Il vangelo di Marco, ironia e arte

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Il Vangelo di Marco è il più breve e l’uso intensivo della liturgia vi ha sopperito con altre pagine di Giovanni. La lingua originaria è un greco comune non letterario e la successione di brevi racconti a scapito dall’insegnamento hanno favorito un giudizio meno apprezzato di questo Vangelo, almeno fino a qualche decennio fa.

Il Vangelo di Marco e le arti

Tale giudizio ha influito anche sull’arte, sui grandi musicisti, dei quali, solo Perosi ha musicato La Passione secondo Marco. È vero che Sebastian Bach compose una Passione secondo Marco, ma non poté mai eseguirla, perché non c’era occasione per eseguirla nella Settimana Santa. Pare poi che lo spartito sia stato smarrito.

Questa scarsa attenzione per il primo Vangelo è passata anche nella filmografia, che ha privilegiato il Vangelo di Matteo, con il quale si sono misurati anche grandi registi, come Pasolini e Rossellini.

Giovanni e Luca e Matteo hanno attratto tanti pittori nel rappresentare personaggi e scene di questi Vangeli: meno per Marco, con qualche eccezione di Caravaggio, come si vede nell’arresto di Gesù dipinto da Caravaggio. Il pittore compare a destra con una lanterna accesa.

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Una scena con la lampada accesa appare anche nell’aforisma 125 de La gaia scienza di Nietzsche, dove «L’uomo folle… accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!».

Apparentemente, Caravaggio e quell’uomo folle vogliono vedere Dio. Diversamente invece è la situazione dei discepoli in Marco, ai quali Gesù dice: Avete occhi e non vedete? (8,18). Per tutti e tre i casi, il vedere ha una portata enorme: l’uomo folle griderà “Dio è morto!”. Cercava Dio e, alla fine, non stringeva più niente.

Quell’ironia dell’aforisma nicciano, senza la tenerezza, diventò cinismo e il suo linguaggio diventò una continua decostruzione. Essa passò agli eredi dell’Europa: quasi tutti si ritenevano tali! Passò ai pittori con l’ironia concettuale, che derideva la possibilità di rappresentare la realtà. Passò alla poetica, al romanzo diventato «l’epopea del mondo abbandonato dagli dei»1 e al teatro dell’assurdo: «era la mistica negativa dei tempi senza dei»2. Tuttavia, «senza questo elemento ironico-riflessivo non si poteva evitare al romanzo di precipitare al livello della mera letteratura amena»3.

L’eredità del pensiero di Nietzsche è passata anche nella vita sociale e politica, negli effetti sugli Stati nazionali e sulla Chiesa stessa.

Dalla fine dell’Ottocento alcuni Stati si definirono laici, e ancora adesso la Francia ha dato inizio alle Olimpiadi con la messa in scena di Dioniso, richiamando esplicitamente Nietzsche.

In Italia, è nato anche il polo socialista e quello cattolico. L’effetto sul mondo “cattolico” è la chiusura in sé come un mondo culturale e religioso autosufficiente. Diotallevi descrive così quell’effetto: «le credenze e le movenze di quell’“Italia cattolica” che, quasi senza eccezioni, vaticano e italiano degli anni ’20 e ’30 del Novecento aveva creduto di poter edificare un po’ con il concorso del fascismo, un po’ insinuandosi nelle sue pieghe e sfruttando le sue debolezze. Quell’“Italia cattolica” fu impasto contraddittorio e fuorviante, ma effettivo»4.

Occorrerà aspettare la Gaudium et spes che esordisce affermando in modo solenne: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

Sono passati 140 anni e dalla pubblicazione de La gaia scienza con l’aforisma dell’uomo folle e, da allora, sono cambiate tante cose con la diffusione dell’ironia nicciana praticata.

In questi ultimi decenni tante voci, tra cui i canti di Vasco Rossi e di David Bowie, i film Quarto Potere di Orson Welles, Nodo alla gola di Alfred Hitchcock: il grido dell’uomo folle, che allora appariva una “sparata ironica”, oggi ci fa guardare come sarà questo mondo e come vorrà procedere la Chiesa.

L’ironia elegante di Gesù

Torniamo al Vangelo di Marco, come avevano fatto anzitutto gli altri tre evangelisti. Essi scorgevano la risorsa inedita del passaggio dal Kerygma alla narrazione5 e, in secondo luogo, la risorsa dell’ironia grazie alla quale incontrare situazioni paradossali, che creavano perplessità e domande ai discepoli. Seguendole, il lettore scopre che la narrazione scorre plausibile proprio per lo stile ironico di Gesù e per la ricerca dei discepoli e dei lettori, compresi gli altri tre evangelisti.

