Misericordia non significa scappare dal dolore, dalle ingiustizie e dalle molteplici sofferenze del nostro tempo ma renderle occasioni di speranza e di salvezza attraverso l’amore cristiano. In qualsiasi opera di misericordia, è la persona umana, nella sua dignità e nella sua integrità, il punto di partenza e il fine dell’azione della Chiesa. Ma anche nell’esercizio della misericordia, non basta il gesto occasionale che spesso è frutto dell’emozione cangiante e porta alla delega deresponsabilizzante. All’opera di misericordia è chiamato ogni cristiano e tutta la comunità cristiana, anzi l’intera umanità! Per realizzarla bisogna sapere anche educare, condividere e testimoniare: è quanto i partecipanti all’incontro CCEE di Sarajevo hanno espresso nella loro quattro giorni di lavoro (15-18 settembre).
Attenzione alla persona
Proseguendo un cammino avviato insieme a diversi organismi cattolici europei (Caritas Europa, Comece, Commissione Giustizia e Pace Europa, FEAMC, ICMC, ICCPPC, FEBA, UNIAPAC), la Commissione CCEE Caritas in veritate, in collaborazione con la Conferenza episcopale della Bosnia-Erzegovina, ha promosso un incontro tra quanti in Europa sono protagonisti delle Opere di misericordia. È stata anche l’occasione per una riflessione sull’urgenza, l’attualità della misericordia oggi in Europa e le diverse forme d’impegno della Chiesa.
I lavori hanno visto diversi momenti di riflessione e di testimonianza che hanno mostrato come, al centro dell’azione della Chiesa, sta la persona umana. Non è ad un individuo anonimo, ma è alla persona, nel limite del suo essere creatura sempre bisognosa di relazioni non solo umane e di sperimentare l’amore di Dio, verso cui si china la Chiesa quando dà da mangiare attraverso il Banco alimentare, quando visita i carceri, quando accoglie il migrante o il rifugiato, quando cura e visita l’ammalato, quando seppellisce i defunti, quando difende il lavoro dignitoso o porta nel mondo della politica il ricco patrimonio della dottrina sociale della Chiesa.
Dalle numerose attività messe in campo da questi organismi ecclesiali emerge un senso di gratitudine e di viva speranza per l’audacia creativa e la capacità innovativa con cui affrontano le varie forme di povertà.
Attraverso le Opere di misericordia, la Chiesa cattolica in Europa educa al senso della sofferenza umana, che riconosce e apprezza il valore di ogni singola vita ed evita lo scarto delle persone.
Allo stesso tempo, i partecipanti hanno rilevato alcuni fenomeni che interpellano la Chiesa e l’intera società in Europa.
In un tempo di grandi sfide, appare quanto mai urgente ridare speranza all’Europa. Questo è possibile attraverso una presenza che viva un amore cristiano evangelizzato che non si riduce a puro sentimentalismo.
L’impegno nasce dalla fede
I partecipanti hanno più volte rilevato come la privatizzazione della fede nei Paesi secolarizzati ha spesso portato ad una frattura tra le opere di misericordia spirituali e quelle materiali, in quanto le opere «materiali», percepite come espressione pubblica della propria fede, non vengono sempre ben accolte dalle istituzioni secolari. Non di rado, infatti, l’apparato giuridico e amministrativo messo in campo dai Governi in Europa, pur apprezzando l’immenso servizio che le varie organizzazioni ecclesiali rendono all’intera società, sembrano voler ridurre l’impegno cristiano a mera filantropia privandolo del suo riferimento religioso. La moltiplicazione, la diversità e il peso dell’apparato giuridico e amministrativo rendono oggi difficile gestire la solidarietà.
Con il tempo, tutti questi elementi hanno portato ad una separazione tra «l’atto», che nasce dalla fede, e l’annuncio cristiano: a volte sembra che sia possibile fare del bene solo rinunciando all’annuncio della parola di Gesù.
Se la Chiesa condanna decisamente un’attività caritatevole subordinata e motivata dal mero proselitismo, ricorda tuttavia che, per il cristiano, non è possibile separare le opere dalla propria fede, in quanto è proprio la persona di Cristo ad esserne fonte e sostegno.
Nel suo messaggio ai partecipanti, papa Francesco ha ricordato il bisogno di «contribuire alla rinascita dell’Europa» e a sognare «un nuovo umanesimo europeo», incoraggiando i «rappresentanti dell’episcopato europeo a coinvolgere sempre più le comunità e le diverse realtà caritative e assistenziali nell’impegno di annunciare il Vangelo a quanti hanno smarrito per varie cause l’orientamento della loro vita». Solo così la Chiesa può «essere una madre generatrice di processi, quindi feconda, perché rispetta la vita e offre speranze di vita».
Coinvolgere le comunità
A Sarajevo, i responsabili degli organismi ecclesiali hanno anche ricordato come, di fronte alle varie forme di “povertà”, materiali e spirituali, sia necessario non solo rispondere all’urgenza dettata dalla sofferenza, fornendo un servizio o una presenza che possa alleviare il dolore del momento, ma ancor di più a lavorare insieme alla persona in difficoltà, impegnando l’intera comunità e confrontandosi su queste povertà. Le molte testimonianze portate in questi giorni hanno fatto vedere come le Opere di misericordia sono interconnesse.
È pertanto auspicabile che i diversi organismi ecclesiali possano continuare a sostenersi a vicenda e sviluppare nuove forme di collaborazione. Infatti, è assolutamente necessario che, laddove interviene un organismo ecclesiale, sia l’intera comunità cristiana a sentirsi interpellata.
Una giusta comunicazione dovrà poi promuovere una presa di coscienza che tocca l’intera umanità. Infatti, di fronte alla sofferenza dell’umanità, non esiste nessuna barriera religiosa o politica: «tutti dobbiamo sentirci corresponsabili del benessere dell’altro», hanno detto i partecipanti.
La “Scuola per l’Europa”
Infine, a Sarajevo, città emblematica del nostro tempo per le molteplici sofferenze subìte e le ferite ancora aperte da un conflitto durato anni e da accordi – quali quelli di Dayton – che stanno favorendo una politica dell’inerzia e discriminatoria su base etnica, la misericordia della Chiesa è manifestata da numerose opere, come quella della Scuola per l’Europa – una delle sei opere di misericordia visitate dai partecipanti – aperta durante il conflitto, per testimoniare che la guerra non era una necessità, né la separazione etnica una fatalità, ma che la convivenza pacifica era ed è sempre possibile.