Ai confini fra Bielorussia e Polonia si consuma l’ennesimo episodio della spinta migratoria che assomma i drammi umani di persone, famiglie e bambini con gli interessi della dittatura di Lukashenko (vuole soldi dall’UE), della Russia (mettere in difficoltà la Polonia filo-Ucraina) e dell’Unione Europea, colpita nei suoi valori di riferimento. Con qualche increspamento nel contesto globale dove gli USA puntano oggi a rafforzare l’UE e a coinvolgere la Russia in funzione anti-cinese.
La complessità umana e politica dei processi migratori viene affrontata con significativa profondità teologica e spirituale da un documento uscito in Germania il 21 ottobre 2021 dal titolo Gestire la migrazione a misura d’uomo (Migration menschenwürdig gestalten). Sono 225 pagine (il n. 27 dei Gemeinsame Texte) distribuiti in 6 capitoli. È un documento comune alla Chiesa cattolica e alle Chiese evangeliche (EKD).
Per la prima volta sono state coinvolte le Chiese ortodosse, rappresentate dal Gruppo di lavoro delle Chiese cristiane in Germania. Sullo stesso argomento era stato edito un documento ecumenico nel 1997.
Siamo società di migrazione
Le Chiese perseguono un aggiornamento sullo sviluppo e i cambiamenti nell’ambito dell’emigrazione e dei flussi di popolazione con una presentazione della complessa realtà del fenomeno. Le riflessioni bibliche e teologiche si accompagnano a quelle etiche, sociali ed ecclesiali per orientare i comportamenti delle Chiese. Tentano di rispondere all’interrogativo: come gestire un fenomeno con aspetti faticosi e talora aspramente conflittivi in una modalità che renda giustizia alla dignità umana.
Dopo l’introduzione, i capitoli portano questi titoli: Vivere in una società di migrazione. Sviluppi e dibattiti; Chiesa: scolpita dalle migrazioni; La migrazione come tema centrale della fede cristiana: prospettive biblico-teologiche; Orientamenti di etica sociale; Riferimenti politici e giuridici.
Negli ultimi due decenni la società tedesca ed europea si è percepita sempre più come terreno di immigrazione. Provocando nuove forme legislative, nuove disposizioni relative ai diritti di cittadinanza e dei riconoscimenti dei titoli di studio e lavoro. Per la Germania si è aperto il dialogo in particolare con l’immigrazione islamica. È stato il grande flusso degli anni 2015-16 a stimolare nel paese il tema dell’accoglienza e dell’immigrazione, anche nell’ambito delle Chiese. Si è dovuto perseguire e formare il consenso sociale, senza poter evitare scontri anche violenti. È rimasto chiaro il rifiuto di ogni razzismo e il pericolo costituito dell’estrema destra per l’insieme della società liberale e aperta.
La tematica migratoria interferisce e alimenta molti aspetti del vivere civile: dalla sicurezza sociale all’economia, dalle tensioni etniche al benessere comune. Riemerge il tema dei confini (statuali e europei) e l’urgenza di una cultura del confronto. Nel mondo globalizzato non migrano solo i beni e le conoscenze, ma anche le persone e i loro diritti. In ogni caso, non ci sono soluzioni facili per nessuno.
Il cristianesimo nasce dalle migrazioni
La storia del cristianesimo e delle diverse confessioni mostra che la Chiesa si definisce fin dal principio grazie alle migrazioni. La pluralità è stata la normale forma di partenza. Il cristianesimo è da sempre policentrico. La fede ha attraversato molti confini linguistici, culturali e politici. Talora, come nel caso del colonialismo, pagando ambiguità rilevanti. Oltre la metà della popolazione tedesca è cristiana e ha alle sue spalle una storia di immigrazione transnazionale.
L’integrazione con le comunità locali è avvenuta per vie diverse. Le differenti ecclesiologie e appartenenze confessionali si riflettono nelle prassi pastorali. Nella prospettiva cattolica le migrazioni sono un segno dei tempi, una sfida alla costruzione di una rinnovata umanità, all’altezza del Vangelo della pace. Il senso salvifico della fede si traduce nel riconoscimento e costruzione di società culturalmente pluralistiche che abbiano a cuore il bene comune globale. La formazione alla globalità, al superamento delle diseguaglianze non ha impedito di riconoscere le singole comunità linguistiche (le missioni) come parte dell’unica pastorale diocesana.
Nella tradizione ortodossa si parla del Figlio che «migra» dal Padre come straniero fra gli uomini. Il venerdì santo nella tradizione bizantina si canta Gesù come lo straniero. L’essere straniero è nella coscienza credente prima di essere una situazione concreta per alcuni. Negli ultimi decenni l’immigrazione ha alimentato le comunità ortodosse che registrano, oltre i trasferimenti a Occidente, anche quelli fra stati di tradizione ortodossa. Nel mondo globalizzato la diversità di lingue, culture e società mette alla prova i valori di riferimento e spinge a un rinnovamento sia personale-spirituale sia teologico. Le comunità della diaspora sono state e sono creative rispetto alle Chiese madri (il caso più evidente è quello francese rispetto alla tradizione russa), ma sono distanti dall’essere e sentirsi Chiese ortodosse in Occidente con una propria identità, unità e una sola gerarchia. Un piccolo segnale è la formazione di organismi comuni fra i gerarchi presenti nello stesso territorio nazionale, come è successo per la Germania.
