Con la sua settima puntata, il 24 aprile, si è concluso il podcast La confessione, l’inchiesta dei giornalisti Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn a proposito di un caso di abuso nella diocesi di Enna.
Forse, fino a qui, il silenzio del mondo ecclesiale di fronte al racconto era dovuto: il format prevedeva un percorso articolato ed è sempre buona cosa lasciare che un discorso si concluda. Mi pare però inevitabile che si apra, ora, il tempo della risposta.
Abusi e parole abusate
Immagino esistano alcune obiezioni. Per esempio, immagino che qualcuno ritenga che la Chiesa non debba inseguire un’inchiesta giornalistica, tanto più se costruita attorno a un singolo caso. Immagino che alcuni preferirebbero attendere l’ultima parola della magistratura, visto che il caso è giunto solo alla condanna in primo grado.
Credo, però, che un’obiezione sostanziale riguardi la diffusione del dialogo privato tra l’imputato e il suo vescovo, una telefonata che non è frutto di un’intercettazione da parte degli inquirenti, ma è stata registrata dal prete stesso e acquisita dai magistrati attraverso il sequestro del suo telefono cellulare.
Al di là del processo penale, è questa telefonata il cuore dell’inchiesta giornalistica: svela non solo le intenzioni, ma il anche linguaggio con cui il vescovo articola le ragioni delle sue scelte. Ascoltarla è un colpo allo stomaco e, terminato il podcast, resta una ferita difficile da rimarginare, soprattutto per un credente: alcune tra le parole più preziose del discorso cristiano (santità, provvidenza, rapporto filiale) risuonano in un modo talmente sinistro da far male.
La pubblicazione di una conversazione riservata tra un vescovo e uno dei suoi preti è, in effetti, un evento del tutto nuovo, nello scenario degli abusi. È vero: chiunque di noi sarebbe in imbarazzo se alcune sue conversazioni private, avulse dal contesto, fossero rese note a tutti. Forse alcuni sosterranno che non sarebbe dovuto accadere.
Chiesa italiana: lentezza e latitanza
Ma ci sono molte altre cose che non sarebbero dovute accadere. Non sarebbe dovuto accadere l’abuso, anzitutto. Non sarebbe dovuta accadere la lentezza e la fumosità dell’indagine previa da parte dell’autorità ecclesiastica. Non sarebbe dovuto accadere il reiterato tentativo di non ascoltare le vittime e poi di metterle a tacere attraverso un risarcimento monetario, che è un altro elemento inquietante dell’inchiesta. Non dovrebbe accadere che una comunità cristiana isoli e rifiuti di ascoltare chi ha sofferto; non dovrebbe accadere che la Chiesa si ritrovi sola a gestire questo male. E non dovrebbe accadere che un vescovo presenti al prete che è accusato la denuncia come una persecuzione «infernale», ciò che ne segue come un cammino di santità e l’abuso come una scappatella, rassicurandolo che in diocesi ci sono abusi molto più gravi del suo.
Tutte queste cose non sarebbero dovute accadere, ma sono accadute. Così com’è accaduto che chiunque, oggi, possa sentire la conversazione di un vescovo con un sacerdote accusato di abusi, insieme alla voce della vittima, dei suoi genitori, del sacerdote stesso, dei preti che l’hanno ospitato in un’altra diocesi, di alcuni suoi confratelli che lo hanno rassicurato e persino del papa che, proprio mentre si celebra il processo, loda il vescovo per la sua rettitudine.
Rispondere dei fatti
Il fatto che tutto ciò sia accaduto, qualunque sia la nostra valutazione in merito all’inchiesta giornalistica, chiede una risposta. Lo chiede la vittima, che ha inviato al papa gli atti dell’inchiesta, lo chiedono i giornalisti che hanno lavorato al podcast e che non temono di definirsi a loro volta credenti, lo chiedono i fedeli di Enna che, numerosi, sono convenuti alcune sere fa ad ascoltarne la presentazione.
Lo chiediamo noi, ascoltatori (a oggi si contano circa 145.000 accessi), soprattutto se credenti: per noi l’ultima voce non può, in nessun caso, essere quella di un vescovo preoccupato di essere finito nei guai in quanto «insabbiatore». Questa domanda dovrebbe pesare più delle grandi testate giornalistiche che, nel nostro Paese, sembrano avere ignorato il podcast.
