Carissimi,
in questi giorni soffro moltissimo per le notizie che mi giungono. Condanno la pedofilia in maniera assoluta. Ringrazio il Signore che, in Grecia, non abbiamo casi di queste dimensioni e quindi, come vescovi, non ci siamo mai occupati di questi problemi.
Senza dubbio, il vescovo che avesse tra i suoi presbiteri qualcuno che pratica la pedofilia, deve prendere dei seri provvedimenti, in modo che il sacerdote non ripeta il suo peccato ed eventualmente ripari lo scandalo. Ma non posso accettare che io, come vescovo, abbia il dovere di denunciare il fatto.
Il concilio Vaticano II, che è il mio costante punto di riferimento, dice che il vescovo è, per i suoi sacerdoti, padre, fratello e amico. Quale padre denuncerebbe suo figlio anche se ha commesso il peccato di omicidio? Quando il sacerdote affidato alle mie cure farà esperienza dei miei sentimenti paterni nei suoi confronti? Quando ubbidisce a ciò che gli chiedo? O solamente quando gli faccio i miei complimenti o gli offro qualche regalo?
Il sacerdote scopre ed esperimenta la paternità, la fratellanza e l’amicizia del suo vescovo, quando vede che lo vuole aiutare a superare il suo momento difficile. Se ce ne sarà bisogno, il sacerdote accetterà più facilmente i provvedimenti che il vescovo prenderà nei suoi confronti, anche se gli richiedessero un grande sacrificio.
Quarantaquattro anni di servizio episcopale questo mi hanno insegnato.
Francesco Papamanolis
vescovo emerito di Syros, Santorini e Creta in Grecia
Resto un po’ stupito che Settimana news abbia scelto di pubblicare questa lettera del vescovo emerito Papamanolis.
Due elementi:
a) Trovo semplicista l’affermazione “Ringrazio il Signore che, in Grecia, non abbiamo casi di queste dimensioni e quindi, come vescovi, non ci siamo mai occupati di questi problemi”. Se la questione non ha le dimensione che sta emergendo nella Chiesa cattolica, vuole comunque dire che il problema esiste “in piccola dimensione” e allora affermare “come vescovi, non ci siamo mai occupati di questi problemi” direi che è un’ammissione di colpa più che un vanto;
c) la seconda parte della lettera esprime benissimo la mentalità che ha coperto fino ad ora questo problema, ma se mi posso permettere, esprime anche una certa confusione sul modo di intendere il concetto sulla paternità nella Chiesa, giungendo a ritenere di non dover denunciare chi ha commesso un reato. In altri termini si può dire che questo è proprio il distorto ragionamento con il quale la “casta sacerdotale” (qui è il caso di utilizzare queste parole) ha protetto se stessa.
Consiglierei al Sua Eccellenza, e non solo, di andare a vedere il film “Il caso Spotlight”, che con grande equilibrio, partendo da un fatto vero, spiega chiaramente, mentalità e connivenze (anche di laici) per coprire questa realtà. Un film da proiettare nei seminari.
Purtroppo quello che emerge, anche dalle indagini in Australia, Cile, Irlanda e USA, è che si è trattato di un “metodo” utilizzato scientemente. Questo non per difendere le vittime, ma i membri di una “casta” che si è ritiene al di sopra del popolo.
Non è un caso che il Vescovo di Roma, Francesco, si batta da tempo contro il clericalismo (una parte del problema), giungendo a dire ai giovani riuniti al Circo Massimo di Roma: “Il clericalismo, che non è solo dei chierici, è un atteggiamento che tocca tutti noi: il clericalismo è una perversione della Chiesa”.
Franco Ferrari
Associazione “Viandanti” – Parma
E alle vittime non ci pensa??? Nella sua “ansia” di dimostrare i suoi sentimenti paterni?