Nella pluralistica tradizione del protestantesimo sia storico che nelle nuove «comunità libere» l’accento posto sul singolo non ha mai tolto il riferimento all’insieme alla «Chiesa invisibile». Il concetto di «comunità ecclesiale straniera» è rapidamente diventato «Chiesa dell’immigrazione» e più recentemente «Chiesa interculturale». Esse ricordano a tutti la dimensione universale dell’Evangelo. Un lavoro costante di collegamento ha portato a orientamenti comuni, a strumenti formativi condivisi, a percorsi ecumenici promettenti, favorendo una dimensione sovraconfessionale.
Bibbia: racconti di migrazioni
Da un punto di vista biblico e teologico le migrazioni sono un tema centrale della fede. Fuga ed espulsione, sedentarietà e partenza, diversità e convivenza, pellegrinaggio e residenza, esilio e asilo: sono le condizioni da cui sono nate moltissime pagine bibliche. Ancora oggi l’esperienza del migrante muove le dimensioni e gli interrogativi più profondi: cos’è l’uomo, quale la bellezza della vita, come vivere nella diversità, dov’è la patria?
Tre i principi guida dell’etica migratoria: la dignità umana, il rapporto fra individuo e società, la prospettiva del bene comune. Elementi che vengono sollecitati dalla dimensione globale del vivere con la conseguente insufficienza della politica migratoria nazionale.
Lo stato è una realtà viva, chiamata ad apprendere i propri compiti sociali. L’emigrazione è uno dei terreni più fecondi. C’è un necessario bilanciamento fra le esigenze dell’individuo e quello della società così come nella prospettiva del bene comune si deve perseguire quello locale e nazionale assieme a quello globale. L’ethos biblico e il comandamento dell’amore sono riferimenti importanti per tutti, legislatori e cittadini. Prevenire l’emigrazione forzata è imperativo: nessuno dovrebbe essere costretto ad emigrare e tutti dovrebbero essere liberi di farlo. La migrazione obbligata o guidata dalla sopravvivenza va superata.
Più direttamente legata al compito legislativo è la dimensione dei diritti e dei doveri. Cosa significano oggi i diritti umani per tutti, come regolare l’ingresso e la residenza, quale assicurazione sanitaria? E ancora: chi può decidere chi può restare e chi no, quali sono le conseguenze che le decisioni relative ai migranti hanno nella società di origine? La Convenzione di Ginevra (nessuno può essere rimandato indietro se la sua vita o libertà sono in pericolo) e il Global Refugee Compact (2018) sono di riferimento.
Il complesso rapporto fra migrazione e sviluppo richiede un dibattito globale e olistico. È un grande risultato quello ottenuto dentro l’Unione Europea, e cioè la possibilità di spostarsi liberamente fra gli stati. Mentre è più deludente la politica europea comune in materia di asilo e il coordinamento fra gli stati per la regolazione delle entrate dei migranti. La forte crescita delle immigrazioni a partire dal 2013 ha creato situazioni difficili e disumane ai confini dell’Unione. È da affinare per tutti il tema dell’integrazione, della partecipazione e del riconoscimento sociale dei migranti. Regole di accesso differenziato sono possibili, ma solo se non offendono i diritti fondamentali. Un ruolo importante è quello dello stato sociale e delle sue provvidenze.
Compito globale
Le Chiese hanno avuto un compito fondamentale per facilitare i processi di integrazione e ancora oggi le radici bibliche e teologiche come le esperienze pratiche vanno in tal senso. Sono chiamate in particolare ad accompagnare i rifugiati cristiani, ad opporsi a tutte le correnti razziste e xenofobe, a rivendicare la libertà religiosa per tutti, a tutelare con generosità la libertà religiosa davanti alle pretese laiciste.
E inoltre la loro sensibilità suggerisce un’attenzione precipua alle famiglie, all’accoglienza dei minori non accompagnati, a favorire il superamento del lavoro privo di dignità e il diritto allo studio. Va tenuto vivo il diritto di asilo nelle chiese come ultima ratio per chi è in pericolo di vita.
Fra le ultime raccomandazioni si legge: il diritto internazionale prevede il salvataggio di persone in pericolo in mare. Se questo non è perseguito dalle istituzioni pubbliche è necessario l’intervento delle forze civili. Le Chiese sostengono le iniziative di salvataggio e si esprimono contro i tentativi politici di impedirlo. E infine: le Chiese continueranno anche in futuro a sostenere che la dignità umana per quanti cercano sicurezza, per uomini e donne migranti, va gestita come un compito globale.