Nel 2023 una donna racconta a una delle protagoniste della Commissione sugli abusi sostenuta dalla Chiesa francese (CIASE), suor Véronique Margron, di essere stata abusata dall’abbé Pierre (1912-2007), uno dei riferimenti più nobili e cari della storia francese nel Novecento.
L’informazione arriva alle tre istituzioni che continuano oggi l’impulso caritativo e sociale del prete, e cioè Emmaus France, Emmaus International e Fondazione Abbé Pierre che danno mandato al gruppo di ricerca e formazione Egaé, diretto da Caroline de Haas, di avviare uno studio. L’inchiesta si sviluppa fra aprile e giugno e riguarda 12 persone. Il 4 luglio il rapporto è presentato alle istituzioni promotrici e il 17 luglio è reso pubblico.
Sette donne denunciano
«In totale il gruppo Egaé è stato destinatario delle testimonianze di 7 persone, donne e vittime che hanno subito violenza da parte dell’abbé Pierre su un periodo che va dalla fine degli anni Settanta al 2005. Cinque delle persone ascoltate nelle interviste testimoniano comportamenti ripetuti. Due testimonianze sono state indirizzate a Emmaus International. Una delle donne vittime dichiara di essere stata minorenne al momento dei primi fatti (16-17 anni). Tra i fatti sono indicati: comportamenti inadatti d’ordine personale; proposte sessuali; ripetuti inviti a connotazione sessuale; tentativi di contatto fisico non richiesti; toccamenti non richiesti sul seno».
Secondo il rapporto, parecchie persone erano informate circa i comportamenti inadatti dell’abbé Pierre con le donne, senza peraltro avere consapevolezza delle violenze commesse. «I colloquio condotti dal gruppo Egaé hanno fatto riemergere emozioni forti nelle persone coinvolte. La maggior parte delle vittime erano e sono legate ai movimenti e al lavoro avviato dall’abbé Pierre. La dissonanza fra l’immagine dell’abbé Pierre con il suo desiderio di giustizia e uguaglianza rispetto al comportamento con le donne crea una distanza immensa nelle persone che ammiravano lui e il suo impegno».
La prima informazione è stata data a un gruppo di 700 volontari, operanti in Francia e all’estero in video conferenza. L’impatto è stato molto forte, con espressioni di collera, emozione e pianto.
Il giorno dopo, la notizia è deflagrata. Il delegato della fondazione, Christophe Robert, parla di uno shock terribile, una vera e propria esplosione.
Il delegato di Emmaus International, Adrien Chabuche, manifesta la sorpresa per l’incoerenza fra ideali umanistici e analisi storiche pertinenti rispetto all’incapacità di avvertire il male prodotto alle vittime.
I vescovi francesi ricordano il risveglio di coscienza rispetto ai poveri prodotto dall’abbé Pierre, ma questo non dispensa dal lavoro sulla verità e dall’ascolto delle vittime.
Un monumento francese
L’abbé Pierre è considerato un grande della carità ed è in Francia una sorta di monumento. Ha reso patrimonio condiviso la convinzione che ogni uomo è un patrimonio per credenti e non credenti e che nessuno è tanto marginale da non potere aiutare gli altri per il bene di tutti.
La sua storia personale attraversa il secolo: prima cappuccino poi prete diocesano, partecipa alla resistenza, difende gli ebrei, entra nel primo parlamento dopo la guerra. Il suo appello per dare alloggio ai poveri nell’inverno del 1954 colpisce il cuore di tutta la Francia.
Diventa promotore, attraverso i gruppi Emmaus, di molte iniziative a favore dei diseredati e dei nuovi poveri fino agli ultimi decenni del secolo. Non risparmia le critiche alla Chiesa, si apre alle richieste di nuovi comportamenti personali e morali delle ultime generazioni e non tace circa la sua occasionale mancanza in ordine alla castità presbiterale in una celebre intervista del 2005. Un’esposizione pubblica continua che non è mancata di sbavature come nella sua difesa “preconcetta” dell’amico Roger Garaudy, divenuto negazionista.
La denuncia sui suoi atteggiamenti abusanti che sarebbero continuati anche nella sua vecchiaia costringerà le istituzioni che a lui si richiamano a una riconsiderazione del suo ruolo storico e a continuare una ricerca che è solo all’inizio.
