Walter Nanni – capo ufficio studi di Caritas Italiana – è tra i curatori del Rapporto 2022 su povertà ed esclusione sociale in Italia, “L’anello debole” (qui la versione integrale). Il servizio è curato da Giordano Cavallari in occasione della VI Giornata Mondiale dei poveri del 13 dicembre.
- Walter, partiamo dal titolo: perché l’anello debole?
L’immagine dell’anello debole, nella nostra lettura, rappresenta ciò che può accadere a ciascuno di noi e alle nostre famiglie quando vengono ad allentarsi i legami sociali e comunitari.
Il titolo viene dall’osservazione che il nostro Paese e le nostre comunità hanno attraversato un periodo di riscoperta delle relazioni umane fondamentali nella fase più acuta della pandemia, durante i ripetuti lockdown: abbiamo rivisto la forza buona del vicinato, l’aiuto reciproco, la ripresa significativa del volontariato organizzato.
Ma gli stessi criteri di osservazione ci portano ora a dire che siamo tornati alla situazione precedente: l’indicatore delle risorse di volontariato sta diminuendo e gli umori collettivi nei confronti dei poveri stanno peggiorando.
Come sempre, allora, gli anelli più deboli – i poveri – vanno rafforzati con un surplus di attenzione e di carità, impedendo che si rompano, così procurando una lacerazione in tutto l’intreccio sociale e comunitario.
- Vuoi presentare l’articolazione del Rapporto 2022?
Il Rapporto è suddiviso in 5 parti. Nella prima parte vengono illustrati i dati provenienti, come ogni anno, dai Centri di ascolto delle povertà della rete delle Caritas nel nostro Paese: questa è la parte più forte ed unica nel suo genere del nostro Rapporto ecclesiale.
Nella seconda parte o capitolo presentiamo i risultati di una ricerca quantitativa sulle povertà ereditarie intergenerazionali; per la prima volta abbiamo realizzato una indagine di questo tipo su un campione di persone frequentati i centri operativi delle Caritas italiane. Il terzo capitolo approfondisce l’aspetto precedente dal punto di vista qualitativo, spiegando perché i poveri continuano a divenire poveri, di generazione in generazione, se così si può dire.
Il quarto capito è dedicato ad una indagine realizzata con Caritas Europa e Don Bosco International riguardo al futuro professionale dei giovani europei – tra i 15 e i 18 anni – che hanno vissuto la stagione del Covid-19 con tutti i pesanti riflessi psicologici e formativi del caso. L’ultimo capitolo è quello rivolto alla politica italiana, con valutazioni sulla efficacia – e meno – degli attuali sistemi di assistenza e i conseguenti suggerimenti che Caritas è in grado di offrire.
Aumentano i poveri
- Alla presentazione del Rapporto il 17 ottobre scorso, i media hanno naturalmente dato grande rilievo all’incremento dei poveri in Italia. L’enfasi è giustificata?
Il dato ISTAT era già noto: nel 2022 la povertà assoluta ha toccato un record negativo nel nostro Paese. Le famiglie in fascia estrema risultano 1.960.000, pari al 10% circa della popolazione residente. La povertà assoluta colpisce soprattutto al sud e interessa soprattutto le famiglie numerose con minori: sono 1.400.000 i bambini e adolescenti che vivono in famiglie sotto la soglia della povertà assoluta.
Questi dati ufficiali – ormai noti – dicono che la povertà è cresciuta rispetto all’anno precedente: sia tra le famiglie italiane con anziani, anche se di poco, sia tra le famiglie straniere con 3-4 figli, in maniera molto forte.
A fronte di ciò, il rilievo fatto durante la presentazione è che le misure sociali applicate hanno funzionato in maniera parziale: il reddito di cittadinanza, ad esempio, ha raggiunto il 44% delle persone nella fascia della povertà assoluta, ma non le ha raggiunte tutte.
- I dati dei Centri di ascolto dei poveri confermano le tendenze?
Per il confronto e le valutazioni del caso, abbiamo utilizzato i dati dello stesso arco temporale 2021. Ma abbiamo altri dati – quelli sulla povertà intergenerazionale – che giungono sino alla primavera 2022.
I dati Caritas non solo confermano, bensì integrano i dati ISTAT, sostanziandoli dell’incontro personale con i poveri di cui si tratta e offendo quindi maggiori e più dettagliate informazioni.
I nostri dati sono raccolti da 192 diocesi su 218, da 2.800 Centri di ascolto delle povertà in tutto il territorio nazionale. Sono riferiti a 227.566 persone con cui sono stati fatti i colloqui, perché ciascuna situazione è documentata da una scheda anagrafica.
Rispetto all’anno precedente le persone che hanno attraversato le porte delle Caritas sono state il 7,7% in più. Considerando che ciascuna delle persone che ha chiesto aiuto vive, mediamente, con 2,5-3 familiari, possiamo dire che l’aiuto della Caritas abbia raggiunto circa 600.000 persone in grave stato di bisogno.
