L’umano nella Bibbia

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A Rosanna Virgili, biblista e filosofa, docente all’Università di Urbino, non potevano sfuggire i fenomeni complessi dei progressi delle neuroscienze e degli interrogativi che si pongono all’umano, al suo corpo, ma non solo a quello. Perfezionato? Ridotto a macchina? Qual è il cammino intrapreso? Costruire robot che sostituiscono l’uomo? Ibridi o «creature» autonome, ideate e volute dall’essere umano stesso? La ricerca scientifica non potrà essere ragionevolmente bloccata, ma la riflessione filosofica e religiosa deve avanzare le proprie osservazioni critiche.

Alcuni credenti – afferma Virgili – pensano che nella Bibbia tutto sia già ben stabilito e fissato, normato da leggi eterne e divine intoccabili. Ella invita invece a non confonderle con norme culturale, patriarcali spesso, con le quali la comunità intendeva proteggere se stessa e favorire il suo accrescimento e la sua continuità in mezzo agli altri popoli.

Il sottotitolo del libro fa capire come l’umano tende a un progresso. Si tratta di vedere quali siano i cammini davvero umanizzanti e se la parola di Dio, ben interpretata, possa costituire una guida sicura da tener presente.

Nel suo libro l’autrice tocca molte problematiche, raggruppate per temi trattati con pennellate veloci ma illuminanti.

Antropologia biblica e omosessualità

All’inizio ella esamina l’antropologia rispecchiata dalle pagine delle Genesi, denotata da mentalità semitica olistica e non greca, segnata da dualismo (immortalità dell’anima). Le figure del maschio e della femmina sono in corrispondenza e in aiuto di partenariato e le genealogie mostrano la serie di persone che sono viste nascere sia dalla donna sia dal sangue e, infine, dal seme maschile.

Nel capitolo “Bonum prolis” (pp. 27-40) accenna al problema dell’omosessualità, considerato però nel contesto più vasto in cui la comunità israelitica aveva bisogno di custodire il seme per poter accrescere la propria discendenza. Per questo si assiste a scene di uomini vecchi ai quali è concesso di unirsi a donne giovani, al rapimento delle danzatrici di Iabes, dall’istituto giuridico del levirato alla condanna dell’onanismo come dispersione del seme e della sodomia e dei sodomiti.

A parte il fatto che in Genesi la condanna del gesto degli abitanti di Sodoma è rapportata alla violazione del sacro valore dell’ospitalità dovuta ai pellegrini, anche in questo caso il pensiero va al collegamento con la custodia del seme in previsione della fecondità che dà continuità al popolo.

Anche Paolo farà un discorso severo sul tema dell’omosessualità maschile, ricordando in Rm 1 come essa sia collegata a un disconoscimento del volto di Dio. Nota l’autrice: «[I greci] Non hanno saputo vedere come nell’immanente (la ktísis, “il mondo creato”) si rivelasse il trascendente. Questo atteggiamento e questa intelligenza narcisistica dei greci, Paolo la chiama akatharsía («impurità») e culto delle creature, culto dell’uomo da parte dell’uomo» (p. 38).

Virgili così prosegue: «Un difetto di conoscenza gravissimo che ha impedito ai sapienti e ai filosofi di conoscere il Dio della Rivelazione. Il prezzo di questa mancanza è la perdita dell’héteros, dell’altro. L’altro (il diverso) mi trascende, non è hómoios (cf. vv. 26-27) rispetto all’uno, ma appunto héteros. L’effetto della perdita di percezione dell’altro è la fine della relazione con lui, quindi, l’insorgere di relazioni con persone dello stesso sesso. Non a caso Paolo cita per prima l’omosessualità femminile, che non interessava affatto il Primo Testamento e la Legge di Mosè; lo fa perché il femminile, che tracciava il confine della diversità, aveva perduto, a sua volta, quel limite: un simbolo teologico fondamentale.

Il «vuoto» della donna esprimeva simbolicamente il bisogno del maschio, del diverso, uno statuto antropologico che Paolo evoca per illuminare uno schema teologico: senza il bisogno dell’altro, l’essere umano perde anche la relazione con Dio che è l’Altro e il diverso per eccellenza.

Le ragioni della condanna dell’omosessualità maschile portate dal Levitico non potevano certamente essere addotte da Paolo: un uomo celibe che aveva, addirittura, risparmiato il suo seme. Per la legge del celibato sarebbe risultato grave almeno quanto l’onanismo, o il rapporto omosessuale, in quanto sarebbe stato a servizio della morte e non della vita (pp. 38-39).

