Dinnanzi a ciò che appare sbagliato – addirittura malvagio nelle situazioni interpersonali e sociali – molti di noi, in Brasile, accettano di percorrere cammini di conversione per affrontare i poteri egocentrici e politici che minacciano e violentano la Vita.
Questa attitudine nasce da contesti culturali e biografici vari e diversi: l’etica del “vivere bene” e della “terra senza male” dei vari popoli indigeni; la presenza degli “orixàs” che conducono al bene nelle spiritualità degli afrodiscendenti; la partecipazione amica degli “incantati e incantate” e il culto degli antenati nel mondo contadino; sono caratteri ancestrali che ispirano la vita e la lotta delle comunità originarie e tradizionali.
Non possiamo dimenticare il sorgere diffuso tra i più giovani di nuove attitudini etiche per tradurre in pratiche alternative la coscienza dell’innegabile crisi ecologica del pianeta Terra, delle relazioni interpersonali, sociali e politiche. Un’etica in processo di definizione che caratterizza minoranze importanti in tutto il mondo, ma che ha come implacabile nemico la convinzione, condita con ogni ipocrisia dei poteri politici ed economici, dell’impossibilità di fermare, con i discorsi, la macchina capitalista.
Nell’esperienza mia e di tanti altri, la percezione di ciò che è corretto e buono è un’eredità familiare: abbiamo interiorizzato gli insegnamenti materni e paterni che ci raccomandavano fin dall’infanzia che non ci è permesso uccidere, rubare e mentire. E che c’erano angeli a custodirci e diavoli a minacciarci. E, non da ultimo, un dio che ci osservava e controllava, pronto a castigarci o a premiarci.
Questo fu il punto di partenza di una prospettiva etica, fondata su principi e norme, divinamente stabilite, che avrebbero dovuto condurre i nostri comportamenti. Più tardi, avrei pure scoperto che, in ambito cattolico, è posta come vera l’esistenza di una legge naturale che, prescindendo da Gesù di Nazareth, orienterebbe tutti gli umani, di tutte le culture, a obbedire a ciò che è bene e a rifiutare ciò che è male.
Ho l’impressione che, nonostante alcune luci che permangono – a partire dall’Olocausto, dai Gulag e da una modernità impazzita – l’ethos cattolico tradizionale, frutto dei regimi di cristianità, insieme all’eredità protestante e ortodossa, sia stato spazzato via e che, al suo posto, prevalga l’assenza di una dimensione etica: perciò, in molte circostanze, dire etica è dire quasi niente. Questa impressione non nasce dalla lettura dei libri, ma dal quotidiano, in cui incontro persone, giovani e adulti, in cui prevalgono attitudini apparentemente anomiche.
Può darsi – lo desidero davvero – che mi stia sbagliando, ma anche nel mondo tradizionale contadino sono avvenuti cambiamenti radicali. Ricordo quando sbarcai in Brasile, trentacinque anni fa, e, incontrando un mondo completamente differente da quello in cui ero vissuto, ero obbligato a pormi numerose e difficili domande.
Una domanda era sull’etica dei contadini del Maranhão, che non assomigliavano neanche un poco ai miei nonni e zii contadini dell’Italia settentrionale. Fondata sul binomio onore-vergogna, l’etica del contadino tradizionale si reggeva su un unico treppiede: buon lavoratore, onesto amministratore del denaro, difensore dell’onore femminile e familiare (bom trabalhador, bom pagador, respeitador).
L’etica femminile riduceva le donne alla condizione di sottomesse, prudenti e silenziose domestiche, (do lar, recatada, obediente) confinate nella cucina, nel fondo della casa, perché la sala di ingresso e la strada erano spazi esclusivamente maschili: ampio svantaggio femminile, che sottolineava i principi patriarcali e maschilisti dominanti; inferiorità in parte superata però dalla pratica del protagonismo matrifocale delle donne contadine, dovuto anche all’assenza, statisticamente significativa, delle figure maritali e paterne.
Mi pare che questa etica, da tempo, non significhi assolutamente niente per le nuove generazioni brasiliane, in ambito urbano, ma pure nel mondo rurale.
Ma cosa esiste al suo posto? Con l’eccezione delle insorgenze indigene, quilombolas e contadine, tutte sostenute da forti ed esplicite spiritualità e alternative giovanili, forse è egemonica solamente la “Legge di Gérson”, che, fin dagli anni ’80, accompagna come rischio e tentazione le morali tradizionali: ottenere vantaggio, a tutti i costi, in tutte le circostanze, senza preoccuparsi di etica e di moralità, attitudine che sottomette le relazioni umane, interpersonali e politiche, al dominio di una reciprocità interessata e a ogni sorta di opportunismi. Come esempio, potremmo citare le scelte politiche nel 2022 della metà dell’elettorato brasiliano, completamente equivocato per quanto riguarda il Bene e la Verità.
Ed io, come ho fatto a sopravvivere eticamente al naufragio dell’etica cattolica? Era un ethos che, al massimo, poteva fare dei cattolici della gente con delle buone e sane abitudini, persone educate e civilizzate, ma senza la radicalità e l’entusiasmo del Vangelo.
Ho dovuto transitare da comportamenti direzionati da principi a una prassi inspirata dalle relazioni umane: è l’altro che modella il mio intimo e la mia risposta, a partire dal suo modo d’essere, con le sue caratteristiche e carismi unici, senza però tralasciare le antipatie, i limiti, gli errori e le scelte esistenziali e politiche dell’altro che considero inaccettabili. È un confronto che frequentemente si riverbera nel mio essere, evidenziando influenze inconsce, limiti, incapacità, egoismi e presunzioni da combattere e da correggere.
Quest’etica si fonda sulla compagnia della Parola del Vangelo che si fa sangue e carne del nostro quotidiano, ispirando fraternità e sororità. Lo stesso ethos è vivibile a partire dagli appelli drammatici di tutti gli esseri vivi, nostri fratelli e sorelle, e dal pianeta terra, la nostra casa comune. Un’etica macroecumenica di ascolto, di risposta, di responsabilità, di impegno politico, di speranza.