Il dato dei nuovi poveri – ossia di coloro che per la prima volta si sono rivolti ad un Centro della Caritas – è di per sé leggermente diminuito rispetto all’anno precedente, attestandosi al 42,3%. Ma l’anno precedente è stato quello del lockdown: non si tratta pertanto di un dato positivo, anzi…
Gli stranieri costituiscono più della metà dei frequentanti i Centri Caritas nel 2021: al nord d’Italia – nord-est e nord-ovest – raggiungono punte rispettivamente del 66 e 65%. Una delle ragioni di questo dato sta proprio nella applicazione della misura, di per sé, utile del reddito di cittadinanza, che tuttavia non raggiunge tutti gli stranieri a motivo di una serie di vincoli normativi. Sul dato degli stranieri si nota molto bene come un minor intervento dello stato e delle istituzioni si risolva in una maggiore ricerca di aiuto presso le chiese e le Caritas.
I nostri dati mettono bene in evidenza il basso livello di formazione delle persone in stato di povertà: incrementa infatti di 10 punti percentuali il dato di coloro che possiedono al massimo una licenza di scuola media inferiore, così raggiungendo il massimo del 70% dei frequentanti i nostri Centri. Chiaramente questo dato pesa molto negativamente sui percorsi di ricerca lavorativa ed emancipazione dal bisogno che Caritas incoraggia e promuove.
Le persone senza dimora costituiscono un nucleo importante delle frequentazioni. Possiamo stimare che circa la metà dei senza dimora in Italia si rivolga abitualmente alle Caritas. Nel 2021 sono state variamente accolte 24.000 persone senza dimora: un dato molto forte.
L’attività della Caritas
- Puoi accennare agli aiuti che le Caritas sono state in grado di offrire ai poveri di cui stiamo parlando?
Abbiamo provato a calcolare, sia pure approssimativamente, gli interventi di aiuto realizzati nel corso dell’anno e il corrispondente monetario: risulta il numero di 1.500.000 interventi ed un valore di 24 milioni di euro.
Tale valore non è unicamente attribuibile alle risorse ecclesiali perché beneficia delle contribuzioni pubbliche, specie dalle convenzioni realizzate con Enti locali. L’80% di questo valore, secondo le nostre stime, è andato in aiuti diretti a modo di sussidi alle famiglie, per pagare bollette, affitti, trasporti, iscrizioni scolastiche, libri per i figli, ecc.
- Qual è la distribuzione dell’età dei beneficiari?
L’età media dei frequentatori dei Centri di ascolto è 46 anni. Come detto, chi arriva ai nostri Centri ha spesso alle spalle una famiglia con minori che abbassano i livelli di età dei fruitori.
Guardando ai valori assoluti, abbiamo notato tuttavia quest’anno un incremento di 5.000 unità di persone anziane over 65. L’abbiamo notato perché l’anziano appartiene ad una categoria in qualche modo protetta dalla previdenza e dalla assistenza pubblica, oltre che solitamente restia, per ragioni culturali, a rivolgersi alla Caritas. Perciò questo incremento preoccupa. Viene da sé: i redditi fissi – modesti – restano tali, mentre il costo della vita incrementa.
- I dati Caritas relativi al 2021 rilevano già il caro-bollette che sta angustiando attualmente?
I dati del 2021 non arrivano a comprendere il caro-bollette scoppiato nel 2022. Ma per questo abbiamo realizzato uno studio ad hoc compreso nel Rapporto, a campione, nella diocesi di Potenza, sino a giugno 2022.
Questo studio dice che, almeno sino a quel momento, non era aumentato di molto il numero di persone richiedenti aiuto a motivo del caro-bollette, mentre era già significativamente aumentata l’entità delle bollette portate ai Centri di ascolto dalle stesse persone e situazioni familiari già note. Il campanello d’allarme era già suonato. Ora stiamo cercando di seguire questa situazione – quasi in tempo reale – attraverso un campione di 60 Caritas diocesane. Il forte incremento delle bollette è segnalato dal 30% delle Caritas sinora intervistate.
- L’accoglienza dei profughi dall’Ucraina entra nel Rapporto 2022?
Direi che non entra, sia per ragioni temporali, sia perché sulla accoglienza dei profughi ucraini sono intervenuti finanziamenti diretti della Conferenza episcopale italiana alle diocesi, sia consistenti contributi di settori privati, oltre che dallo Stato e dagli Enti locali.
Welfare: assistenza e supporto
- Qual è l’analisi del welfare italiano contenuta nel Rapporto?
I dati dicono, da anni, che il welfare italiano è maturato. È arrivata, ancorché recentemente, pure l’attesa definizione dei Livelli essenziali di assistenza sociale. La discussa misura del reddito di cittadinanza c’è, ed ha raggiunto, come dicevo, una buona fetta di situazioni di effettiva e grave povertà.
Detto questo, non possiamo che rilevare quanto l’assetto della assistenza nel nostro Paese sia frammentario e confuso. Abbiamo contato tutti gli atti legislativi di carattere assistenziale collezionati nel nostro Paese negli ultimi due anni: 896, ossia 31 provvedimenti al mese in media per misure di sostegno sanitario-sociale emanati da soggetti diversi, tra Stato, Regioni ed Enti locali, specie grandi Comuni. Si è rivelata una giungla di bonus e di benefit in cui anche gli specialisti fanno fatica a raccapezzarsi; figuriamoci i cittadini poveri.
