Sembra di sentire la parola di un sacerdote cresciuto all’ombra di papa Francesco, un presbitero che ha assimilato a fondo il Giubileo della Misericordia. Invece, si tratta di un sacerdote profetico degli anni ’50 del secolo scorso, trattato non troppo bene dalla gerarchia ecclesiastica e dalla censura teologica (che si assommava a quella della dittatura fascista). Il curatore del volume, Mario Gnocchi, illustra ampiamente nell’introduzione (pp. 5-34) il lungo iter che ha portato solo nel 1974 alla pubblicazione completa di questo testo di Mazzolari, dopo edizioni parziali e/o censurate avvenute alla fine degli anni ‘50.
Il parroco di Bozzolo, «tromba dello Spirito in terra padana», è innamorato di Cristo, del suo cuore misericordioso e sensibile alla povertà dell’uomo che incontra. Mazzolari ama i racconti del vangelo e quelli posti in bocca ai suoi personaggi. In questo volume egli commenta l’incontro tra Gesù e Zaccheo a Gerico, sullo sfondo della parabola cosiddetta del «Figliol prodigo». Frasi taglienti. Frasi poetiche. Mescolanza ricca d’intertestualità che volteggia tra testi evangelici e preannunci storici e poetici del Primo Testamento.
Gesù misericordioso incontra il perduto, sulla strada di Gerico, «una città di piccoli tiranni e di favorite». Non accetta gli «omaggi improduttivi» di coloro che sono abituati a veder passare «fastosi cortei di chi paga i propri capricci col denaro altrui».
Sotto la penna di Mazzolari, il sicomoro si trasfigura nell’albero del giardino dell’Amato. Con la sua muta presenza Zaccheo invita a casa sua Gesù, che già si è autoinvitato a casa del perduto. Il mestiere di Zaccheo è uno fra i più spregevoli, ma non spaventa certo Gesù. Zaccheo è uno ricco, ma non satollo. È un nulla, anche se ha guadagnato il mondo. Il trascendente che è in lui lo costringe però a salire sull’albero, a veder passare colui che non è accreditato dalle banche.
Zaccheo sfida il ridicolo per vedere Gesù. «Che cos’ha quell’uomo, per rendere tanta gente allegra?… Ma costoro non vanno tutti per l’elemosina. Ebbene, qualche segno nell’aria, qualche parola… Oh, le avesse per me le parole che possono consolare? Se…! Perché non vado anch’io?… a quattr’occhi gli voglio parlare. Che cosa gli dirò? Ebbene, quello che, quello che…: sentirò cosa dice lui, quest’uomo».
Zaccheo non ha paura di Gesù che passa per la sua strada: «L’unico mio timore, ch’Egli passi senza che io lo veda, per colpa dei miei occhi “sonnolenti nella tristezza”…»; «una povera creatura vigila in attesa del Veniente, e già il cuore gli arde nel petto appena lo scorge nell’ondeggiare della folla».
Il pover’uomo riesce a vedere Gesù, accoglie con gioia l’autoinvito che egli gli rivolge. Sotto l’albero c’è un incrocio di sguardi. Gesù alza gli occhi e vede il perduto. «Io posso anche non vederlo il Signore: Lui mi vede sempre, non può non vedermi. Io posso scantonare, lui no. L’Amore si ferma e viene inchiodato dalla pietà. “E vedutolo, n’ebbe pietà”… Quando l’Amore si ferma davanti all’inamabile e in luogo d’inorridire si china, l’amore prende il nome di pietà». «La mia miseria ha legato la divina carità».
«Sono sempre due che s’aspettano: l’occhio e la luce, la sete e la sorgente, il fiume e il mare, Gesù e Zaccheo. Zaccheo attende sul sicomoro da un quarto d’ora: l’“aspettato delle genti” attende dall’eternità. Viene per attendere, il Veniente che viene sempre e aspetta che “ogni carne lo trovi”».
«La primavera è la pietà che passa sui campi e sugli alberi e li riveste di erbe, di foglie e di fiori. La speranza è la pietà che passa attraverso le tombe e scrive su ognuna: “Io sono la resurrezione e la vita: chi crede in me, anche se morto, vivrà”. “Mi basta un tuo sguardo. Guardami e taci”».
Gesù è colui che si ferma. «L’ospite è colui che si ferma… L’incarnazione non è il passaggio di Dio nell’uomo, ma è il suo rimanere nell’uomo». «Il Signore ha fretta perché Zaccheo ha fretta, la salvezza è una carità con pazienza infinita e fretta infinita, l’una e l’altra su misura dell’uomo».
Sfidando i «malcontenti», Gesù entra da Zaccheo. Questi gli “risponde”, senza che Gesù lo abbia interrogato. «A Zaccheo, che torna a casa, dopo un lungo smarrimento, il Signore concede l’onore delle armi». Gesù non umilia Zaccheo, che si pente e vede chiaramente la sua nuova strada.
«Chi non sbaglia è grande, ma chi riconosce i propri erramenti e si dispone a lasciarsi ‘portare’ da Colui che gode di poterlo riprendere fra le braccia, entra in un piano di grandezza, sconosciuta perfino agli Angeli». «La Sapienza è questa carità che cammina spedita e decisa verso la casa del peccatore: che resiste alla nostra ragionevolezza: che non prende misura da noi e rimane col cuore aperto, nonostante il nostro parere».
Lucido il giudizio del card. Martini: «Don Primo fu profeta coraggioso e obbediente, che fece del Vangelo il cuore del suo ministero. Capace di scrutare i segni dei tempi, condivise le sofferenze e le speranze della gente, amò i poveri, rispettò gli increduli, ricercò e amò i lontani, visse la tolleranza come imitazione dell’agire di Dio. Quello di Mazzolari è un messaggio prezioso anche per l’oggi».
Schegge di luce, di misericordia, di anticonformismo. Lamine di vangelo. Battiti di cuore di un pastore che ama, accoglie, dona gioia e cammini di vita. Proprio come fa il suo Signore, Colui che si ferma in casa, ricco di misericordia.
PRIMO MAZZOLARI, Zaccheo. Edizione critica a cura di MARIO GNOCCHI (Collana DON PRIMO MAZZOLARI diretta da Giorgio Vecchio a cura della Fondazione don Primo Mazzolar s.n.), EDB, Bologna 2019, pp. 152, € 10,00, ISBN 978-88-10-10957-1.