Chi parla in questo Salmo?
La breve nota premessa, non si sa quando e da chi, lo attribuisce a Salomone, il re famoso per la sua saggezza nel reggere Israele, dopo suo padre Davide e almeno finché non si perse per le sue troppe e devianti donne (siamo tra il 970 e il 930 a.C.).
Come sostanzialmente Davide, anche Salomone si comportò da re di un popolo non suo ma di Dio, vero e supremo re. Dopo di lui, invece, Israele vide una serie di re assai diversi, infedeli a Dio, egoisti, incapaci e spesso oppressori della loro gente, specialmente dei poveri e indifesi in particolare nei processi.
Ovvio che qualcuno, a nome del popolo, invocasse da YHWH un re migliore. In questo contesto spunta il Salmo. Esso sembra anche un insieme di invocazioni, auspici, previsioni, descrizioni di saggia politica, alternantisi in modo per noi illogico; forse ciò dipende anche dall’uso liturgico dell’antico tempio salomonico: cori alterni cantavano idee e parole che si incrociavano vivacemente. Di qui un comprensibile disordine, che però non disturba la comprensione dell’insieme. Lo riascoltiamo nell’ultima versione della CEI.
1) Dio, dà al re il tuo diritto (il tuo giudizio), al figlio del re la tua giustizia;
2) egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia e i tuoi poveri secondo il diritto.
3) Le montagne (simboli della sede della divinità) portino pace al popolo e le colline giustizia.
4) Ai poveri del popolo il re renda giustizia, salvi i figli del misero e abbatta l’oppressore.
Dopo l’invocazione e la descrizione della giustizia auspicata, ecco gli auguri e le gioiose previsioni per quel giusto re:
5) Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione.
6) Scenda come pioggia sull’erba, come acqua che irrora la terra.
7) Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace finché non si spenga la luna (ovviamente il salmista non vuole impartire una lezione di scienze astronomiche né di geografia).
8) E domini da mare a mare, dal fiume (Eufrate? Giordano? Nilo?…) sino ai confini della terra.
Ora l’augurio si colora di vittoria sui nemici e su altri re stranieri:
9) A lui si pieghino le tribù del deserto (spesso terribili predoni), mordano la polvere i suoi nemici,
10) I re di Tarsis e delle isole (occidente e terre del Mediterraneo, come anche l’Italia, immaginata come un’isola) portino tributi, i re di Saba e di Seba (oriente?) offrano doni.
11) Tutti re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti. Perché forse anche per loro quel re recherà giustizia e pace:
12) Perché egli libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto.
13) Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri.
14) Li riscatti (magari pagando di persona per loro) dalla violenza e dal sopruso, sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue.
Ora torna l’augurio e una mirabile e poetica prospettiva aperta anche oltre i vecchi confini nazionali:
15) Viva e gli sia dato oro di Arabia, si preghi sempre per lui, sia benedetto ogni giorno.
16) Abbondi il frumento nel paese, ondeggi sulle cime dei monti; il suo frutto duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome. In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato.
I versetti seguenti tornano al Dio fonte vera di tutto quel bene; ma forse non appartenevano propriamente al nostro Salmo e perciò li trascuriamo.
Ma di quale re si parla davvero?
La domanda sorge spontanea. Non solo per l’allusione alle promesse ad Abramo circa la benedizione di tutte le stirpi della terra di Canaan e non solo, ma più ancora per tutte quelle prospettive di bene e di pace adombrate nel Salmo. A nessun re di Israele si potrebbero facilmente attribuire.
A meno di pensare – e per noi cristiani è facile – a un re pur ebreo ma anche davvero stra-ordinario: quel re che magi orientali cercarono a Betlemme, quel re di cui un procuratore romano, dopo tanto tergiversare, si decise a scrivere: «Gesù il nazareno, il re dei Giudei» e per di più in ebraico, greco e latino. Sì, ma sulla cima di una croce! A quel re crocifisso e risorto guarderanno con fiducia straordinaria alcune donne e pochi discepoli tutti ebrei, quasi a confermare la decisione del nostro Pilato: Gesù, pur rifiutato dapprima (e purtroppo ancora) da molti ebrei rimane sempre il loro re, quel tipo di re descritto nel Salmo. Ma dopo e con quei primi discepoli molte altre genti lo dichiarano “beato” e da lui sperano e chiedono pace, riscatto, salvezza, vita anche oltre la forza della morte e del male.
A parte però questa pur giusta rilettura cristiana, il Salmo risplende sempre anche per il suo messaggio politico: re o presidenti o imperatori o magistrati o governanti e chiunque abbia qualche autorità dovrebbero confrontarsi con quel tipo di re descritto nel Salmo sotto ispirazione divina. E noi tutti non solo auspicarcelo, ma anche agire in modo che ce ne siano sempre di politici come lui: almeno rispettosi delle Costituzioni e di una illuminata democrazia attenta soprattutto alle frange più deboli e bisognose delle società nazionali e mondiali.