Non vorrei mai trovarmi nella posizione di dover rispondere, ma se la parola autorità ha ancora un significato, qualcuno in questa posizione impossibile c’è: ha il dovere morale, pastorale e spirituale di far sentire la sua voce. Nelle sue deposizioni davanti ai magistrati, mons. Gisana spiega che nella Chiesa il rapporto tra il vescovo e i suoi preti è un rapporto di paternità; dimentica che lo stesso rapporto lo vincola anche a tutti i battezzati.
La Chiesa ha scelto di definire ogni rapporto di autorità al suo interno con la figura della paternità. Ma un padre, in una famiglia, è quello che risponde in prima persona e, se necessario, paga più di tutti gli altri.
A motivo del calo delle vocazioni in Italia il clericalismo dei preti avrà vita breve: tra dieci anni sarà bello e risolto; resterà quello dei laici, ma sarà un problema che affronteremo e supereremo con la sinodalita.
Non ne sono convinto. Come tutti i fenomeni umani, l’abuso di coscienza e sessuale va compreso, altrimenti si ripeterà immancabilmente, dentro e fuori il sistema clericale. Non nego il nesso tra abuso e clericalismo, ma non si risolve un problema con un altro. Abusi sono avvenuti in contesti religiosi ma molto laici (si pensi al Forteto, i cui responsabili hanno avuto coperture importanti, sebbene non dalla Chiesa). Se non comprendiamo le cause siamo destinati a ripetere gli stessi errori e non sono convinto che il ‘clericalismo’ (che peraltro è una categoria piuttosto vaga o quantomeno ampia) sia sufficiente a spiegare il fenomeno.
Comunque l’abuso di minori, clericale e non, va perseguito a termini di legge, per le persone ancora fragili che lo subiscono!
Un grandissimo grazie a Federica Tourn, Stefano Feltri e Giorgio Meletti.
All’interno della Chiesa per aver fatto luce su atteggiamenti ambigui molto diffusi, in tutti: preti, vescovi e laici, fino al Vaticano. Dobbiamo fare un mea culpa collettivo, perché se Dio è relazione (Uno e Trino), allora noi con Dio abbiamo poco a che fare. Questo podcast è la cronaca del tradimento delle relazioni. Nei confronti della vittima dell’abuso, Antonio Messina, e non solo. Il vescovo Gisana protegge sì Rugolo, ma allo stesso tempo lo tradisce: sia perché si comporta in modo ambiguo con lui (che infatti si lamenta di esser stato ingannato, se non ricordo male) sia perché una ‘tirata d’orecchi’ è più onesta di una protezione interessata.
Il loro lavoro è importante anche per tutti gli italiani non credenti perché la problematica degli abusi di qualsiasi tipo è molto presente in tutta la società (a cui la Chiesa è legata intrinsecamente). Siamo modellati da una cultura (cattolica) molto indulgente, si tollera moltissimo (pur brontolando, sì, e credendo di non avere alternativa). Sarebbe bello ritrovare una bussola. Per quanto ognuno sia libero di comportarsi come ritiene opportuno, penso a quello che tento di insegnare a mia figlia: la mia libertà finisce lì dove comincio a limitare quella dell’altro (o altra). E viceversa. Mettere e mettersi limiti, tali da permettere e rafforzare relazioni e non di annullarle, è un grande compito.
Se un podcast serve a squarciare un velo, ben venga. A me pare che in Italia ci sia su questo tema una sorta di inerzia. Per paura non si vuole indagare, non si vuole sollevare il velo anche perché, poi, come tutti sanno avrebbe conseguenze noteboli sul ben noto 8 per mille.
Condivido in pieno la riflessione dell’ autore, grazie. Facciamo qualcosa perché questo podcast sia conosciuto e discusso, ma ancora di più proviamo a pensare in che modo “costringere” i responsabili anche della CEI ad assumersi le proprie responsabilità fino in fondo. Non è più tollerabile che un vescovo, per di più biblista e patrologo (Sic) si esprima con i toni e i contenuti che abbiamo ascoltato e resti tranquillamente a capo di una diocesi
Condivido la riflessione. Questo silenzio della chiesa gerarchica è come un suicidio. Non si può accettare: come credente è una pugnalata, come essere umano la sento carica di disprezzo verso quell’ umanità tanta amata dal Padre.
