È particolarmente duro quest’anno l’inverno in Siberia: i poveri congelano, letteralmente!
A Omsk il mese novembre non è stato molto freddo, ma già a dicembre il gelo ha stretto nella morsa. Nel giorno di Natale della chiesa cattolica, il termometro ha mostrato – 37 °C e, da allora, da settimane, resta abbondantemente sotto lo zero.
Dalla nostra sede Caritas, ogni giorno, siamo andati nel punto di ritrovo, all’aperto, nel ghiaccio, a incontrare le persone senza fissa dimora per riscaldarle con bevande calde, per sfamarle con pasti caldi e per fare le medicazioni necessarie.
Durante il lungo periodo di autoisolamento disposto dal governo per contrastare l’epidemia, oltre ai senzatetto, abbiamo assistito molte famiglie povere che hanno perduto i loro lavori e i loro guadagni precari ed ora non hanno più nulla per sfamare i bambini.
Ai senzatetto diamo anche l’opportunità di curare l’igiene personale nei bagni nella sede della Caritas. Non vediamo l’ora di aprire un centro di assistenza dove ci sarà per queste persone l’opportunità, per tutto il giorno, di riscaldarsi, di riposarsi, di sottoporsi a cura e a consulenza.
Più che aggiungere mie parole, vorrei portare qui brevi testimonianze di due persone che, in questo inverno siberiano, stiamo incontrando ogni giorno.
Oleg è nato ad Omsk, aveva una moglie e viveva con lei in un appartamento. Nel 2011 ha commesso un reato ed è stato messo in carcere. Mentre stava scontando la detenzione la moglie è morta. Ora, racconta: “Sono cieco, sono accecato dalle lacrime. Nel 2019 sono stato rilasciato, non sono riuscito a trovare un lavoro. Con la crisi del Covid è ora impossibile. Mio fratello mi aiuta. Ma lui ha la sua famiglia e si prende cura di nostra madre. Non posso e non voglio vivere su di lui. Devo stare sulle tubature (del teleriscaldamento), non ho una casa dove vivere. Durante il giorno raccolgo le bottiglie di plastica dai contenitori insieme alle lattine di metallo, poi le vendo. Ho pochissimi soldi. Vedo tutto buio e freddo intorno a me. In tali condizioni voglio solo bere (alcolici) per sentirmi al caldo e dimenticare tutto. Ogni giorno vengo al punto di distribuzione di cibo e cure mediche della Caritas, alla stazione ferroviaria. Mangio la zuppa calda che mi portano e mi copro di tutti i vestiti che mi portano, per non congelare. Non sarei probabilmente sopravvissuto se non fossero venuti”.
Anche Eugene è nato ad Omsk, nel 1978. Racconta: “Mia madre mi ha cresciuto. Ora vive lontano in un’altra città. Sono stato incarcerato per tre anni. Quando sono uscito di prigione non avevo un posto dove andare e così sono rimasto per strada. Lavoro saltuariamente per le persone che nei villaggi possiedono le fattorie. Andrò ancora a 150-200 km dalla città a fare lo schiavo, a vivere in capannoni terribili ove spesso non c’è posto un posto per lavarsi. È una umiliazione per me stare qui a ricevere cibo. Ma senza di loro – gli operatori della Caritas – non so potrei fare per sopravvivere. Un pasto caldo è l’unica condizione per resistere in questo gelo”.
Ricordo le parole di San Giovanni Crisostomo: si può essere sfrenati, ma misericordiosi; disumani, ma moderati; mettiamo pure che uno sia sfrenato e crudele, tuttavia ha compiuto una volta nella vita una buona azione. Bisogna nutrire il medesimo sospetto anche sui giusti. Come infatti i peggiori spesso fanno qualcosa di buono, così anche i migliori peccano.
- Yulia Frits è coordinatrice delle attività della Caritas cattolica di Omsk nella Russia siberiana.