Il 18 luglio 1870 la costituzione “Pastor aeternus” sanciva l’infallibilità del papa nei pronunciamenti “ex cathedra” in materia di fede e di costumi.
Già prima del concilio Vaticano I (1869-70), le tensioni all’interno della Chiesa si erano acutizzate quando divenne di pubblico dominio che al concilio l’infallibilità del papa in materia di fede e di costumi sarebbe stata proclamata come dogma; se necessario, anche per acclamazione, ossia senza una votazione formale. Insorsero contro questo progetto teologi eminenti degli Stati Uniti, Inghilterra e Francia. In Germania l’esponente di maggior rilievo fu Ignaz von Döllinger (1799-1890), di Monaco.
Pio IX compendiò le opinioni dissenzienti nel «Syllabus errorum». Si osservava con preoccupazione che la leadership della Chiesa, tutta concentrata a Roma, si era chiusa alle correnti spirituali dell’epoca.
Nel 1864 Pio IX (1846-1878), dopo un inizio liberale del suo mandato, prese sempre più le distanze «dal mondo» e compendiò tutte le opinioni dissenzienti nel cosiddetto Syllabus errorum, condannando in blocco gli «errori» dei tempi moderni. Döllinger e molti altri videro allontanarsi dalla Chiesa il treno della modernità.
Preoccupazione per il primato del papa. Il Concilio, aperto nel dicembre 1869, costituì fino ad allora la più grande assemblea della Chiesa di tutti i tempi. Vi presero parte 774 tra cardinali e vescovi della Chiesa mondiale.
Nel dibattito sul primato del papa in quanto autorità legislativa (primato di giurisdizione) e massima autorità dottrinale quando proclama ex cathedra come infallibili decisioni in materia di fede e di costumi, una notevole minoranza, tra cui 15 dei 20 vescovi tedeschi, espresse la sua preoccupazione circa i nuovi dogmi. Una definizione del genere – si diceva – avrebbe spalancato la porta all’abuso del magistero della Chiesa.
Nella sessione preparatoria su 601 Padri conciliari presenti votarono « sì» 451, 88 «no»: 62 chiedevano modifiche. Dopo il fallimento di un ultimo tentativo di mediazione dei critici con Pio IX, 57 di essi se ne andarono anzitempo per non votare alla presenza del papa contro la definizione del dogma. La costituzione Pastor aeternus fu così approvata il 18 luglio – 150 anni or sono – con solo due voti contrari. Onestà e fedeltà al papa o codardia?
Durante la sessione scoppiò su Roma un temporale con tuoni e lampi. Un segno del cielo? Nella basilica, pur essendo a metà luglio, si fece così buio che il testo della costituzione si poté leggere solo con l’aiuto dei candelabri.
Inizio della guerra franco-prussiana. E il dramma continuò: il giorno successivo, il 19 luglio 1870, iniziò la guerra franco-prussiana. La maggior parte dei vescovi se ne andarono e il concilio fu interrotto. Napoleone III ritirò le sue truppe stanziate a Roma a protezione del papa. A metà settembre la città fu conquistata dalle truppe piemontesi; lo Stato Pontificio cessò di esistere.
Alla fine, Pio IX aggiornò il concilio a tempo indeterminato. Uno dopo l’altro anche i vescovi tedeschi accettarono la decisione del concilio. Ma, nonostante la perdita del potere temporale, il papato uscì rafforzato dal concilio. Roma divenne sempre più il punto di riferimento della Chiesa mondiale.
Rottura con l’illuminismo. Alla decisione a favore dell’infallibilità pontificia seguì anche l’esodo di molti intellettuali. Da questo atteggiamento di protesta ebbe origine nell’area di lingua tedesca la Chiesa vetero-cattolica separata da Roma.
Per inciso, da allora solo un papa ha fatto uso di una decisione ex cathedra: Pio XII quando, nel 1950, proclamò il dogma dell’assunzione di Maria in cielo. I cattolici critici si chiedono pertanto: valeva la pena rompere con l’illuminismo?
Il primato del papa, un peso e un’opportunità per la Chiesa? Il professore viennese di dogmatica, Jan-Heiner Tück vede nel primato del papa insieme un peso e un’opportunità per la Chiesa. In un saggio del 2019, pubblicato sul Neue Zürcher Zeitung, scrisse che c’è bisogno di un equilibrio tra una «visione gerarchica della Chiesa» tagliata su misura del papa e una collegialità dei vescovi, vale a dire la loro partecipazione alla guida della Chiesa universale.
Fu solo il Concilio Vaticano II (1962-1965) a integrare le dichiarazioni sul primato con la dottrina della collegialità dei vescovi, ma, secondo Tück è rimasta una mancanza di chiarezza. Nella costituzione sulla Chiesa ci sono una accanto all’altra due «concezioni opposte»: una visione gerarchica e una relativa alla comprensione della Chiesa antica come communio (comunità).
Impulso del centralismo romano con Giovanni Paolo II. Con Giovanni Paolo II (1978-2005) il centralismo romano ricevette nuovo impulso – con effetti «nefasti», afferma Tück. Si riferisce alla nomine dei vescovi ignorando il voto delle Chiese locali, al divieto di discuterne o ai procedimenti di Roma contro teologi sospetti.
Soltanto papa Francesco ha avviato, a partire dal 2013, una «salutare decentralizzazione»; ma questa ha bisogno ancora di una copertura canonica. Secondo Tück: si tratta di una specie di «primato di comunione», ossia di un esercizio dell’ufficio del papa che tenga conto delle Chiese locali nella guida della Chiesa universale.
L’ufficio del papato cattolico come pietra d’inciampo dell’ecumenismo. L’ufficio del papato cattolico rimane il principale ostacolo per l’ecumenismo per gli ortodossi e i protestanti. Ma Tück ci vede anche un’opportunità per l’unità.
Le Chiese orientali, che per decenni non sono riuscite a tenere un sinodo pan-ortodosso, hanno mostrato «che la sinodalità da sola non è sufficiente». A Mosca e altrove nell’Europa orientale il nazionalismo politico fu «religiosamente gonfiato», inoltre ci sono state continue rivalità tra i patriarchi.
Al contrario, con il primato del papa, la Chiesa cattolica costituisce una garanzia di unità tra paesi e nazioni (KNA 3.07.2020).