Il titolo originale Theatre of life del documentario Il refettorio è decisamente più incisivo, per il fatto che il protagonista della pellicola è un vecchio teatro nel quartiere Greco di Milano, dismesso da anni e trasformato in un confortevole e luminoso refettorio per senzatetto in occasione di Expo 2015. Nel docu-film il regista Peter Svatek narra un inaspettato quanto importante retroscena verificatosi durante i mesi della manifestazione su iniziativa dello chef Massimo Bottura (la cui “Osteria Francescana” di Modena è stata premiata come miglior ristorante del mondo nel 2016). In realtà il Refettorio è un progetto di portata più ampia, non solo perché è proseguito anche dopo la fine dell’Expo, ma anche perchè ha voluto lanciare un messaggio chiaro e autorevole contro il grave problema sociale e ambientale legato allo spreco di cibo.
Lo chef Bottura racconta di come sia riuscito a coinvolgere circa 60 famosi cuochi provenienti da ogni parte del mondo (tra cui Ferran Adrià, Alain Ducasse, Gaston Acurio), con l’obiettivo di trasformare ogni giorno il cibo di scarto proveniente dai vari padiglioni in piatti semplici e nutrienti ma al contempo gustosi e curati. Nelle mani di questi chef, impastate di creatività ed esperienza, alimenti come pane raffermo, farina, scarti di frutta e verdura, latte vicino alla scadenza, anziché finire nella spazzatura sono diventati nuove e preziose materie prime.
È stata principalmente l’esigenza di unire l’etica all’estetica, spiega Bottura, a guidare l’intera esperienza del Refettorio, affinché l’ambiente diventasse uno spazio per nutrire il corpo e anche l’anima. La realizzazione della sala mensa ha visto il contributo di noti designer, artisti, aziende di arredo milanesi che hanno donato risorse intellettuali e materiali per allestirla con gusto e stile.
Il Refettorio nel docu-film diventa anche un crocevia di storie con trascorsi difficili, quasi indicibili, un luogo di comunità e incontro. Consente di raccontare esperienze di vite dolorose, come quello di Fatou e Christiana, due ragazze del Centro Sammartini per donne rifugiate, o di Fawaz, di origine giordana, che non è riuscito a terminare gli studi e per una serie di sfortunate coincidenze si è trovato senza casa né cibo. Aprono e chiudono la pellicola Stefi e Marco, due senzatetto che trascorrono giorno e notte nella stazione di Milano costruendo qualche braccialetto e intonando a modo loro canzoni di Bob Dylan.
Presenza di sfondo nel documentario – ma fondamentale nella concretizzazione del progetto – è quella di un prete, don Giuliano, che ha unito la particolare “offerta” dei noti chef alla domanda urgente di emarginati e indigenti. Assieme ai commensali prende il pane, l’oro di questa cucina, lo spezza, lo condivide. E in questo senso il film di Svatek può rappresentare un messaggio di misericordia: mostrando la realizzazione di un servizio mensa, fa trasparire anche come talvolta, con persone private di tutto, sia più facile comunicare con le azioni che con il dialogo.
Per le proiezioni: contattare la distribuzione Wanted (info@justwanted.it).