Impressiona quanto possa essere alta la percezione della propria impunità in chi dovrebbe avere ruolo di guida e responsabilità di una comunità, piccola o grande che sia. Il vero problema è che nulla per loro, gli abusatori clericali e gli insabbiatori clericali, è in definitiva così importante se commisurato al loro sacro ministero. Tutto rientra nella sfera del peccatuccio, ma scusabile, perché hanno diritto ad avere qualche momento di piacere, non importa come e con chi. Fa sorridere che ciò che dovrebbe valere per qualsiasi altro normale credente, la fusione tra vita sessuale e l amore, non valga minimamente per loro.Dimenticavo! Non sono esseri terreni, uguali a noi.. Invece, proprio questa forzata separazione poi produce persone incredibilmente immature, capaci di negare ogni evidenza pur di autoassolversi. Più leggo il Vangelo e più mi chiedo come si sia arrivati ad una simile distorsione “di Chiesa”.
Proprio così come siamo arrivati a questa distorsione di chiesa? Ma dovremmo essere noi credenti a farci sentire… Ma il popolo di Dio cosa fa? Sono pochi coloro che si indignano, troppo pochi per poter fare sentire la loro voce!
Per stroncare gli abusi sessuali commessi dal clero occorre risalire alle cause che li determinano. Le cause risiedono nel sistema di potere basato sul sacro che affligge la chiesa da circa 1600 anni e che si chiama clericalismo. Questa perversione non si manifesta solo attraverso il sintomo degli abusi sessuali, ma pure tramite gli abusi di coscienza, gli abusi psicologici, gli abusi spirituali, gli abusi dottrinali e gli abusi economico-finanziari. E’ bene pertanto prendere coscienza della dimensione strutturale del clericalismo e di conseguenza approntare le necessarie riforme dottrinali, liturgiche, canonistiche. La lotta al clericalismo passa attraverso il varo di tali riforme che non sono più procrastinabili.
Qualcun’altro individuò la radice del male in un difetto di Fede.
Chi non crede più in Dio crede di poter fare tutto ciò che vuole.
Credo che sia più questo il caso.
Si tratta di preti, vescovi e cardinali atei, ipocriti e criminali.
Purtroppo qualcuno li difende.
Qualcuno della stessa risma.
Mi sembra un’ipotesi discutibile.
Spesso chi pecca è allo stesso tempo un credente, lo si vede in molti casi
Un credente violentatore?
Un uomo veramente religioso investe tutto sé stesso nella ricerca del bene.
Avrebbe, perlomeno, troppa paura dell’inferno.
A meno che non creda che l’inferno non esiste.
In questo caso torniamo al solito problema del difetto di fede.
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Le persone sono animali complesse, non guidate da un unico impulso, e la forza della grazia divina combatte contro la nostra natura, le nostre abitudini etc
In più c’è la capacità umana di trovare una giustificazione per ogni cattiva azione, facendo lentamente passare ogni caduta in vizio ipocrita per tentare di mantenere le apparenze, almeno verso se stessi
La legge per gli amici si interpreta, per i nemici si applica.
Andrà così anche questa volta. Come al solito.
Riflessione amara, ma condivisibile tanto più che è improbabile che il caso di Enna sia isolato. Specie in Itala la Chiesa non ha mai fatto davvero i conti con gli abusi e con le coperture istituzionali a favore degli abusatori. Si tratta di una “subcultura” che pervade un certo ambiente ecclesiastico ostile a qualsiasi rimessa in discussione. E’ però solo questione di tempo e anche in Italia il castello di bugie, crimini e coperture sugli abusi (fisici e psicologici) crollerà. Speriamo solo che a tale esito si arrivi non solo per iniziativa di magistrati e giornalisti, ma anche (e direi) innanzitutto per la ferma volontà della Chiesa, della sue istituzioni e del suo clero (oltreché dei suoi fedeli)
La ferma volontà della Chiesa è sopire, troncare, minimizzare, insabbiare… lasciare che il tempo passi finché la gente si dimentica, palleggiarsi le responsabilità, come e’ avvenuto col caso Rupnik.