Percependo quello stile ironico, anch’essi lo usarono, applicandolo in varie situazioni e nel contrasto tra le parabole del Giudizio e della Misericordia,6 ma non nella quantità praticata da Marco. Anche oggi, senza questo elemento ironico-riflessivo, si può cadere ancora una volta solo nella “religione”.

Volevano fare re Gesù e i discepoli lo cercano e Gesù risponde, «Andiamocene altrove», lo processano e Gesù non si difende, lo insultano e lui tace. Crea silenzio attorno e svuota dentro chi legge il Vangelo e arriva a comprendere che andarsene altrove e tacere sono il modo per consentire l’attuazione della sua missione: riscatta gli altri e non salva sé stesso.

L’ironia di Gesù tiene assieme la «ruvida semplicità e tenera profondità nel gesto e nella parola, per far lievitare il lato patetico della contraddizione degli affetti e degli effetti della vita. Dura e tenera quanto deve essere, nello stile elegante del Figlio eterno, l’ironia denuncia gli aspiranti padreterni: è fantasiosa, brillante, diritta al bersaglio».7

Gesù era arrivato alla croce attraverso il suo stile ironico, grazie al quale è entrato nella vita di tante persone, i piccoli e i miracolati, i peccatori e i discepoli, i capi religiosi e i politici, creando in tutti stupore, a volte perplessità, tenerezza e distanza, silenzi e mugugni, fiducia e contrarietà.

Con tutti questi effetti, Gesù suscitava nei discepoli e nei personaggi minori, e oggi ancora nei lettori del Vangelo di Marco, una sensibilità spirituale, e in Caifa e Pilato a perdersi nei loro traffici politico-religiosi. Per far evolvere tale spiritualità, spesso, si allontanava, taceva, progressivamente metteva disposizione tutto sé stesso: «Questo è il mio corpo» (14,22), «Questo è il mio sangue» (14,24).

La creatività in questo tempo

Apprendere la pervasiva ironia della Parola biblica di Dio «è una risorsa strepitosa e altrettanto inedita»8 per il sapere umano.

Marco, con la sua forza dirompente, confonde i confini ben precisi già collaudati e fissati, generando nuove possibilità al pensiero. L’evangelista, infatti, attribuisce all’ironia la funzione di disporre la narrazione nel modo di indurre i discepoli – e poi i lettori – a interrompere l’interpretazione letterale per vagliare altri modi. In questo modo, tiene assieme la durezza e la tenerezza di Gesù, che, in realtà, sono il suo essere affettivo.

Come lettori, siamo i destinatari di questa ironia destabilizzante che ci mette in ricerca di possibili altre ricomposizione. Non bisogna, però, immaginare una trascrizione del vangelo di Marco, come un romanzo o una sorta di “commedia dell’arte”, ma cercare di praticare gli effetti dell’ironia, entrando nel circolo vitale dell’azione concreta nella quale l’uomo già esiste.

Il Vangelo di Marco oggi è un appello a una creatività che, sostanzialmente, non ha precedenti e noi dovremmo andarne orgogliosi. Proprio per questa via, il Vangelo di Marco ha materia per suscitare l’ispirazione dell’arte, anzitutto per la plausibilità e la praticabilità della fede maturata spiritualmente allo stile ironico di Gesù.

Analisi del quadro di Mombrini

Il quadro, in prima visione pubblica, è del pittore bergamasco Battista Mombrini, che lo ha dipinto con olio e acrilico su tavola 60 cm x 60 cm.

La tavola nella parte sinistra è brulla e sassosa ed evoca la morte in croce di Gesù. Qui, non casualmente, si fronteggiano, in primo piano, tre da una parte e tre dalla parte opposta, come se dovessero decidere qualcosa. Ciascuno ha una propria postura, come di chi dibatte animosamente e di chi sta seduto in attesa, di chi si avvia sul sentiero e di chi, guardando avanti con una pagnotta in mano, e di chi invita con il braccio destro a seguirli. Si percepisce una tensione che fa pensare a qualcosa di imminente.

In secondo piano, dietro a loro, c’è un giovane, che corre sbilanciato in avanti, mentre scende dalla gradinata del sepolcro, sorreggendo una luce intensa appesa a un filo.

L’opera ha colori più caldi sul lato sinistro, mentre il paesaggio a destra si distingue per più colori vivaci. C’è un solo personaggio presso lo specchio azzurro del lago di Tiberiade: è Gesù risorto in attesa, ritto in piedi con i segni ancora della sua morte. Le due parti sono attraversate dal percorso, che il giovane ha iniziato a percorrere.