Non mancano valutazioni critiche. Henri de Beauregard, figura politica del centro destra, denuncia: «Si sta condannando un uomo morto da 17 anni per fatti avvenuti da 20 a 54 anni fa, sulla base di un rapporto appaltato a un’agenzia militante. Non è mancare di rispetto a qualcuno affermare che nessun giurista serio potrebbe condividere un simile dossier». I dubbi sull’affidabilità del gruppo di indagine e formazione Egaé non mancano.
A partire dalla sua leader, Caroline de Haas, militante femminista, fondatrice del collettivo “Noi tutte”, a capo di un gruppo di 28 consulenti e formatori. Nel 2018 la Haas dichiarava che un uomo su 2-3 è un aggressore. I metodi di indagine del gruppo hanno condotto all’allontanamento di due giornalisti da Telerama (2019) per atteggiamenti sessisti, subito reintegrati dal tribunale di lavoro. Polemiche anche nel suo lavoro al Conservatorio di Parigi, dove le indagini avrebbero mancato di imparzialità, prudenza e confidenzialità.
Il rapporto, nel caso abbé Pierre, non supera le otto pagine, imparagonabile con gli studi e le indagini che hanno interessato altri fondatori francesi.
Ma i responsabili degli istituti fondati dal prete francese prendono atto del risultato, difendono le vittime e temono di trovare molte altre conferme. Per questo hanno aperto un contatto telefonico e-mail per invitare le vittime a manifestarsi.
Non meravigliamoci di nulla, infatti. Soprattutto viste le premesse. Ancora una volta la stridente incoerenza, chiamiamola così, registrata in un uomo di chiesa divenuto un monumento nazionale, ci dovrebbe preservare dalla tentazione di fare un monumento di chicchessia. Con il duplice scopo: da un lato di non elevare ingiustamente sull altare persone di dubbia condotta e dall altro di restituire anche ai presbiteri la loro dimensione umana, senza prima osannarli e condannarli poi dopo. Tutto questo è sinceramente pietoso. Credo comunque sia urgente, più di tutto, la desacralizzazione sacerdotale, che, dovremmo averlo capito, fa più male che bene alla Chiesa stessa. Peraltro completamente estranea non solo alla lettera dei vangeli ma anche e soprattutto al loro spirito. Perché non fare un profondo esame di coscienza rispetto alla domanda: le donne ( e la chiesa intera) meritano questo? Io, uomo presbitero, come reagirei se fossi una donna, oggetto di abusi da parte di questi signori, già ammantati di santità in vita? E abuso, in verità è più a monte, è il non considerarle affatto, non misurarsi alla pari, non ritenerle meritevoli di decisione e responsabilità. Tutto il resto ne è conseguenza. Si fa tanto spesso riferimento alla chiesa domestica, come qualcosa in piccolo di ciò che la chiesa è in grande. Ma allora può oggi essere solo concepibile che in un contesto familiare qualunque decisione non sia condivisa e che, per principio, spetti all uomo l ultima parola? Non è forse urgente rivedere e ripensare profondamente le ” vostre” ( perché sono solo vostre e non anche nostre) strutture aprendole alla presenza delle donne, non accessoria o condizionata, ma sostanziale e dunque paritetica? Diciamo la verità, siamo dentro la chiesa come un mero suppellettile, nulla di più. Abbelliamo, arricchiamo, contribuiamo a dare un’immagine di chiesa inclusiva, ma è tutto molto superficiale. Ciò che è davvero importante e conta è rimasto nel fondo, sommerso.
Eppure il regno dei cieli ci promette ben altro, il cui seme tuttavia è giusto che cresca, e sia lasciato crescere, già qui ora.