Maternità, paternità, figliolanza

Virgili affronta quindi il tema della maternità e della paternità. Mentre oggi l’educazione dei figli è progressivamente stata tolta sia alla madre sia ai padri, la Bibbia testimonia il compito primario dell’iniziazione dei figli a cura delle madri e dei padri. In due pagine riassuntive (pp. 49-50) la biblista fa vedere come nella Bibbia il corpo subisca un processo in cui si avvicendano crescita, mortalità, genitorialità, figliolanza, bisogno di comunità protettive.

La Bibbia non conosce il periodo preistorico, ma inizia col maschio-padre intento alla custodia della discendenza «un valore questo che si riflette nelle leggi che oggi vengono chiamate “maschiliste”: il levirato, la poligamia, il ripudio della moglie sterile, l’“utero in affitto” (gratuitamente…) delle schiave alle loro padrone, immerse anch’esse completamente nelle esigenze del patriarcato. Ciò che oggi viene rivendicato come un diritto delle donne e delle mogli, ovvero la libertà di scegliere il proprio marito e di autodeterminazione sul proprio corpo, rientra nel novero di quelli che, nelle democrazie contemporanee, vengono chiamati “i diritti umani individuali”; così pure quello che uomini e donne rivendicano per una libertà dell’orientamento sessuale. Si tratta di diritti individuali che le leggi sono chiamate a tutelare. Nell’esperienza storica e antropologica che la Bibbia vive, il corpo (quindi l’umano) non è concepito come un’individualità, ma come luogo di relazione, generazione e comunità» (p. 50).

Il prossimo passo che la Bibbia compirà – riportiamo ancora per esteso il testo dell’autrice – sarà quello di descrivere «l’umanità maschile femminile impegnata nella costruzione della civiltà: uno scopo che, pur nascendo dal patriarcato, giungerà ad abbattere gli schemi, quando non risulteranno più agevoli ai fini di quella costruzione. L’umano assume, allora, una qualità diversa, meno tribale e più politica, meno identitaria e più universale. In questo contesto – derivante anche da evoluzioni sociali ed economiche – il corpo subirà delle trasformazioni: dal “fatto di fango” (baśar e nepeš, “carne” e “alito”) alla creatura animata dallo spirito (ruaḥ). Su questo scenario, la sapienza e l’intelligenza, riconosciute all’uomo, avranno un ruolo di primo piano» (p. 50).

Il corpo e la sapienza. Donne e civiltà

La studiosa passa quindi a riflettere sull’uomo secondo la visione sapienziale, sul rapporto tra il corpo e il soffio vitale, sulla sua dignità pari quasi a un dio, sulla scienza vista come via della vita.

Un capitolo è dedicato al tema della casa e della civiltà, in cui sono contemplati anche i corpi per costruire, figli evidentemente. Protagoniste di queste pagine sono le donne, inserite nel patriarcato. Rebecca si pone tra tradizione e trasgressione, con scambi di ruolo (?), con un’etica sapienziale tipicamente femminile.

Nella costruzione della civiltà, quello della donna non è solo un corpo per costruire figli ma anche per la costruzione del popolo. Rut vive il suo corpo come esempio di gratuità, di transitività, di servizio. Meglio di quello maschile, ella esprime l’anima di ogni creatura: l’essere per, non l’essere in. «Nell’etica sapienziale il corpo della donna non è solo carne, anima animale e affettiva, ma spirito (ruaḥ) e parola (dabar). Spirito di vita e ponte di parola; la parola non è solo seme di vita (sospeso e astratto) e maschile, ma anche corrispondenza (concreta e incarnata), ascolto, accoglienza, generatività e femminile» (p. 74).

Il lavoro accomuna maschi e femmine in questa esperienza di corpo, ma il più bel canto al lavoro presente nella Bibbia celebra l’opera di una donna e non di un uomo (cf. Pr 31,10-31).

L’amicizia virile

Virgili prosegue la sua riflessione con pagine sui figli e sui fratelli (con il conseguente comando ad amare il prossimo tuo), sul dono della delicata amicizia virile che lega in modo stretto, anche correndo pericoli mortali, Gionata e Davide (spesso considerata in modo scorretto come relazione omosessuale).

La loro alleanza salverà dapprima Davide e poi la discendenza di Gionata e sarà provvidenziale per il popolo di Israele, che avrà un re voluto da Dio, un uomo secondo il suo cuore. Il patto si rafforza tra lacrime e baci (cf. 1Sam 20,41). «Il patto tra Davide e Gionata ha un sapore sacramentale – commenta l’autrice – si fonda, infatti, su una terza persona, quella del Signore. “I due fecero alleanza in presenza del Signore” (1Sam 18,3)».