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Il quadro è nato nel dialogo intenso avuto con il pittore e con il titolo che avevo già in mente: Sei personaggi in cerca del protagonista. Ci sono voluti alcuni mesi per arrivare ad abbozzare prima il disegno e poi altro tempo per dipingere l’opera.

Quando vidi l’opera ultimata mi prese lo stupore per come Mombrini abbia dato vita ai sei personaggi e per quella metafora visiva di una lampada accesa in pieno giorno: omaggio a Caravaggio o all’uomo folle? Il risultato fu incredibile per entrambi, non scritto nel Vangelo di Marco, il quale concluse con l’annuncio alle tre donne che Gesù è stato risuscitato.

Il dipinto coglie il momento successivo alla conclusione di quel Vangelo di Marco: è l’ora della prima generazione che ha letto il Vangelo ed è arrivata al battesimo. Quel giovane proteso in avanti evoca il giovane in bianche vesti fuggito nudo (Caravaggio lo fissa con una lanterna accesa), gridando all’arresto di Gesù, lo stesso che poi annuncia alle donne che Gesù era stato risuscitato.

I sei personaggi in primo piano rappresentano i cristiani battezzati di sempre, che, a differenza di quanti si convertono per abbracciare la fede cristiana, possono smarrire la fede e di nuovo mettersi a cercare il protagonista.

Vita spirituale dei battezzati

I sei personaggi rappresentano anche i cristiani d’oggi, già battezzati, che, per continuare a credere devono cercarlo, dedicandosi alla lettura di Marco, e degli altri tre Vangeli.

Come Caravaggio, guardano Gesù; essi, però, vivono in un’epoca diversa, dove la tensione decostruttrice diffusa, ha messo in un cambio d’epoca e non servono i piccoli ritocchi, ma dobbiamo ricominciare dall’abc, restituendo anzitutto al corpo scritturale della Parola dignità di venerazione e incanto di lettura, compresa l’ironia evangelica, che è risorsa strepitosa e altrettanto inedita.

In ogni modo si apre ora per i sei personaggi e per tutti, «non il kairos della ricostruzione del tempio che custodisce e conferma la sopravvivenza dei devoti: è il momento della illuminazione del tempo della promessa del riscatto che riaccende la creatura avvilita».9

Il battesimo non è il punto di arrivo e quindi la fine di ogni ricerca. Ma è il principio di una ricerca nel racconto di questa storia, il racconto del Vangelo. Siamo chiamati, da quell’istante particolare, a un itinerario continuo, a tener vivo la “fiamma spirituale” che porta quel giovane in vesti bianche in ricerca del Risorto.

Che cosa ha a che fare, allora, il Vangelo di Marco con l’arte?

Di sicuro, Marco non arriva all’interesse dell’arte per il suo linguaggio, il «greco comune del tempo (non letterario), con influssi derivanti dalle lingue semitiche».10 Ci potrebbe arrivare, semmai, per il suo stile ironico.

Questo Vangelo, come dicevo, è dotato di ironia fulminante11, «in grado di attivare la funzione poetica, creando una tensione tra identità e differenza per consentire alla realtà di essere raccontata di nuovo».12


1  Giuseppe Di Giacomo, “Ironia e romanzo”, al link https://www.atquerivista.it › uploads p. 137

2  Ivi

3  Ivi, p. 145

4  L. Diotallevi, “La fine del cristianesimo, religione degli italiani”, Avvenire, mercoledì 23 ottobre.

5  R. Vignolo, “Raccontare Gesù secondo i quattro Vangeli”, in “La figura di Gesù”, Glossa, 2005, pp. 169-170.

6  F. Manzi, “Parabole del Regno e della misericordia” in “E la vita del mondo che verrà”, Glossa, 2024, pp. 44-55.

7  P. Sequeri, “Iscrizione e rivelazione”, Queriniana, 2022, p. 240.

8  P. Sequeri, “Interlocutori creativi della Parola”, in “La rivista del clero italiano”, Gennaio 2022.

9  P. Sequeri, “Interlocutori creativi della Parola”, in “La rivista del clero italiano”, Gennaio 2022.

10  P. Mascilongo, “Il Vangelo di Marco”, Città Nuova, p. 15

11  R. Vignolo, “Raccontare Gesù secondo i quattro Vangeli”, in “La figura di Gesù”, Glossa, 2005, p. 184.

12  S. Gaburro, “L’ironia, «voce di sottile silenzio», San Paolo, 2013, p. 55.

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