Lo storico accordo tra la Santa Sede e la Cina per la nomina dei vescovi, la catastrofe morale della pedofilia nella Chiesa e il suo occultamento e l’offensiva ultraconservatrice contro Francesco, capeggiata dall’arcivescovo C.M. Viganò, hanno messo in ombra una delle decisioni più importanti prese attualmente da papa Bergoglio e destinata a segnare il futuro più immediato della Chiesa cattolica.
Mi riferisco alla pubblicazione della Costituzione apostolica Episcopalis communio (settembre 2018). Già la stessa denominazione tipologica del documento («costituzione») indica che non ci troviamo di fronte a un documento fra i tanti, ma a uno strumento fondamentale, alla cui luce devono essere rivedute altre leggi e in base al quale si cominceranno a prendere delle decisioni importanti.
Un documento quasi inosservato
È opportuno ricordare che non sono mancati coloro che – fin dai primi mesi del suo pontificato – ricordarono a Francesco che il nostro tempo (e il suo) era limitato e che ci avvicinavamo ai cinquant’anni dalla fine del Vaticano II senza un suo sviluppo credibile. Forse, per questo, si cominciò a sentir dire – prima sommessamente – che doveva lasciar da parte i gesti e cominciare a prendere delle decisioni.
È vero che non mancarono nemmeno coloro che dicevano che questo papa in tre anni aveva adottato più misure del suo predecessore; soprattutto in ciò che si riferisce alla morale sessuale e matrimoniale. Ma è vero anche che l’iniziale mormorio critico cominciò a trasformarsi in un clamore non appena riconobbe di essere stato male informato sulla piaga della pedofilia nella Chiesa del Cile. E il clamore divenne sdegno incontenibile quando si conobbe il rapporto sulla pedofilia di alcune diocesi della Pennsylvania.
Da allora finì il tempo di grazia mediatica per Francesco e la complicità dei settori più aperti della Chiesa e della società civile. Il papa doveva prendere delle decisioni. E doveva prenderle in fretta sul problema e la sua radice: il clericalismo.
La prima decisione è stata di convocare i presidenti di tutte le Conferenze episcopali del mondo per un incontro in Vaticano (febbraio 2019) per trattare della pedofilia nella Chiesa. La seconda nel dotare il suo progetto di «conversione del papato» di un’insolita portata giuridica.
Se la prima decisione ha attirato l’attenzione dei mezzi di comunicazione sociale per un fatto senza precedenti, la seconda (la costituzione apostolica Episcopalis communio) è passata quasi inosservata. Ma non per questo cessa di avere un enorme impatto: mette fine a un modello di governo della Chiesa marcatamente assolutista e clericale e scommette in maniera decisa su un altro più partecipativo e corresponsabile. Come Francesco aveva dichiarato il 17 ottobre 2015: il papa non sta «da solo al di sopra della Chiesa, ma dentro di essa come battezzato tra battezzati e all’interno del collegio episcopale come vescovo tra vescovi, chiamato nello stesso tempo, come successore di Pietro, a guidare la Chiesa di Roma che presiede alla carità di tutte le Chiese».
Decisioni normative
Coerentemente con ciò che è stato detto, papa Bergoglio stabilisce che, d’ora in avanti, la norma è che i sinodi si sviluppino in tre fasi: una prima in cui tutti i battezzati avranno la possibilità di esprimere la loro opinione e una terza in cui – dopo la celebrazione – tutto il popolo di Dio tornerà a partecipare alla recezione e all’attuazione di ciò che è stato stabilito. Inoltre, la norma sarà che quanto è stato approvato nei sinodi sia ratificato da lui, sia incorporato come suo insegnamento e sua determinazione.
E se ciò apparisse poco, ci saranno sinodi convocati per trattare problemi specifici le cui decisioni saranno normative per tutta la Chiesa.
Sono tre concretizzazioni che mostrano un’indubbia chiarezza su ciò che Francesco intende con “conversione del papato” e, detto di passaggio, in che cosa dovrà consistere la «conversione» dei vescovi e dei preti nell’esercizio della responsabilità.
Resta da vedere se questa Costituzione avrà il desiderato «effetto domino» nel modo di presiedere le diocesi e nell’esercizio del sacerdozio. Alla luce delle sue decisioni, sembra che i vescovi e i sacerdoti che governano le loro rispettive Chiese locali e comunità come se fossero delle fattorie private, abbiano i giorni contati, poiché sarebbero sollevati da ogni responsabilità, se non cambiano rotta. E sembra che i vari consigli pastorali dovrebbero diventare deliberativi quando si adottano decisioni con la maggioranza qualificata (di due terzi): le disposizioni approvate in quelle sedi – essendo fondate su un patto di comunione e di missione – obbligano tutti, laici, sacerdoti e vescovi.
Alla luce di questi dati, credo che con la presente Costituzione Francesco, oltre a mettere i puntini sulle «i», getti la palla (dovendo spiegarsi) nel campo di coloro che cercano di destabilizzare il suo pontificato in nome della «verità» che ritengono di possedere in esclusiva; mai in maniera corresponsabile.