At 15).
Tutto risolto? Non ancora. Restava aperta una questione: ma gli Ebrei cristiani sono ancora tenuti alla Toràh e alle sue leggi e tradizioni o possono ritenersi liberi anch’essi?…Ci vorrà qualche altro segno e scontro tra mentalità, prassi e autorità. Sarà Pietro a provocarlo. Ma procediamo con ordine e anche con qualche briciola di fantasia.
San Luca conclude il racconto sul concilio scrivendo che Paolo e Barnaba ritengono opportuna una visita pastorale alle chiese dell’Asia Minore fondate nel viaggio precedente. Ipotesi: che anche Pietro abbia sentito il dovere di una visita alla chiesa d’avanguardia di Antiochia di Siria? Più che probabile. Ma ne venne qualche guaio, ossia qualcosa di simile a quanto possiamo leggere in Gal 2,11-21.
Incontri e scontri vivaci
Fino ad allora in quella chiesa Ebrei e pagani credenti in Cristo convivevano fraternamente, anche a mensa. Pietro giunge là appunto e in un primo momento condivide tutto e approva. L’arrivo di alcuni amici di Giacomo e della linea più giudaizzante gli fa cambiare parere (Pietro è ancora un po’ simile al vecchio Pietro dei Vangeli) e “costringe” forse solo praticamente altri, persino Barnaba (ciò la dice lunga sul peso del…primo papa), a una “simulazione”, ad abbandonare la verità fingendo di approvare uno sbaglio: quello di dividere la Chiesa in due: quella dei giudeo-cristiani e quella di altri, in special modo proprio nel momento dello spezzar del Pane! Per Paolo è cosa inconcepibile e, perdendo un po’ anche le staffe, rimprovera apertamente Pietro e lo richiama alla coerenza con l’Evangelo: Gesù è venuto per riunire l’uomo con Dio e gli uomini tra loro!
Ne emergeva anche la conseguenza: un attaccamento eccessivo alle tradizioni mosaiche si rivela un grave ostacolo: anche i giudeo cristiani dovevano sentirsene liberi per favorire quella riconciliazione per la quale Gesù aveva versato il suo sangue! Libertà dunque a servizio della Buona Novella. Non sappiamo come tutto si sia concluso; Gal 2 lascia supporre una vittoria tra i due principali…contendenti. Possiamo dedurla anche rileggendo la Prima lettera di Pietro, assai simile per linguaggio e tematiche a quelle paoline.
Da Pietro a oggi
In conclusione: davvero vivace e drammatico anche il percorso pastorale di Pietro nel contesto altrettanto vivace e drammatico delle prime Chiese apostoliche. Lo stesso modo di vivere il “primato petrino” risentiva di quella drammatica vivacità. Nella storia successiva il primato papale, successivo a quello personale di Pietro venne scoperto solo lentamente e certamente vissuto in modi diversi; basti accennare a papi come Gregorio Magno e Alessandro VI, a papi di tipo assolutista come il pur santo Pio IX o invece come papa Roncalli e l’attuale Francesco.
Nessuna meraviglia quindi se papa Francesco, nel solco del pur tradizionalista Giovanni Paolo II, auspica un modo di viverlo e di esercitarlo più aggiornato di quello post-tridentino e post-Vaticano I (cfr. Evangelii gaudium n° 32). Del resto, almeno l’esercizio del primato papale, non ha mai fatto parte del Credo cristiano. Anche il ritorno a san Pietro lo fa apparire non come un mobile da museo ma come realtà viva e vitale, pur con i suoi limiti.