Il patto viene suggellato con un rito, non di investitura, ma di dono. «Gionata si tolse il mantello che indossava e lo diede a Davide e vi aggiunse i suoi abiti, la sua spada, il suo arco e la cintura (1Sam 18,4)». […] «Dal patto di amicizia tra questi due giovani – conclude Virgili – nacque la lunga monarchia di Israele, quell’amore entrato nel diritto e divenuto patto indissolubile che sarà la culla del popolo di Dio. Nato non da sangue, né da seme, ma dall’amicizia dell’anima» (p. 93).

Con queste note e con le molte citazioni pensiamo di aver reso l’idea dell’interessante e “fresco” procedere dell’autrice nel mondo affascinante della Bibbia, che propone non solo leggi immutabili, ma anche leggi culturali e legate a tempi e a scopi ben definiti.

Corpo e cultura. Diventare fratelli

«Il messaggio che emerge dalle pagine bibliche che abbiamo letto proietta un’idea dell’essere umano – annota l’autrice in una bella pagina – in cui quella che noi chiamiamo “cultura” costituisce un elemento essenziale del suo corpo. La distinzione tipica del nostro pensiero tra natura e cultura non vi appare affatto; la sapienza, l’intelligenza, la scienza, guidano e motivano le evoluzioni del corpo dell’umanità. Evoluzioni protese alla costruzione della civiltà a partire dalla famiglia e dalla polis, per convergere verso la fraternità universale».

«In questa tensione – prosegue la studiosa –, molti aspetti antropologici patriarcali subiscono un superamento e una trasformazione: le donne prestano il corpo per dare culla a una discendenza “meticcia”; i figli non sono più i nati dal sangue, ma dalla ragione della vita e dalla compassione, per cui non potranno più essere considerati come una proprietà, né prestati come carne al nome paterno; i fratelli nascono dalla condivisione e dalla riconciliazione e non più semplicemente dal seme dello stesso uomo; ciò che stabilisce il diritto di governare non è la discendenza messianica, ma il patto di amicizia tra le varie famiglie che formano il popolo e la lealtà verso il bene comune, al cui servizio ci si pone» (p. 95).

Ricadute attualizzanti

L’autrice sottolinea tre punti importanti per l’attualità:

1) La donna e il suo corpo. Non è più solo vaso di vita per i figli, né forza-lavoro per l’economia familiare; la donna diventa «il primo dei beni», soggetto spirituale, compagna, amica, dolcezza, casa, consolazione. Ella appare in un rapporto di reciprocità con l’uomo, nel corpo e nell’anima. A dispetto di ciò ci sono però ancora oggi molte riduzioni del corpo femminile (violenza del maschio, corpo vissuto come sesso e non come soggetto di corrispondenza dell’anima, rapporti affettivi coniugali imposti come pretesa proprietaria del maschio – che arrivano anche a uccidere, per questo –, un femminile individualista non più disposto alla transitività delle proprie risorse e di se stesso verso il partner e i figli ecc.);

2) Rapporto con i figli. L’esiguità dei figli che nascono in Italia potrebbe portare a “generarli” attraverso l’accoglienza, l’adozione, la solidarietà, l’amore, dando spazio fisico e affettivo a orfani, affamati, migranti, stranieri ecc., come fece Davide.

3) In una cultura come quella odierna, chiusa a riccio verso gli altri, la rinuncia ad avere figli “nella carne” e alla fraternità, a ricadere nella solitudine “dei numeri primi”, potrebbe portare a creare alternative di creazione di fratelli “virtuali”, creature artificiali. Ci si potrebbe costruire un fratello, un partner e, persino un proprio corpo.

Virgili conclude così questo paragrafo di attualizzazione: «Gli esperimenti attuali inclinano su una sorta di deriva neo-spiritualista, in cui il corpo si slega in modi nuovi dall’anima, per generare degli alias, o dei robot-persona, o per rinunciare del tutto all’umano, facendo sopravvivere solo gli algoritmi. “Un futuro radioso o propaganda da incubo?”‘ (cit. di D. Doglio)» (p. 97).