Riporto dall’articolo: «I dubbi sull’affidabilità del gruppo di indagine e formazione Egaé non mancano. A partire dalla sua leader, Caroline de Haas, militante femminista, fondatrice del collettivo “Noi tutte”, a capo di un gruppo di 28 consulenti e formatori. Nel 2018 la Haas dichiarava che un uomo su 2-3 è un aggressore. I metodi di indagine del gruppo hanno condotto all’allontanamento di due giornalisti da Telerama (2019) per atteggiamenti sessisti, subito reintegrati dal tribunale di lavoro. Polemiche anche nel suo lavoro al Conservatorio di Parigi, dove le indagini avrebbero mancato di imparzialità, prudenza e confidenzialità». Mi chiedo: come è possibile che persone legate alla memoria e all’opera dell’abbè Pierre abbiano affidato un’indagine così delicata a un gruppo d’indagine in partenza così suscettibile di dubbi rigardo alla propria oggettività? E per di più quando l’enorme distanza cronologica dai fatti e la impossibilità dell’inquisito di difendersi e di spiegare i propri comportamenti aumentava enormemente il margine di discrezionalità nell’interpretazione dei fatti! Tanto più che le accuse che leggo sotto il titolo di “violenze” si riferiscono – tranne l’ultima – ad atteggiamenti e parole, non ad abusi fisici, e richiederbbero una più precisa contestualizzazione. Francamente mi sembra che qui i responsabili delle istituzioni cattoliche coinvolte, per evitare l’accusa di voler mettere la testa sotto la sabbia e di coprire i fatti, abbiano trascurato le regole elementari per ogni ricerca seria della verità. E – certamente contro il loro desiderio – stiano permettendo che si infanghi gratuitamente il nome di un uomo il quale – questo lo si può affermare su dati indiscutuibili – ha dedicato la sua vita al Signore e ai fratelli.
Anche io condivido le sue preoccupazioni sui metodi di indagini in simili casi. Purtroppo però (l’ho appreso con dispiacere) nel caso dell’abbé Pierre le notizie di abusi sono state confermate in via indipendente da un altro organo di inchiesta, questa volta (mi sembra) più affidabile, e cioè la Commission indépendante sur les abus sexuels dans l’Eglise (Ciase). Il presidente di questa istituzione, che lavora in contatto con la Chiesa francese, ha pochi giorni fa messo nero su bianco (con un editoriale su “Le Monde”) tali accuse che (lo dico con dolore) sembrano confermare i dubbi sui comportamenti tenuti dal fondatore di Emmaus con le donne. Non si può che restare sgomenti di fronte a tali casi, dopo Jean Vanierà anche l’abbi Pierre…..è bene allora fare piena luce su queste vicende e, se accertate oltre ogni ragionevole dubbio, occorrerà riparare per quanto possibile e fare in modo che non si ripetano più, almeno nella Chiesa.
https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/07/20/revelations-sur-l-abbe-pierre-la-compulsion-sexuelle-du-clerc-catholique-parait-indubitable_6253285_3232.html
Solo le anime “belle” credevano al mito dell’Abbé Pierre. Durante un campo di Emmaus organizzato in Italia, prima a Torino poi a Ivrea (1967), lavorava con noi tale Roland (posso citare il nome perché ci ha lasciati da oltre trent’anni) che aveva il compito di scrivere una biografia dell’Abbé Pierre, per questo aveva deciso di lavorare “sur le terrain” per conoscere l’ambiente di Emmaus dal di dentro. Ebbene, nelle frequenti conversazionbi serali, dopo defatiganti giornate di lavoro impegnate nel ramassage degli scarti urbani, Roland mi confidava come fosse notoria la passione incontrollata dell’Abbé per le donne, soprattutto “en fleur”. Del resto, la vera ragione della dimissione dall’ordine dei Frati Minori Cappuccini era proprio stata la sua incapacità di controllo. Insomma, era un porcaccione, protetto dall’aura di prete socialista che era stato abile nell’appiccicarsi adosso. Come dire: c’è chi si serve del confessionale per alimentare i fantasmi della propri mente malata, e chi si serve degli chiffoniers d’Emmaus e delle case per i sans abri per darsi una onorabile facciata. Non meravigliarsi mai di nulla. L’unica “meraviglia” che permane tra gli umani è Gesù di Nazareth, il resto, come dice San Paolo, “è spazzatura” (Fil 3, 3-8).
Nel 2005 l’abbé Pierre aveva 92 anni.
Un grande dolore causa questa vicenda, ma anche rispetto per come Emmaus ha risposto alle accuse impegnandosi subito a far luce sul proprio passato e sul proprio fondatore, senza timori e ipocrisie, senza ambiguità e tentativi di insabbiamento. Questo è forse l’unico aspetto della vicenda che dà un po’ di conforto. La Chiesa francese sembra aver intrapreso un reale cammino di confronto e riparazione verso gli abusi, vorrei tanto dire la stessa cosa della Chiesa italiana che invece mi sembra latiti molto al riguardo preferendo, più che affrontare seriamente e concretamente il problema, adottare la strategia “dello struzzo” (che funzionerà finché giudici e media scoperchieranno il vaso di Pandora)