Un libro davvero avvincente. Ti mette tra le mani le chiavi teologiche, umane, affettive, sapienziali che aprono il forziere della parte “storica” del libro della Genesi (cc. 12–50, anche se il commento termina al c. 46).
Forte della sua preparazione biblica e arricchito da un’esperienza familiare che porta con sé nelle innumerevoli sedute di lectio e di serate bibliche a livello nazionale, Curtaz gode di un linguaggio narrativo intrigante e avvincente, essenziale. Egli varia da una riflessione teologica che scioglie un brano difficile a considerazione umanissime che nascono da un contatto profondo con la vita vera e spesso drammatica delle persone e delle famiglie.
Cercatori «imperfetti»
I patriarchi e le matriarche sono tutti cercatori di Dio, in cammino verso se stessi, verso la realizzazione della promessa di Dio nei loro confronti, a favore loro ma soprattutto della continuità della discendenza sulla quale riposa la promessa dell’elezione inclusiva di tutte le genti.
Curtaz descrive con passione le storie di questi personaggi, patriarchi sì, ma non perfetti né moralmente né umanamente. La Bibbia non giudica, descrive i fatti e i sentimenti, e le conseguenze maestre di vita. Tutti patriarchi sono in viaggio verso se stessi, verso la pienezza della loro fede e della loro umanità, della loro pace personale e familiare.
Abramo, il cercatore
Potentissimi i sette capitoli dedicati ad Abramo, il cercatore (pp. 11-160), chiamato ad andare verso se stesso (cf. Gen 12,1). Egli ha fede in Dio, ma cerca con ansia la realizzazione della promessa dell’erede, forza i tempi, viola le regole morali coniugali e religiose facendo passare due volte Sara come sua sorella per poter aver accesso ai patti con il faraone e con il re di Gerar. Istigato da Sara, forza i tempi della promessa e poi si trova a dover scacciare Agar e Ismaele per il bene superiore della pace familiare.
Ma la prova più dura a cui Dio lo chiama è il legamento di Isacco, il non-sacrificio di Isacco, come lo definisce giustamente Curtaz. Acconsentendo alle più fini teorie religiose del tempo, Abramo sente di dover offrire a Dio Isacco, il figlio della promessa, il futuro, dopo essere partito e aver già offerto a Dio il proprio passato. Obbedisce alla prova a cui Dio lo sottopone, ma lotta duramente per difendere la sua discendenza. Dio non vuole sacrifici umani, questa è la lezione fondamentale, ma non si può sapere la qualità della propria fede fino a quando non si percorrono le vie della prova fino alla loro fine.
Abramo arriva a se stesso, alla fede matura, fra sbagli, bugie, incoerenze, abbandoni di fede sinceri, silenzi che tracciano il cuore. Ma porta avanti la realizzazione della promessa.
Isacco, lo scampato e l’astuto Giacobbe
Anche Isacco – lo scampato – supererà il suo innegabile trauma adolescenziale e, ripensando forse spesso a suo fratello Ismaele, a Lacai Roi dove vive lontano dal padre, troverà la sua strada grazie alla sua parente Rebecca, la nipote di Nacor, fratello di Abramo. Con lei troverà la pace e l’amore, vivendo lontano dal padre, vedendola arrivare sul far della sera da Aram Naharaim col fido servo inviato da Abramo.
Toccanti teologicamente e umanamente le pagine dedicate a Giacobbe – l’astuto –, l’«ingannatore ingannato». Anch’egli partirà verso se stesso dopo aver carpito, con l’aiuto della madre Rebecca, la primogenitura di Esaù, che peraltro la valutava meno di un piatto di minestra di lenticchie. Giacobbe, il «tortuoso» troverà la sua pace dopo una fuga precipitosa – vent’anni di lavori forzati per amore –, ma tornando in pace nella sua terra, riconciliato con Esaù.
Nel viaggio di andata aveva fatto un voto a Dio di erigere un tempio a Betel, se fosse ritornato sano e salvo dall’impresa. Non torna sano, ma zoppicante per aver lottato con Dio e averlo vinto al guado dello Jabbok. Bellissimo il suo bilancio-ritratto composto da Os 12,4-5: Egli nel grembo materno soppiantò il fratello e da adulto lottò con Dio, lottò con l’angelo e vinse, pianse e domandò grazia». Pianse con Dio dopo averlo vinto e trova pace, piangendo e abbracciando Esaù a cui manda avanti «la benedizione» (così tradotto meglio da Curtaz invece di «dono augurale», Gen 33,11).
Giacobbe ha già strappato all’Angelo/Dio la sua nuova identità di Israele, la vera benedizione di Dio. Non ha bisogno d’altro. Ora può ridonare a Esaù quella carpita, facendo pace e riconoscendolo «signore». Il primo abbraccio con pianto fra fratelli. «[Giacobbe] non ha ottenuto ciò che aveva chiesto, ma ciò che aveva desiderato. È tornato da suo padre, nella sua terra. Ma è tornato completamente cambiato. Zoppicante, certo, ma cambiato. Non più come ingannatore, ma da uomo libero» (pp. 244-245).
Giuseppe, il sognatore
E cercatore di Dio è anche Giuseppe – il sognatore –. Cerca Dio in capitoli che lo menzionano raramente in modo esplicito, e con la maturità raggiunta nella sofferenza (provvidenziale), riuscirà a far ritrovare alla sua famiglia la fraternità compromessa da preferenze inopportune di genitori molto anziani, vanagloria ostentata inopportunamente, durezze di cuore e non accettazione di differenze anche fra fratelli. L’assunzione di una vera coscienza fraterna da parte di tutti porterà alla riconciliazione nella verità.
Storie di ricerche di Dio, della realizzazione della sua promessa nella continuità della discendenza, fra i più vari degli atteggiamenti e sentimenti umani, molti dei quali sbagliati e riprovevoli. La Bibbia li porge però senza giudizio, come madre amorosa che educa facendo vedere dove portano le scelte che si prendono a volte in modo affrettato, egoistico o col cuore che vede poco lontano. Giuseppe vede bene le cose: «… Dio mi ha mandato qui [in Egitto] prima di voi per conservarvi in vita». Questi sono i patriarchi (e le matriarche) che parlano anche oggi.
Paolo Curtaz, Il cercatore, lo scampato, l’astuto, il sognatore. Storie di patriarchi e di matriarche, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2016, pp. 288, € 14,50.