Scritto evidentemente prima dell’esplosione della pandemia da Covid19, il docente di Filosofia e Teologia alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e all’Università Statale – nonché presidente del Segretariato delle Attività Ecumeniche, redattore de Il Regno e grande esperto di ebraismo – indaga in questo breve saggio i vari motivi che ci spingono a mettersi a disposizione degli altri, con delicatezza e in punta di piedi.
Egli studia all’inizio il “come” e il “perché” della volontà di aiutare gli altri. Le due cose vanno insieme, dal momento che la vita moderna non comprende solo i rapporti interpersonali, ma anche quelli a più vasta dimensione, che richiedono competenze e specializzazioni per evitare confusione, danni e inefficienze.
Scorrendo la storia del pensiero filosofico, Stefani individua cinque motivi che ci inducono ad aiutare gli altri.
Il primo è “perché conviene”, sia a livello economico che relazionale. Si va dalla dottrina filosofica dell’utilitarismo alla concezione che, badando a se stessi, si bada agli altri. Tutti dipendiamo dagli altri ed esistiamo solo perché altri hanno preso cura di noi. Aiuto perché, se sta bene l’altro, ne guadagno anch’io (ad es. cliente-negoziante…).
Il secondo motivo è perché appare evidente che c’è un moto di compassione o di solidarietà che è presente nell’animo umano. Si va dall’utilitarismo filosofico e pratico alla compassione della figlia del faraone che salva Mosè dalle acque infrangendo le norme emesse dal padre, per finire con la compassione provata da Gesù e insegnata nelle sue splendide parabole.
Il terzo motivo della possibilità di aiuto degli altri è dato dal fatto che ci può essere comandato dai precetti biblici o dai principi giuridici espressi nei primi articoli delle migliori Costituzioni del mondo. Quella italiana parla di “solidarietà” nell’art. 1. La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, oltre la libertà, ricorda l’uguaglianza “in dignità” e diritti. Ricorda la pari dignità degli uomini dopo le terribili sequenze di aberrazione umana espresse nelle due guerre mondiali e nella Shoah. Stefani spazia dalle splendide norme contenute nel libro del Levitico 19,18.33-34 riguardanti lo straniero residente al comando di amare i nemici impartito da Gesù.
Amare è operativo, non un sentimento. Amare è portare amore, compiere azioni positive che spezzano la spirale della vendetta, dell’avversione e del rancore, lasciando il giudizio a Dio. La realtà può indurre a riconoscere la presenza della disparità fra gli uomini, il diritto spinge a operare per la parità.
Il quarto motivo per aiutare gli altri è dato dalla radicale e comune non autosufficienza della condizione umana. Nessuno sceglie di nascere, ma tutti hanno bisogno di tutto e di tutti per continuare a vivere.
L’ultimo motivo è formulato così da Stefani: «Per non espandere il male presente nel mondo». Afferma che questo può esserci anche nel cuore del pessimista. L’uomo di fede Gino Girolomoni, uno dei padri della coltivazione biologica, affermava dal canto suo: «Io non penso che l’agricoltura biologica salverà il mondo, ma la pratico per non stare dalla parte di chi il mondo lo distrugge» (cit. a p. 100).
Tremano le mani nel mio scrivere questo. È ciò che è richiesto a tutti in queste settimane. Posso aiutare me stesso e gli altri stando casa, distanziando le relazioni sociali, entrando in quarantena. Amo gli altri stando lontano per non espandere il contagio. La vita di tutti dipende da me, dal mio comportamento.
Se – come nota Stefani nella conclusione – oggi è difficile aiutare, dal momento che vengono richieste competenze e specializzazioni e dalla ripetitività delle situazioni di bisogno (un povero ogni venti metri sulla strada…), questo non deve indurre, «più o meno sottilmente, a far impallidire l’ambito che spetta al coinvolgimento etico personale e rendere sempre più raro l’incontro profondo tra le persone basato sulla componente spirituale» (pp. 105-106), col pericolo di cadere nell’accidia (espressione morale viziosa della malattia della depressione) e nella deresponsabilizzazione morale e spirituale (cf. I. Illich, Pervertimento del cristianesimo).
Un motivo forte per non aiutare è oggi quello della paura. Per Hanna Arendt il massimo imperativo etico è: cercare di capire. Se sapere è potere (Bacon), per Stefani la conoscenza dell’altro «è uno degli antidoti più efficaci alla paura, specie quando avviene in modo bilaterale e quindi intrinsecamente rispettoso della soggettività altrui» (p. 111).
C’è sempre la possibilità di offrire con delicatezza (“Posso?”) la propria disponibilità all’aiuto (“darti una mano”). Secondo l’autore, «nella sua dimensione profonda, il rispetto contenuto in quel “posso” costituisce un aiuto maggiore dell’operatività espressa nel “darti una mano”» (ivi).
Possiamo “dare una mano”. Ne abbiamo bisogno vitale noi e gli altri.
La diamo volentieri con responsabilità morale e sociale.
A volte in trincea, a volte solamente stando a casa.
Lontani, ma vicini.
Piero Stefani, Posso darti una mano? Sui motivi che ci spingono ad aiutare gli altri (Lampi s.n.), EDB, Bologna 2020, pp. 120, € 10,00, ISBN 978-88-10-56795-1.