Per questa ragione è divenuto sempre più importante il lavoro che gli operatori dei Centri di ascolto sanno realizzare con i patronati e gli sportelli sindacali per riuscire ad assicurare agli assistiti l’esigibilità dei diritti.
- Vuoi dire del reddito di cittadinanza, oggetto dell’attuale confronto politico? Come ne pensa ‘Caritas’?
Sicuramente il reddito di cittadinanza è la misura sociale più importante presa in ordine alla povertà assoluta. Ha raggiunto un assistito su cinque nei percorsi Caritas. È dunque una leggenda da sfatare quella che ritiene che tutti i frequentatori delle Caritas beneficino anche del reddito di cittadinanza; quando questo avviene, peraltro, gli operatori lo sanno e naturalmente ne tengono conto.
Perché il reddito non raggiunge tutti i poveri? Perché ci sono i limiti normativi a cui ho accennato a proposito degli stranieri: questi, se non possiedono il requisito di 10 anni di residenza ininterrotta in Italia, ad esempio, non vi possono accedere. Il reddito poi, di fatto, privilegia le famiglie piccole rispetto alle numerose (per effetto di scale di equivalenza non giustamente proporzionate) e non tiene affatto conto dei divari di spesa delle famiglie tra nord, centro e sud Italia.
Perciò, prossimamente, pubblicheremo un rapporto di monitoraggio delle misure di contrasto delle povertà – a partire dal reddito di cittadinanza – con nostre proposte di correzione, affinché possa includere persone e famiglie che sicuramente si trovano al disotto della soglia di povertà assoluta.
- Il reddito di cittadinanza andrebbe dunque riformato, non abolito?
Secondo noi, andrebbe conservato per sostenere le situazioni di vera emergenza sociale. Per questo vanno rivisti alcuni meccanismi. Bisogna smontare la polemica sui fannulloni, sganciando la misura del reddito minimo dalle politiche attive del lavoro. Abbiamo visto che è difficile che una stessa misura possa funzionare sul lato della estrema indigenza e, nel mentre, della riattivazione lavorativa: sono due capitoli diversi anche se, naturalmente, collegati e da coordinare.
Soprattutto, lo strumento sociale dovrebbe essere ricondotto alle assistenti o agli assistenti sociali comunali – in grado di seguire da vicino le situazioni di difficoltà -, come è stato del resto col Sostegno per l’inclusione attiva (SIA). Il reddito di cittadinanza andrebbe trasformato in reddito di ultima istanza, in maniera da poter raggiungere – in prima battuta – tutte le situazioni di estrema difficoltà, ripristinando poi, quando possibile, le condizioni per la ricerca attiva del lavoro. Questa è la nostra posizione.
Le domande
- Le persone che attraversano le porte degli ambienti ecclesiali della Caritas, al di là degli aiuti immediati, che cosa chiedono?
L’atteggiamento delle persone è evidentemente, troppo spesso, condizionato dallo stato di necessità immediata. L’urgenza – si sa – fa passare in secondo piano tutto il resto. Eppure, è proprio tutto il resto a determinare la necessità impellente.
Il proposito dell’operatore Caritas è sempre quello di entrare in relazione – attraverso l’ascolto appunto – sino ad affiancarsi alla persona nei suoi livelli discernimento. Per questo, certamente non basta un solo colloquio: serve tempo, oltre ad esperienza e a tanta empatia.
Quella dell’operatore del Centro di ascolto delle povertà è una vera e propria professionalità, oltre che una vocazione e un carisma specifico ecclesiale: abbisogna di una continua formazione e per questo ci dobbiamo, sempre più, attrezzarci.
- Qual è il messaggio o l’appello che viene dai poveri alla Chiesa, anche attraverso i dati del Rapporto?
Penso possiamo tornare al significato del titolo del Rapporto: l’anello debole chiede di restare saldo, accanto ad altri anelli, per non cedere, ovvero le persone in difficoltà, più o meno esplicitamente, chiedono legami con comunità che siano al loro fianco, per non lasciarsi andare.
I dati del Rapporto, come sempre, sono rivolti ai media e all’opinione pubblica, ma anche alle stesse comunità cristiane, a ciascuna con i propri poveri. Il limite delle nostre comunità parrocchiali, per quanto generose, è sempre quello della elargizione per delega, mentre l’ideale cristiano è il farsi carico gli uni degli altri o il farsi prossimo con qualcosa di più dei propri beni, del proprio tempo, del superfluo.
I poveri – anche questo da sempre – chiedono poi, silenziosamente, di essere messi un po’ più al centro delle attenzioni comunitarie, parrocchiali ed ecclesiali in genere. La Chiesa sta vivendo il suo grande Sinodo: perché non cogliere l’occasione per far partecipare i poveri alla mensa sinodale, oltre che alla mensa della Caritas, magari in maniera permanente?