Il libro prosegue a ondate successive sul corpo eletto, le rivoluzioni di coppia, il matrimonio teso fra consegna di se stesso e distanza e libertà. Parla di Dio Padre, dei figli ribelli, di gender x, delle creature scartate, ma per le quali sono previste delle risurrezioni (etiopi, eunuchi, indemoniati, poveri) e dissoluzioni (celibato e verginità), per terminare con alcune riflessioni sulla possibilità di trasformazioni: il corpo spirituale, la possibilità per l’uomo di rinascere anche quando è vecchio, la fine del corpo animale e la fede nella risurrezione dai morti, inaugurata da Cristo.

Generato, non creato. Corpo come processo

La pagina conclusiva dell’autrice offre una sintesi molto efficace e, in parte, provocatoria.

Il Figlio di Dio, «generato e non creato» presenta Gesù come frutto di un processo. «Venendo da un dinamismo, da un mutamento, da una trasformazione, continuerà a trasformarsi e a trasformare: dal corpo animale a quello spirituale. Il corpo resta, ma non le sue strutture. Se, infatti, il primo è fatto di carne (baśar) e di anima (nepeš) il secondo è fatto di spirito (pneûma).

Una prospettiva del genere sul corpo dovrebbe liberare da qualsiasi attaccamento al dato «creato». Difendere il dato naturale non costituisce il primo interesse del cristiano. Del resto, nella Bibbia non si legge di una «legge naturale», ma di diversi atti di creazione compiuti da Dio. Da essi si avvia un processo segnato dal tempo e dalla sapienza dell’uomo, il quale accetta il suo limite, sempre in rapporto con la trascendenza. Abbiamo osservato come non si nasca né figli, né fratelli, ma si diventi tali. Abbiamo visto come anche la paternità e la maternità siano dei processi e non dei canoni assoluti e fissi. Dobbiamo concludere che anche il corpo è un divenire, è stato creato per essere mutato, migliorato, trasformato a favore della vita che esso stesso porta come sete e chiede come pienezza.

L’anima del cristianesimo, presente in tutti i libri del canone biblico – continua Virgili –, consiste in una tensione del corpo verso la vita, verso il superamento del limite posto dalla morte; è quanto abbiamo potuto dimostrare attraverso la lettura di molti testi. Il corpo sessuato è fatto per superare l’individualità e per vincere la solitudine; per darsi continuità nell’apertura alla discendenza e nel fine primario dei figli, per mezzo del quale ci si vuol procurare un plusvalore di vita dopo la morte.

«La storia del corpo che la Bibbia racconta – prosegue la studiosa – è quella di un continuo divenire, della libertà e dell’audacia che spesso ha portato a spostare le caratteristiche dell’identità di genere, pur di garantire un futuro alla famiglia, alla società e alla civiltà. Ma ha anche continuatamente cambiato gli schemi storici delle sue incarnazioni, seguendo le ragioni della sapienza e dello Spirito: la comunione, l’amore, il patto tra due e più».

La distanza e l’inclusività

«Ed è questa la vera distanza tra il pensiero biblico sul corpo e quello della cultura contemporanea – conclude Virgili –: quest’ultima è curiosa di vedere se sia possibile mutare i corpi delle persone allo scopo di una maggiore autonomia, al servizio dell’individuo, affinché possa emanciparsi da qualsiasi bisogno o legame con il corpo dell’altro. Ciò porta non solo alla morte di Dio, che è l’Altro per eccellenza, e alla morte del prossimo, ma anche alla morte dell’“umano”, così come la Bibbia lo concepisce. Essa, infatti, segue una direzione opposta, apre tutte le sue pagine ai mutamenti del corpo in vista della vita comune, dell’amore vicendevole, del riscatto dei poveri, della comunione tra le creature: “Per riconciliare tutte e due con Dio in un solo corpo” (Ef 2,16). La sua “umanità” è quella che tende all’“inclusività”, all’abbattimento dei muri, alla riconciliazione materiale e morale, alla resurrezione, alla costruzione di un “corpo” universale e di pace. In questa tensione il corpo si trasforma, poiché nella Parola dell’abbraccio esso trova la vita» (pp. 183-184).

Testo molto leggibile, anche se presenta talvolta un andamento non sempre facile da seguire nella sua sequenzialità. Tra riflessioni bibliche, spunti filosofici e rimandi attualizzanti trasversali all’intero tessuto biblico, esso si presenta in ogni caso come una miniera a cui attingere non solo per gli importanti principi ermeneutici affermati ma anche per le interessanti osservazione fatte sui singoli testi biblici.

  • Rosanna Virgili, Il corpo e la Parola. L’umano come processo nella Bibbia (Spiritualità biblica s.n.), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano BI 2020, pp. 100, € 20,00, ISBN 978-88-8227-570-9.
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