Minori stranieri: accoglienza da ripensare

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presepe

«Non c’era posto per loro» (Lc 2,7)

Al 30 settembre 2022, se si escludono i minori non accompagnati ucrani che non sono stati accolti nelle comunità di accoglienza, i dati del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali indicano che sono arrivati in Italia circa 10.000 nuovi Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA). In tutto il corso del 2016, l’anno in cui iniziarono gli sbarchi attraverso il canale di Sicilia, i nuovi ingressi furono 26.000.

Sistema al collasso

Nonostante i numeri in riduzione, le regioni del Nord Italia sono al collasso nell’accoglienza dei minori. Non ci sono più posti nelle comunità. In comuni come Modena, o Bologna, arrivano mediamente circa 2-3 nuovi minori stranieri ogni giorno. Nemmeno i posti in albergo attivati in modo emergenziale sono più sufficienti. Si tratta di un flusso interno. I minori giungono dalle comunità di primo arrivo, site di solito nelle regioni del Sud Italia, spingendosi verso territori più «appetibili». Il più delle volte attraverso un passaparola tra i minori stessi.

In nome della minore età di questi giovani stranieri, che obbliga i comuni all’accoglienza, il sistema è al collasso, nonostante in molte comunità si ecceda la capienza autorizzata. Così si finisce per cercare soluzioni che tante volte appaiono inappropriate. Sappiamo bene, infatti, che non è dignitosa la collocazione dei minori in una stanza di albergo, magari con un supporto educativo di qualche ora, perché si tratta di una modalità incapace di rispondere ai reali bisogni che questi giovani portano. E in questo modo non facciamo nemmeno il loro bene.

Dal 2016 a oggi è cambiata notevolmente la provenienza dei minori: oggi vengono da Tunisia, Marocco, Egitto, Pakistan, Bangladesh e Albania. Il flusso dall’Africa centrale è sensibilmente diminuito. Sono persone che necessitano di molta più attenzione rispetto al passato. Per alcune provenienze, lo «stigma» e il pregiudizio sociale − tante volte anche a ragione − finisce per essere un freno all’accoglienza nella società.

Anche le famiglie, che avevano offerto tante disponibilità durante il recente arrivo dei profughi ucraini, non trovano più un appeal sufficiente a rimanere disponibili all’accoglienza. Va detto, infatti, che molti minori stranieri arrivano oggi da contesti familiari e sociali problematici e degradati, dove la trasgressione è la regola. Questo domanda un intervento di accoglienza principalmente volto all’integrazione, il quale può passare solo attraverso l’acquisizione di competenze spendibili rapidamente in un’attività lavorativa. Cosa, dobbiamo dirlo, che l’attuale contesto normativo rende di fatto impraticabile. Per questa tipologia di minori, il rischio di esser risucchiati da reti che esercitano attività illegali è molto alto, con l’effetto di demotivare anche coloro che sarebbero portatori di un progetto di inserimento personale positivo.

Disillusione

Più che nel passato, tra i ragazzi che accogliamo notiamo l’assenza di prospettive o desideri verso il futuro, come se la fatica della vita li avesse già provati e disillusi. Alcuni di loro non sembrano molto interessati a ciò che può offrire loro l’accoglienza e stanno in comunità solo per opportunismo, puntando ad ottenere al termine del percorso (18 anni) il permesso di soggiorno, che consentirà loro di continuare a soggiornare regolarmente in Italia.

A questa situazione, che già rende complessa l’accoglienza, va aggiunta la forte riduzione di proposte formative finalizzate all’apprendimento di mestieri artigianali. I Centri di Formazione Professionale sono saturi di giovani italiani, o di seconda generazione, i quali faticano a «tenere» nelle proposte formative più alte. Fanno di conseguenza fatica a dare risposta alle richieste che arrivano dalle comunità per minori stranieri.

Anche i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA) non hanno posti sufficienti per soddisfare le richieste di inserimento di minori stranieri. Così tanti di loro si trovano a passare gran parte del tempo in casa, usufruendo dell’alfabetizzazione interna offerta dalle comunità, e facendo poco altro. In questo modo “disperdono” il tempo utile, a volte molto poco, prima del compimento della maggiore età, senza essere impegnati in progetti finalizzati all’integrazione, con il rischio di annoiarsi, litigare con minori di altre etnie, oppure di entrare in circuiti devianti.

Non dobbiamo dimenticare che l’Italia ha bisogno di questi nuovi cittadini per mantenere l’attuale assetto sociale: i dati ISTAT del 2021 infatti parlano di un paese con un tasso di decrescita altissimo. Mancano operai da inserire in professioni che gli italiani non vogliono più fare.

In questo sistema, senza riferimenti chiari, la situazione diviene alla fine contraddittoria anche per il personale educativo impegnato nell’accoglienza, il quale spesso fatica a trovare il senso del proprio lavoro obbligato com’è, da un lato, ad accogliere ragazzi che hanno poca voglia di impegnarsi in percorsi di integrazione; e costretto, dall’altro, a dimettere neomaggiorenni che magari ce la stanno mettendo tutta per portare avanti un cammino personale di integrazione, dovendo liberare spazio ai nuovi arrivati.

Come ridare speranza

Natale è la festa della speranza, di una luce che illumina la notte. Come ridare speranza all’accoglienza in questa situazione contraddittoria?

Credo sia decisivo provare a strutturare un sistema in cui tutti gli attori debbano sentire di fare gioco di squadra a tutti i livelli: da quello nazionale a quello locale. Nessuno degli enti preposti a collaborare a un’accoglienza così complessa può pensare di concentrarsi solo sul proprio pezzo di lavoro, prescindendo dalla collaborazione con gli altri attori.

A livello nazionale, occorre governare il sistema in modo da ridistribuire i minori stranieri su tutti i territori in modo equo e proporzionale al numero degli abitanti. Il modello è quello della ripartizione dei migranti adulti. Si supererebbe così il gioco dello “scaricabarile” tra un ente locale e l’altro. Evidentemente questa proposta dovrà andare di pari passo con una modifica della previsione normativa, per impedire che siano i MSNA a decidere dove stare. Se un minore non accetta la sua collocazione, pretendendo di stare su un territorio piuttosto che su un altro, non dovrà essere accontentato!

A livello locale è assolutamente decisivo rinforzare la collaborazione e il coordinamento tra tutti i soggetti: dai servizi sociali alle Forze dell’ordine, dalla prefettura alla Procura e al Tribunale per i minorenni, dalla Sanità alle scuole di formazione. Questo per evitare che l’accoglienza finisca per trovarsi all’angolo, con i problemi in casa e senza avere strumenti e soluzioni.

tombola

In questo quadro difficile ci sono anche segnali positivi: l’inaugurazione pubblica del presepe fatto dai minori durante le attività interne di alfabetizzazione nella nostra comunità «Casa Merlani» (Bologna, cf. qui), a cui hanno collaborato musulmani, cristiani e altri ragazzi senza un orientamento religioso esplicito, ci è parso un segnale di grande speranza. Ci ha ricordato che il progetto della fraternità universale si può avviare dal basso, a partire dai più giovani. E ci ha ridonato la gioia per continuare a gestire nel modo migliore possibile la loro accoglienza.

Giovanni Mengoli è presidente del «Consorzio Gruppo CEIS» di Modena (qui)

 

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Un commento

  1. Maria Luisa Fappiano 30 dicembre 2022

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